Sulla homepage del portale dell’agenzia di riscossione delle entrate malese c’è un messaggio del direttore inequivocabile, che dà l’idea di quanto la religione islamica sia presente anche nelle sedi istituzionali: “Alhamdulillah, ogni lode ad Allah, che il portale ufficiale IRBM sia in grado di fornire continuamente servizi a tutti i contribuenti”. Con questo spirito, l’agenzia investe molto sulla formazione fiscale dei giovani, affinché comprendano la responsabilità sociale di pagare le imposte per essere buoni cittadini. A tale scopo svolge attività di educazione fiscale attraverso la piattaforma EduZone (presente sul portale istituzionale www.hasil.gov.my), che contiene informazioni sulla tassazione sotto forma di opuscoli, articoli e brevi video. Per fare fronte al fenomeno dell’evasione fiscale, inoltre, i cittadini sono invitati a segnalare attraverso diversi canali (e-mail, telefono, di persona) informazioni che possono essere utili per combattere il fenomeno. In talune circostanze il direttore dell’Hasil può prevedere il riconoscimento di un premio per il supporto dato dal cittadino. Per questo è nata la piattaforma, e-Pelarian Cukai, che fornisce tutti gli strumenti per segnalare situazioni irregolari legate all’economia sommersa. In caso di presenza di imposte non pagate e arretrati, oltre a pesanti sanzioni, è prevista la possibilità che il dipartimento dell’Immigrazione proibisca di espatriare anche solo per scopi turistici (fonte scheda paese – Malesia).
Curiosità
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Il Fisco all’ombra delle piramidi
Un sistema fiscale equo ed efficiente era quello dei tempi del regno di Snefru, primo sovrano della IV dinastia, circa 4600 anni or sono in Egitto. Come tutti i sistemi finanziari arcaici, quello egizio consisteva in un prelievo, nei confronti della classe produttiva, di beni di prima necessità, che venivano poi distribuiti alla popolazione impiegatizia la quale, a sua volta, pagava con il proprio lavoro il mantenimento del grandioso sistema statale. Questo provvedeva alla realizzazione delle colossali opere pubbliche, come la canalizzazione delle acque del Nilo, le strade, le dighe. All'epoca dei faraoni tutti dovevano pagare le tasse, contadini, artigiani, amministratori e burocrati statali.
L'ammontare complessivo dell'imposta da versare veniva fissato tramite un calcolo presuntivo della quantità di raccolto ottenuto annualmente, sulla base di regolari tabelle statali che utilizzavano la piena del Nilo come unità di misura determinata con particolari strumenti sparsi su tutto il territorio: i nilometri.
Pagare le tasse non piace a nessuno e anche i sudditi dei faraoni non erano affatto entusiasti al momento di effettuare i versamenti richiesti dagli scriba, autorevoli antenati dei nostri concessionari della riscossione. Il controllo però, effettuato annualmente, era capillare e agli evasori fiscali erano riservate punizioni esemplari, testimoniate dalla scoperta di scene tombali che ritraggono i "furbi" bastonati dagli esattori per il mancato pagamento dell'imposta.
Nonostante le inevitabili rimostranze dei contribuenti, il fisco egizio era fondamentalmente egalitario: Infatti, chiunque ritenesse di aver ricevuto un'ingiusta richiesta di assolvimento poteva ricorrere direttamente agli organi gerarchicamente superiori: in ordine i nomarchi, che corrispondevano ai nostri direttori, e al visir, il primo ministro (fonte: Emilio Mariani in "L'Egitto dei Faraoni").
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Una cosa è quel che dice Leucone, un’altra quel che porta l’asino di Leucone
Un tentativo, finito male, di evasione fiscale fu quello escogitato da Leucone e raccontato da Zenobio, sofista del tempo di Adriano, ricordato non solo perché insegnò a Roma e tradusse in greco le storie di Sallustio, ma anche per una spassosa raccolta di proverbi. Tra i detti tramandati, uno fa riferimento al maldestro espediente architettato dal contadino Leucone per frodare il Fisco. L'astuto agricoltore, narra l’episodio, per pagare in misura ridotta il dazio che effettivamente avrebbe dovuto versare per introdurre la sua merce in città, coprì di orzo gli otri di miele che trasportava sulla sella del suo asino. I cereali, infatti, erano soggetti a una tassazione meno onerosa rispetto al miele. Il contadino riuscì a superare il posto di controllo senza problemi e già si avviava verso la città, immaginiamo, con un sorrisetto soddisfatto sotto i baffi per il buon esito del suo stratagemma, quando l’asino cadde, i dazieri accorsero per aiutarlo e l’imbroglio saltò fuori e il miele confiscato. Da qui nasce il detto “Una cosa è quel che dice Leucone, un’altra quel che porta l’asino di Leucone”.
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O tagli la barba o paghi la tassa
Il 5 settembre 1698 è la data passata alla storia per l’entrata in vigore di una gabella davvero curiosa, la tassa sulla barba, che lo zar Pietro il Grande impose ai suoi sudditi dopo un suo viaggio in Europa. Il fine della nuova imposizione era avviare un processo forzoso di modernizzazione prendendo spunto dagli usi e costumi che il sovrano aveva potuto osservare nelle corti europee. Il sovrano aveva particolarmente apprezzato i volti rasati, freschi e puliti, dei nobili che frequentavano i salotti occidentali. Fu così, si racconta, che il giorno dopo il rientro a Mosca dal suo tour, ossia il 5 settembre 1698, quando gli ufficiali andarono a rendergli omaggio, si armò di rasoio e iniziò a tagliare la barba degli uomini della sua corte. Contemporaneamente promulgò la legge che imponeva a tutti i russi di radersi, erano esentati dall’obbligo soltanto contadini e religiosi. I sudditi faticarono ad accettare la moda occidentale. I russi, infatti, tradizionalmente, sfoggiavano le loro barbe villose non soltanto per ripararsi dal freddo, ma anche per motivi religiosi. Per questo, in molti, si rassegnarono a pagare la “tassa sulla barba”. L’importo non era unico, ma a scaglioni in base al reddito. Per dimostrare il pagamento della gabella veniva consegnato un gettone che riportava la frase “La barba è un peso superfluo”. Le entrate provenienti dal tributo servirono, tra l’altro, a costruire una nuova grande città a cui fu dato il nome dello zar e del primo apostolo, San Pietroburgo.
La tassa fu abolita solo nel 1772. -
Bolivia, per i veicoli c’è un’imposta, non una tassa
L'imposta è applicata sulla proprietà di veicoli a motore di qualsiasi categoria. Sono esentati i veicoli di proprietà degli enti pubblici e quelli utilizzati per motivi di servizio dalle rappresentanze diplomatiche e consolari estere e dagli organismi internazionali. La base imponibile è data dal valore ex dogana del veicolo. Su tale valore è ammesso un deprezzamento annuale del 20 per cento fino a un minimo del 16,8 per cento, che si manterrà fisso fino all'uscita dalla circolazione del veicolo. Su tale base imponibile viene applicato un sistema di aliquote progressive. Nel caso di mezzi utilizzati per il trasporto pubblico di passeggeri o carichi le aliquote sono ridotte della metà (fonte, scheda Paese).