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Analisi e commenti

Algoritmo per creare o applicare il diritto?
Rischi di una giustizia robotizzata

Dinanzi a un problema così vasto e inquietante, si rinnova nell’uomo l’antico conflitto tra la sua indole ‘scientifica’, razionale-probabilistica, e la sua indole ‘etica’, ragionevole-spirituale

robot

Pensando al futuro prossimo del diritto, vien da chiedersi come trovare un modo per adattare la creazione e l’attuazione delle leggi alle potenzialità del digitale e dei big data che in Europa destano un senso di smarrimento, specialmente se volte a risolvere casi giudiziari. In sostanza, possono ‘algoritmi extra-umani’ sostituire gli ‘algoritmi umani’ del diritto che c’è?

Negli ultimi mesi si sono svolti numerosi convegni nei quali è stato affrontato il tema del rapporto tra diritto e intelligenza artificiale e si è progressivamente sviluppata, a più livelli, la dialettica che concerne il problema della “giustizia predittiva”. Del resto, in alcune parti del mondo e per taluni settori del diritto, l’idea di un algoritmo giudiziale basato su big data è divenuta realtà sia per prevedere, con un certo margine di errore, il probabile esito di una lite, sia, addirittura, per pronunciare una sentenza.

Così, pensando al futuro prossimo del diritto, viene da chiedersi come trovare un modo per adattare la produzione e l’attuazione delle leggi alle potenzialità del digitale e dei big data che in Europa destano un senso di smarrimento, specialmente quando tali potenzialità sono rivolte alla creazione di un modo di soluzione di casi giuridici concreti. Si teme, forse, che ‘algoritmi extra-umani’ vestiti di efficienza possano divenire via via dominanti nel diritto vivente e sostituirsi subdolamente agli ‘algoritmi umani’ del diritto che c’è, sia esso di common-law, sia esso di civil-law.
Si percepisce, probabilmente, il rischio di disperdere ‘algoritmi impliciti’, ma esplicitabili, a noi consegnati da tradizioni millenarie che, pur mutevolmente, hanno comunque garantito il vivere sociale dell’uomo.

In effetti, ‘app oracolari’, da utilizzare via web, potrebbero dar vita a un globale diritto-veloce (fast-law) che sarebbe figlio di “correlazioni” potenti ed efficaci che rimarrebbero, però, imperscrutabili e irreversibili, in specie se fatte di medie, clusters, regressioni lineari e altre analisi massive di tipo iterativo incompatibili con le logiche di verità di giustizia del nostro diritto. L’applicazione generalizzata di tali “correlazioni” lascia prefigurare, soprattutto in un ambiente di civil-law, una società non più normata da uomini ma normalizzata da non-umani, una ‘non-società’, nella quale, in fondo, gli uomini sarebbero destinati “a viver come bruti”.

Dinanzi a un problema così vasto e inquietante, si rinnova nell’uomo l’antico conflitto tra la sua indole scientifica, razionale-probabilistica, e la sua indole etica, ragionevole-spirituale. La prima, sulla premessa del primato della scienza, considera possibile la decisione giudiziale presa da un robot e conduce l’uomo a ritenere di poter conseguire in questo modo un diritto migliore di quello attuale. La seconda, sulla premessa che mai i numeri potranno giungere ove le parole, le idee e i concetti possono arrivare, considera il diritto fatto di parole, idee e concetti carattere imprescindibile del vivere sociale e denuncia il rischio di produrre, ricorrendo al robot, un diritto peggiore di quello attuale. Che fare dunque? Se rimanere inerti non è possibile, allora forse occorre concentrare ogni sforzo nel cercare il tipo dell’algoritmo umano (il ‘civil-law-algorithm’) che è motore (‘core’) implicito della nostra tradizione logica sussuntiva, causale o giustificativa, e  che concorre con l’altro algoritmo (il common-law-algorithm) che è, invece, core della tradizione analogica, anch’essa causale o giustificativa.

Reperiti in natura i due tipi di algoritmo e fatta di essi l’unione, il risultato ottenuto dovrebbe costituire il più credibile alternativo di quel ‘extra-human-algorithm’ che allo stato non esiste, ma che viene da molti considerato il probabile prossimo portato dell’intelligenza artificiale e che, comunque, ben diverso sarebbe, almeno sul piano logico, da un più lontano, ma non impossibile, algoritmo che fosse “correlato” ai ‘film della vita di ognuno’ (‘personal life-movies’).

Ovviamente la ricerca del civil-law-algorithm pone il problema di fissarne il metodo. A tal proposito, forse, il criterio è ‘scegliere l’algoritmo più risalente e più accomunante reperibile nel passato del diritto che c’è’. Se si adotta questo criterio metodologico, allora, con un po' di calcolato coraggio, può forse essere trovato nel nostro diritto continentale un tipo di civil-law-algorithm che può chiamarsi ‘dirittomatematico’, così scritto per sottolineare l’unitarietà della cosa.
Quanto al significato, il senso dato dal nome è ‘diritto producibile o applicabile mediante verità, parole, non numeri, metodi, concetti e simboli matematici’. Come tale, “diritto softwarizzabile” sia a fini legistici, sia a fini applicativi (per i profili concettuali, per i quali è possibile eventualmente consultare www.dirittomatematico.it). Tuttavia, esso è reperibile nei diritti con verità, ossia nei diritti che, a priori, sono validi se veri, cioè conformi a parametri costituzionali o internazionali, e invalidi se falsi, cioè non-conformi a parametri costituzionali o internazionali.

Questi diritti, in genere di fonte legale e indisponibili, sono basati su una relazione a funzionalità dipendente del tipo Y= f (x) che vede la verità portata dal diritto (Y) dipendere dalla verità della legge (f) e dalla verità della fattispecie (x); essi implicano, perciò, un continuo e naturale combinamento delle ‘verità scientifiche’ o delle ‘verità etiche’ incorporate nelle (f) e nelle (x) delle disposizioni giuridiche, siano esse ideali (≡) o puntuali (·), intervallari (—) o impossibili (Æ).
Il ‘dirittomatematico’, alla luce del metodo seguito, tende comunque per forza di cose a essere inclusivo: infatti, considera e relativizza ai loro ambiti di competenza anche i pur marginali ‘diritti senza verità’. Questi diritti, in genere di fonte privatistica e disponibili, sono basati su una relazione a funzionalità indipendente del tipo Y=d che vede, invece, il diritto prescindere dalla verità (in quanto diktat privo di parametri di validità diversi da quelli che legittimano l’autorità al diktat).

In estrema sintesi, rispetto all’algoritmo giudiziale predittivo ottenuto da “correlazioni” poste tra big data, che potrebbe al più essere usato per la selezione e identificazione di categorie di casi e di norme, il ‘dirittomatematico’ si presenta come algoritmo ‘logico-naturale’ utilizzabile come vincolo di metodo della decisione sul caso concreto perché:
a) reale, perciò falsificabile
b) di base, ossia profondo
c) generale, perché utile sia a creare sia ad applicare il diritto
d) semplice, se non banale, perciò senza tempo
e) efficace, perché capace di un immancabile effetto tecnico di validità/invalidità
f) esclusivamente metodologico, ossia non condizionato dall’illusione dell’univocità del giudizio di merito
g) trasparente, perciò controllabile puntualmente dall’uomo
h) analogico-digitale-analogico, e dunque assistito da un doppio controllo umano
i) autonomo dal punto di vista logico, ossia non necessitante né di big data, né di complesse attività di elaborazione informatica
l) inoffensivo, ossia non invasivo della privacy e non implicante profilazioni identitarie
m) “green”, ossia “energy-saving”.

Forse estrarre ‘dirittomatematico’ dal diritto che c’è, e così garantire la pacifica convivenza dell’indole scientifica con l’indole etica secondo la ragione di verità ‘a ciascuno il suo’, implica ancor oggi un coraggio non calcolabile?
O, invece, è proprio la velocità con la quale si diffonde nelle società e nelle culture la “pandemia digitale” basata sul “big data virus a suggerirci di iniziare a sperimentare, come “anti-virus”, un modo nuovo per formulare una ‘leggematematica’, un ‘provvedimentomatematico’, un ‘contrattomatematico’, una ‘sentenzamatematica’, una ‘circolarematematica’, un modo, cioè, per evolvere, e al tempo stesso preservare, l’algoritmo umano del diritto che c’è? Se ogni tentativo inziale è in genere fallace, ma di rado in tutto inutile, perché non iniziare a provare?

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