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Analisi e commenti

Cena natalizia con i dipendenti,
non è una spesa di rappresentanza

I requisiti che caratterizzano tali spese, assicurandone la deducibilità, sono l’inerenza, devono cioè assolvere a finalità promozionali, la ragionevolezza e la coerenza con gli usi commerciali

cena

Le somme utilizzate in occasione di feste aziendali come la cena degli auguri di Natale non possono essere annoverate fra le spese di rappresentanza, se i partecipanti sono esclusivamente i dipendenti. In questo caso è del tutto assente il requisito della promozione dei prodotti o la funzione  rappresentativa esterna della stessa azienda.
Sulla deducibilità dal reddito d’impresa delle spese di rappresentanza si sono espresse più volte sia la prassi che la giurisprudenza.
In particolare, la circolare n. 34/2009 dell’Agenzia ha fornito un quadro dei principi che consentono la deducibilità delle spese di rappresentanza individuati dalla legge finanziaria 2008 e attuati dal decreto ministeriale 19 novembre 2008. Tali spese, in sintesi, sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità (articolo 108, comma 2, Tuir).
Secondo il citato decreto ministeriale, “si considerano inerenti, sempre che effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore.”
La norma dunque collega il requisito di inerenza delle spese alla gratuità e alla specifica destinazione delle stesse che devono assolvere a una finalità promozionale e di consolidamento degli affari dell’impresa.
Riguardo il requisito della congruità, il legislatore ha previsto un limite quantitativo di deducibilità, legato all’ammontare dei “ricavi” conseguiti dall’impresa (plafond di deducibilità).  I parametri sono così aggiornati (articolo 9 del Dlgs n. 147/2015):

  • 1,5% dei ricavi fino a 10 milioni di euro
  • 0,6% dei ricavi da 10 a 50 milioni di euro
  • 0,4% dei ricavi per la parte eccedente i 50 milioni di euro.

Le spese eventualmente eccedenti il predetto limite, al contrario, sono indeducibili e saranno  oggetto di apposita variazione in aumento in dichiarazione.
Tali criteri hanno rappresentato una novità rispetto alla precedente normativa che prevedeva la deducibilità delle spese di rappresentanza nella misura di un terzo del loro ammontare per quote costanti nell’esercizio di sostenimento e nei quattro successivi.
In tema di deducibilità delle spese di rappresentanza, come quelle utilizzate in occasione del pranzo di auguri per le festività natalizie, a fare la differenza sono i partecipanti. Se prendono parte alla cena esclusivamente i dipendenti dell’azienda non si può parlare di spese di rappresentanza in quanto è del tutto assente il requisito dell’attività promozionale del prodotto aziendale, in base ai principi normativi e di prassi esposti. In tal caso si tratta quindi di spese agevolabili il cui costo è deducibile nella misura del 75% della spesa sostenuta, come quella relativa alla somministrazione di alimenti e bevande (articolo 109, comma 5 del Tuir) e nel limite del 5 per mille previsto per le spese per prestazioni di lavoro dipendente risultanti dalla dichiarazione dei redditi (articolo 100, comma 1 del Tuir).
Anche la Corte di cassazione si è più volte espressa sulle somme utilizzate per i pranzi aziendali in occasione delle feste di Natale e sui requisiti che qualificano le spese di rappresentanza. In particolare, con la sentenza n. 36827/2018, i giudici di legittimità hanno ravvisato il reato di peculato per i rappresentanti di un ente pubblico che avevano utilizzato un’ingente somma di denaro, di cui avevano il possesso e la disponibilità per via dell’incarico ricoperto, per offrire un pranzo ai dipendenti in occasione delle festività natalizie.
La Suprema corte ha respinto la tesi difensiva secondo la quale l’offerta del pranzo era finalizzata a “rafforzare i legami tra le varie unità del personale, approvare il nuovo organigramma aziendale e la nuova pianta organica e discutere i futuri obiettivi della mission aziendale”.
La Cassazione, infatti, ha ritenuto che i costi sostenuti non possono essere ricondotti fra le “spese di rappresentanza”, potendosi considerare tali solo quelle che soddisfano il duplice requisito di realizzare un fine istituzionale e di soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell’ente stesso, per accrescere il prestigio dell’immagine e la diffusione delle relative attività istituzionali in ambito territoriale (in tal senso, vedi anche Cassazione n. 16529/2017).  
Pertanto i giudici di legittimità hanno concluso che il concetto di utilizzo del denaro per finalità diverse da quelle istituzionali, nel caso in esame, risulta integrato appieno con la “distrazione di somme” ai sensi dell’articolo 314 del codice penale, che configura il reato di peculato.

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