Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Analisi e commenti

Distribuzione in nero di utili, il socio non può non sapere

In caso di profitti non contabilizzati è legittima la presunzione di spartizione delle somme e di falsa dichiarazione

uomo con 24ore

Nell’ambito di indagini finanziarie sui conti correnti riferibili a società a ristretta base azionaria capita spesso di rilevare il prelievo, non giustificato, di somme destinate ai soci.
In questi casi, tali somme risultano per lo più derivare da utili conseguiti dalla società in evasione di imposta e, per il socio, costituiscono redditi di capitale che non concorrono alla determinazione del proprio reddito complessivo.
Tali utili, naturalmente, non vengono neppure assoggettati ad alcuna ritenuta da parte della società.

È opportuno evidenziare alcune problematiche che è facile riscontrare in caso di contenzioso, laddove, in sede di ricorso, le eccezioni più ricorrenti riguardano il fatto che:

  • non sarebbe stato consegnato al ricorrente il pvc a carico della società di cui egli stesso è socio e dalle cui conclusioni deriverebbe anche l’accertamento nei suoi confronti
  • la società ha nel frattempo concluso un atto di adesione, con cui ha provveduto anche al pagamento delle ritenute sui dividendi occulti
  • essendo tali ritenute a titolo di imposta, niente sarebbe allora dovuto dal socio
  • in ogni caso, non si applica alla fattispecie in esame la norma di cui all’articolo 14 della legge 537/93.

Analizziamo di seguito le descritte eccezioni, evidenziandone i motivi di infondatezza.
Per quanto riguarda il fatto che, non essendo stati fatti visionare al socio né il pvc né gli avvisi di accertamento emessi a carico della sua stessa società, vi sarebbe una violazione nell’ambito della procedura di rinvio per relationem a documenti non allegati poi all’atto di accertamento, basta evidenziare che (spesso, leggendo la motivazione dell’avviso, emerge che non vi è alcuna motivazione per relationem, ma una specifica e autonoma motivazione), comunque, il contenuto degli atti citati è generalmente conosciuto (rectius: conoscibile) dal ricorrente.
Come già ribadito dalla Suprema corte, con la sentenza 21184/2005, infatti, l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii, anche solo per relationem, a quello relativo ai redditi della società, giacché il socio ha in ogni caso il potere (e il diritto) di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione sia dell’accertamento presupposto che dei documenti richiamati a suo fondamento.
A tal proposito, la Corte conclude che “si deve ritenere così che l'obbligo di motivazione degli atti di accertamento può essere assolto dall'Amministrazione finanziaria anche mediante il riferimento a elementi di fatto offerti da documenti che siano nella conoscibilità del destinatario”.

Per quanto riguarda invece la presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati dalla società, si sottolinea che, come recentemente ribadito dalla Cassazione con la sentenza 18640/2008, “nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale deve ritenersi legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, non ricorrendo il divieto di presunzione di secondo grado in quanto il fatto noto non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale”.

La correttezza logico giuridica di tale criterio d’imputazione ai soci degli utili extracontabili è stata del resto ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, sulla considerazione della “complicità” che normalmente avvince i membri di una ristretta compagine sociale (Cassazione, sentenze nn. 941/1986, 5129/1995, 2390/2000, 2606/2000, 3254/2000, 1234/2000 e 4695/2002).
La sentenza 6197/2007 ha inoltre stabilito che sussiste il “consolidato” principio (vedi Cassazione, sentenze nn. 6780, 7564 e 16885, tutte del 2003) secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati”.
I ricavi non contabilizzati, non entrati nelle casse sociali, sono infatti naturalmente considerati distribuiti ai soci in quanto tali (uti soci), quindi senza nessun altro titolo giuridico che la qualità rivestita.
Pertanto, in questi casi, è legittimo presumere che le somme corrispondenti al risultato dell’esercizio economico sono entrate nella disponibilità dei soci.
Gli elementi che consentono il recupero sono infatti costituiti dalla differenza tra l’accertato e il dichiarato (somma da distribuire), il fatto che tale somma non è stata impiegata all’interno dell’impresa, la natura e la funzione pratica delle poste recuperate, il carattere ristretto della compagine sociale e infine la causa tipica del contratto di società (divisione degli utili derivanti dall’attività sociale).

Ancora, per quanto riguarda il profilo delle corrispondenti ritenute, la sentenza della Suprema corte 10982/2007 ha stabilito che “costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale opera la presunzione iuris tantum relativamente alla distribuzione pro quota degli utili extracontabili ai soci di una società di capitali caratterizzata da ristretta compagine partecipativa. Conseguentemente, grava sul soggetto societario l'obbligo di applicare la ritenuta ex art. 27 del D.P.R. n. 600/1973”.
Ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 27 del Dpr 600/1973, infatti, gli utili distribuiti dalle società per azioni e in accomandita per azioni e dalle società, anche cooperative, a responsabilità limitata, comprese quelle di mutua assicurazione, sono soggetti a una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e di quella sul reddito delle persone giuridiche dovute dai soci.
A tal proposito, la sentenza 6456/2002 della Cassazione ha ricordato la circostanza che, in tema di accertamento sui redditi di società per azioni, le somme prelevate dai soci amministratori su conti correnti a essi intestati, sui quali siano transitate operazioni riconducibili alla gestione delle società, devono essere inquadrate come utili extra-bilancio distribuiti e quindi come redditi di capitale.
Né si può del resto ritenere che tali utili, una volta accertati in capo alla società e soggetti, “di forza”, a ritenuta, non debbano essere poi ripresi a tassazione in capo al socio, in quanto la ritenuta sarebbe, per sua natura, a titolo di imposta.
Tale conclusione, ammettendo che comunque non c’è stata alcuna delibera di distribuzione e che gli stessi utili, in nero, non sono stati indicati in bilancio, sarebbe intrinsecamente contraddittoria, laddove faccia rivivere i meccanismi, violati, della ritenuta e della sostituzione di imposta.
Una distribuzione di utili senza delibera comporta infatti un’omissione che nasconde anche un altro aspetto “sostanzialmente” illecito, quale appunto l’evasione, a monte, della società.
La separazione tra la posizione della società di capitali e quella dei soci non può, quindi, costituire un facile schermo al fine di sottrarre i soci all’obbligo di corrispondere il tributo personale, una volta acclarata l’esistenza di maggiori utili percepiti in nero, extra bilancio.

La quota attribuita in via di accertamento al socio non può essere considerata al netto delle imposte che la società è tenuta a pagare (o ha magari pagato in caso di adesione o conciliazione) in quanto, trattandosi di ricavi extracontabili, almeno in riferimento a quelle poste, non sussiste più alcun vincolo di bilancio (e quindi fiscale) tra socio e società e i relativi procedimenti sono nettamente separati e autonomi.
Pertanto, una volta accertato il conseguimento di redditi occulti, conseguono sia la presunzione di distribuzione degli utili ai soci, con relativa tassazione del reddito complessivo, che l’accertamento delle maggiori ritenute e delle relative sanzioni in capo alla società.

Infine, si sottolinea come anche il riferimento all’articolo 14 della legge 537/93 sia in questi casi corretto.
L’eventuale illiceità, sotto il profilo giuridico, dell’attività produttiva non dichiarata non esclude infatti la tassabilità del reddito da essa derivante, essendo il reddito un dato economico e non giuridico.
Chi trae proventi dall’attività illecita realizza, comunque, una ricchezza che costituisce appunto la causa del pagamento di un tributo.
Se dunque è vero che la dichiarazione fraudolenta mediante artifici è un reato (ex articolo 3 del Dlgs 74/2000), oltre che un illecito amministrativo, e se è vero che, grazie a tale dichiarazione fraudolenta, il contribuente ha ottenuto i dividendi non sottoposti a tassazione, a prescindere dalle specifiche responsabilità penali del ricorrente (e considerate comunque quelle amministrative), è chiaro che si sta parlando di proventi illeciti, laddove appunto l’articolo 14 (le cui previsioni sono state oggi estese con l’articolo 36, comma 34-bis, del Dl 223/2006), fin dalla sua prima emanazione recitava che “nelle categorie di reddito di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria”.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/analisi-e-commenti/articolo/distribuzione-nero-utili-socio-non-puo-non-sapere