La sentenza n. 87/1/12 della Ctr Liguria, dello scorso 13 luglio, che ha individuato in Italia il “centro degli interessi vitali” di un soggetto, formalmente residente nel Principato di Monaco, ma, di fatto, con interessi economici prevalentemente localizzati nel territorio dello Stato, offre lo spunto per una riflessione sul tema dell’individuazione dell’effettiva residenza fiscale di un soggetto iscritto all’Aire.
In particolare, data per presupposta la previa valutazione globale di ogni elemento che possa essere utilizzato quale prova della volontà del contribuente di continuare ad abitare in Italia, mantenendovi legami sia di tipo personale e sociale sia di natura economica, si discute sul “peso” degli uni piuttosto che degli altri nel fondare il convincimento finale dell’Amministrazione finanziaria ovvero dei giudici tributari investiti della relativa controversia.
L’interpretazione della nozione di “centro degli affari e interessi” è, infatti, il fulcro attorno al quale ruota la questione della determinazione della residenza fiscale di un soggetto e sul quale viene imperniata la partita giocata tra Fisco e contribuente, che vede schierati il primo nella metà di campo in cui si combatte per l’attrazione della residenza in Italia e il secondo nell’altra metà in cui si cerca di sostenere e difendere con ogni mezzo l’effettiva residenza all’estero.
Tale nozione, peraltro, risalta non solo alla luce del diritto interno, ma anche di quello convenzionale e comunitario, con la conseguenza che le tre diverse fonti giuridiche necessitano di un coordinamento, oltre che di autonoma considerazione, potendo la stessa fattispecie soggiacere alla disciplina prevista da ciascuna di esse.
In primo luogo, qualora si tratti di stabilire la residenza fiscale di un soggetto, generalmente cittadino italiano, che dall’Italia ha trasferito la sua residenza all’estero, viene in rilievo il diritto interno che, prevedendo all’articolo 2, comma 2, del Tuir, quali criteri alternativi tra loro, l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente, il domicilio e la residenza, questi ultimi da intendersi secondo la nozione scritta nel codice civile, fa sì che la sola iscrizione all’Aire non sia determinante per escludere la residenza in Italia del contribuente.
In secondo luogo, poiché la descritta tipologia presenta elementi di estraneità con il territorio dello Stato, al fine di determinare la corretta potestà impositiva dei Paesi coinvolti ed evitare il rischio di una doppia imposizione per la persona fisica, è necessario prendere in considerazione le disposizioni previste dal diritto convenzionale che, ispirate all’articolo 4 del modello Ocse, prevedono, di norma, una serie di criteri applicabili “a cascata”, cosiddetti tie breaker rules, tra i quali, al secondo posto, dopo il possesso di un’abitazione permanente, si colloca proprio il domicilio quale centro di affari e interessi.
Infine, qualora gli Stati coinvolti siano membri dell’Unione europea, o comunque Stati che applicano alcune politiche dell’Unione europea in virtù di una speciale relazione con uno dei Paesi membri, come, nel caso di specie, il Principato di Monaco, i cui confini e territorio doganale sono trattati come parte della Francia, non può essere ignorato quanto previsto dalle direttive del Consiglio nn. 83/182/Cee e 83/183/Cee, entrambe del 1983, così come interpretato dalle sentenze della Corte di giustizia (cause nn. C-262/99 del 12 luglio 2001, C-156/04 del 7 giugno 2007 e C-392/05 del 26 aprile 2007).
In particolare, le due direttive, che hanno il comune scopo di favorire la libera circolazione dei privati, residenti comunitari, all’interno della allora Comunità, ora Unione europea, eliminando gli ostacoli fiscali alle importazioni rispettivamente di taluni mezzi di trasporto ovvero di beni personali, sono state oggetto delle riportate pronunce dell’organo giurisdizionale europeo che si è soffermato sull’interpretazione da attribuire all’articolo 7, comma 1, della direttiva n. 83/182/Cee, e all’articolo 6, comma 1, della direttiva 83/183/Cee. Due disposizioni che prevedono i medesimi criteri al fine di stabilire la “residenza normale” di un soggetto all’interno di un determinato Stato membro.
Più precisamente, i suddetti articoli stabiliscono che, per l’applicazione delle direttive in argomento, deve intendersi per “residenza normale” il luogo di dimora abituale, rappresentato dalla permanenza nello stesso luogo per almeno 185 giorni all’anno, in considerazione dei legami personali e professionali, “oppure, nel caso di una persona senza legami professionali, a motivo di legami personali che rivelano l’esistenza di una stretta correlazione tra la persona in questione e il luogo in cui abita”. Inoltre, i commi 1 di ambedue gli articoli proseguono disponendo che “Tuttavia, nel caso di una persona i cui legami professionali siano situati in un luogo diverso da quello dei suoi legami personali e che pertanto sia indotta a soggiornare alternativamente in luoghi diversi situati in due o più Stati membri, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi ritorni regolarmente. Questa condizione non è richiesta allorché la persona effettua un soggiorno in uno Stato membro per l’esecuzione di una missione di durata determinata. La frequenza di un’università o di una scuola non implica il trasferimento della residenza normale”.
La Corte di giustizia ha, in primo luogo, ribadito la necessità di un esame cumulativo di tutti gli elementi di fatto rilevanti ai fini della determinazione del “centro permanente di interessi” di un soggetto in un dato Stato e, quindi, sia dei legami personali sia di quelli professionali, avendo riguardo alla loro durata e, in particolare, alla “presenza fisica, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo dove i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo di esercizio delle attività professionali, il luogo in cui vi siano interessi patrimoniali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali, nei limiti in cui i detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità al luogo di collegamento, a motivo di una continuità che risulti da un’abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali”.
Inoltre, dopo aver sottolineato che, mentre la frequentazione di un istituto scolastico da parte dell’interessato non implica trasferimento della relativa residenza, ma che detto elemento, considerato nel contesto familiare, può costituire un indizio di tale trasferimento nel caso in cui riguardi i suoi figli, la Corte di giustizia ha stabilito che, il comma 1 degli articoli 6 e 7 delle suddette direttive, debba essere interpretato nel senso che, nel caso in cui una valutazione globale di tutti gli elementi non consenta l’individuazione del centro permanente degli interessi, stante una diversa collocazione geografica dei legami personali e di quelli patrimoniali, i primi devono essere considerati prevalenti.
Quanto affermato dalla Corte di giustizia Ue, è stato richiamato, quale principio di carattere generale, dapprima nella sentenza 13803/2001 della Cassazione, relativa a una controversia tra il Fisco e un soggetto iscritto all’Aire con formale residenza a Londra, ma di fatto residente a Milano, risolta a favore del primo sia sulla base del diritto interno sia di quello convenzionale e soprattutto comunitario.
Il principio della preminenza degli interessi personali su quelli di natura economica, infatti, è stato dichiarato espressamente applicabile alla fattispecie in oggetto dai giudici di ultima istanza, ad avviso dei quali “non pare dubbio che il predetto principio, avendo la Corte affermato che lo stesso consente una migliore attuazione della libera circolazione dei residenti comunitari all’interno della comunità (punto 58 della motivazione), abbia una forza espansiva, che lo rende applicabile anche al di fuori dell’oggetto del processo a quo”.
Successivamente, altre due pronunce della medesima Corte (sentenze 9856/2008 e 14434/2010) hanno richiamato e fatto espressa applicazione del principio in questione.
Con riferimento all’ultima pronuncia, la Corte suprema ha ribadito che “l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali” e ha sostenuto che “Al riguardo, utili elementi interpretativi possono desumersi dalla giurisprudenza comunitaria, perché, pure in riferimento ad un rapporto non caratterizzato dalla rilevanza delle relative norme e benché la materia delle imposte dirette non rientri nelle competenze dell’Unione, non può negarsi che l’esercizio di tale competenza da parte degli Stati membri non può prescindere dal diritto UE”.
In merito invece alla sentenza del 2008, è interessante notare che la stessa riguardava una disputa in ordine alla effettiva residenza in Italia di un soggetto che si dichiarava, a seguito di iscrizione all’Aire, residente nel Principato di Monaco, stesso Paese di formale residenza del contribuente che ha proposto il ricorso oggetto della recente pronuncia della Ctr Liguria, la quale, tuttavia, non ha richiamato, né sembra aver applicato, nei vari passaggi logico-motivazionali, il principio espresso in sede comunitaria.
Nel caso specifico, infatti, la Commissione tributaria ha ritenuto fondate le ragioni del Fisco italiano sulla base delle “proprietà immobiliari in Italia che – ancorché in uso a parenti del contribuente – debbono essere dichiarate, e sono, unitamente ai contratti assicurativi stipulati in tale Paese e ai redditi (tra l’altro di ammontare non rilevante) certificati da CUD, indicative di consistente centro di interesse economico, da ritenere prevalente in assenza di diversa prova”. Inoltre, la Commissione ha proseguito rilevando che una prova, sia pur debole, è stata fornita dal contribuente in merito alla residenza all’estero, limitatamente ai suoi rapporti sociali e assistenziali, mentre “nulla viene validamente provato, per contro, in ordine alla consistenza economica del centro di interesse nel Principato, ovvero redditi tali da dimostrare prevalenza di tale centro di interesse rispetto a quello esistente in Italia”.
E’ indubbio, però, che la presenza in Italia di una moglie “per la quale non esiste alcun provvedimento che attesti la separazione” dal contribuente, residente tra l’altro nell’immobile di proprietà di quest’ultimo e avente lo stesso indirizzo presso il quale il ricorrente ha individuato, con la dichiarazione dei redditi, il proprio domicilio fiscale, nonché di una figlia, con la quale il contribuente ha acquistato un altro immobile in Italia, siano indiscutibili legami di tipo personale che la Commissione tributaria avrebbe ben potuto valorizzare sulla scorta della giurisprudenza interna e comunitaria dettata sull’argomento.
Dov’è la vera residenza fiscale?
Probabilmente dove porta il cuore
Per individuarla, sia il diritto interno sia quello convenzionale e quello comunitario guardano prima ai legami personali poi agli interessi economici, superando l’Aire
