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Analisi e commenti

Guadagni e perdite da fair value
fra utile netto e complessivo (1)

Ultimo intervento di ordine generale. L’argomento: la performance del bilancio Ias e la sua rappresentazione

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Una premessa e una promessa. La nostra discussione resta, al momento, su un piano generale, per grandi linee. La contabilizzazione pratica dei fatti di gestione e l’individuazione del significato e dei criteri di misurazione del fair value saranno approfonditi in successivi interventi. E’ importante ribadirlo, soprattutto adesso che affrontiamo un argomento emblematico delle dinamiche Iasb. Delle modalità con cui vengono prese le decisioni e, talvolta, dell’incoerenza di queste ultime rispetto ai principi, enunciati o messi nero su bianco, nel Framework e negli Ias/Ifrs stessi.   Ma tant’è. Uno standard contabile internazionale si sviluppa e arriva all’“entrata in vigore” fra i compromessi. Per chi mastica la materia, è un po’ - sotto altri aspetti - quello che avviene per l’Iva: le regole sono sovrastate dalle eccezioni, figlie, il più delle volte, della necessità di accontentare i vari Stati, con le proprie esigenze. Per gli Ias/Ifrs non vi sono direttive ma regolamenti e, quindi, il lavoro di “composizione di interessi” è fatto a monte. Il percorso che ha portato alla nascita e alla revisione dello Ias 1 (“Presentazione del bilancio”) non si allontana affatto da tale copione.   I principi generali Parlavamo di principi e, allora, partiamo subito con il ricordare quello fondamentale per il tema che stiamo trattando: gli standard contabili internazione si basano sull’asset-liability view. Tutti gli incrementi/decrementi di attività e passività che aumentano/diminuiscono il patrimonio – fatta eccezione per conferimenti e rimborsi di capitale – costituiscono ricavi o costi. Non è mai stato in discussione. Abbiamo visto come, parlando della conservazione del capitale, il paragrafo 81 del Framework puntualizzi che le plusvalenze/minusvalenze iscritte – derivanti da rivalutazione, svalutazioni o riscrittura, di attività e passività – soddisfano la definizione di ricavo o costo.   Il paragrafo 81, però, aggiunge anche che tali guadagni/perdite “non sono inclusi nel conto economico in base ad alcuni concetti propri della conservazione del capitale. Tali elementi sono invece inclusi nel patrimonio netto come rettifiche per la conservazione del capitale o riserve di rivalutazione”.   Il bilancio. Da Framework al vecchio Ias 1 Seguendo l’impostazione data dal Framework, dunque, avremmo dovuto trovare (escludendo - almeno per il momento - gli altri prospetti facenti parte del bilancio, vale a dire quello delle variazioni di patrimonio netto, il rendiconto finanziario e le note) uno stato patrimoniale, al cui interno la sezione del patrimonio netto accoglie anche i maggiori/minori valori iscritti sulle attività/passività – nei casi in cui è prescritto o consentito tale trattamento contabile – e un conto economico che restituisce l’utile d’esercizio:

      E’ andata davvero così? Non proprio.   Non proprio, perché (tralasciando le circostanze in cui rideterminazioni di valori al ribasso e al rialzo possono avere trattamenti contabili differenti) non tutte le variazioni di fair value è stato stabilito dovessero terminare la loro corsa fra le riserve di patrimonio.

      Su che base tale distinzione? Occorrerebbe analizzare i singoli casi (cosa che faremo più avanti nel nostro percorso) per abbozzare una spiegazione.   Il termine “abbozzare” non deve sembrare improprio, dal momento che un discrimine logico, fondato su solide basi concettuali, per includere fra gli utili alcune variazioni di fair value, escludendone altre, in effetti, non c’è. Una dimostrazione? Le regole per la presentazione del bilancio sono state riviste nel 2007 (nel prossimo articolo vedremo in che termini) e ancora si sta lavorando per ulteriori modifiche. Nel corso delle riunioni che portarono allo Ias 1 revised il Board ebbe modo di osservare quanto segue: “La rilevazione degli utili non dovrebbe essere basata sul concetto di “realizzazione”…“Realizzazione” significa qualcosa di diverso nei vari Paesi. In Europa e in Asia rimanda al profitto netto disponibile per la distribuzione. Tuttavia, negli Stati Uniti ci si riferisce alla conservazione del capitale. Problema critico per l’Europa è lo stabilire se i guadagni da mark to market (quando il fair value coincide con valore di mercato ndr) sono distribuibili … Si osserva però che gli utili distribuibili non sono un problema contabile, ma un problema giuridico dei Paesi interessati”.   Un’implicita ammissione che l’impianto allora esistente era un ibrido. Non osservante del Framework nella parte che “consigliava” la rilevazione al di fuori dell’utile delle variazioni di valori di attività e passività. Ma nemmeno, all’opposto, in quella che – riconoscendo a tali variazioni comunque la natura di ricavi e costi – avrebbe potuto, al limite, giustificarne la globale inclusione nel conto economico.   Non solo. Nella bozza di Ias 1 rivisto nel 2007, al paragrafo BC 13 si legge: “Il Quadro sistematico non definisce l’utile d’esercizio (profit or loss) né distingue le caratteristiche degli elementi che dovrebbero essere inclusi nel conto economico da quelle degli elementi che devono essere esclusi dal conto economico. Pertanto … è concettualmente corretto per l’entità presentare tutte le modifiche dovute ai non soci in un singolo prospetto perché non ci sono principi chiari o caratteristiche comuni che possono essere utilizzati per separare i vari elementi”.   Tale presa di coscienza, ma soprattutto l’esigenza, sempre avvertita, di migliorare l’utilità delle informazioni fornite agli investitori e di arrivare a una convergenza con gli Us Gaap, hanno prodotto il più volte citato nuovo Ias 1, pubblicato il 6 settembre 2007, le cui modifiche sono diventate obbligatorie “al più tardi a partire dalla data di inizio del … primo esercizio finanziario che cominci dopo il 31 dicembre 2008” (articolo 2 del regolamento (Ce) 1274/2008 del 17 dicembre 2008).
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