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Analisi e commenti

Locazione immobili strumentali:
è legittima la doppia tassazione?

In base a quanto previsto dalla normativa interna convivono Iva e imposta di registro. I dubbi di una parte della giurisprudenza e l’atteso intervento della Corte di giustizia europea

Sull’applicazione dell’imposta di registro dell’1% ai contratti di locazione di beni immobili strumentali soggetti a Iva, è sorto un contrasto interpretativo tra le sezioni della Ctr Lombardia: una parte dei giudici, infatti, ritiene che la doppia imposizione Iva-registro sia in contrasto con il diritto europeo. Sulla questione è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di giustizia.

Il contrasto giurisprudenziale
Con due recenti pronunce la Ctr Lombardia si è espressa in merito alla problematica concernente l’imposta di registro applicata nella misura dell’1% alla registrazione dei contratti di locazione di immobili strumentali, e relative pertinenze, soggetti a Iva (articolo 5, lettera a-bis, Tariffa, Parte prima, allegata al Dpr 131/1986).
Le controversie, in particolare, concernono sia l’impugnazione degli avvisi di liquidazione emessi a seguito del mancato versamento dell’imposta in sede di registrazione dei contratti sia l’impugnazione di dinieghi sulle istanze di rimborso presentate dai contribuenti nei casi di imposta di registro assolta.
In entrambe le fattispecie, i ricorrenti eccepiscono una violazione dell’articolo 401, Direttiva 2006/112/Ce, che vieta agli Stati membri di istituire o mantenere imposte, diritti o tasse che abbiano il carattere di imposta sul volume di affari.
Sulla questione si registra un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di merito, a volte anche in seno alla medesima Commissione tributaria. È il caso della Commissione Tributaria della Lombardia.
Infatti, secondo i giudici della sezione 33 della Ctr di Milano (sentenza 2001/2017) appare evidente che l’imposta di registro dell’1% abbia natura di imposta sul volume d’affari, ove si consideri, tra l’altro, che “la stessa condivide con l’Iva, oltre alla proporzionalità anche la stessa base imponibile data dall'ammontare dei canoni di locazione, differenziandosi dall’Iva solamente per il fatto che manca del carattere della neutralità tipico di quest'ultima, non essendo presente un meccanismo similare a quello della detrazione. Tale ultima differenza rafforza la qualificabilità dell'imposta di registro in esame quale imposta sul volume d'affari, come tale in contrasto con l'articolo 401 della Direttiva Iva, in quanto il contribuente, per la medesima operazione, sulla medesima base imponibile, si troverebbe, in tal modo, a scontare una doppia tassazione per via di una sostanziale deroga introdotta dal legislatore rispetto al principio di alternatività Iva-registro previsto dall'articolo 40, Dpr 131/1986”.
A conferma di tale interpretazione, i medesimi giudici richiamano alcuni precedenti giurisprudenziali di merito; in particolare, le pronunce della Ctr di Milano, nelle quali si afferma che “la proporzionalità dell'imposta di registro, nella misura dell'uno per cento, sul canone di locazione di beni strumentali soggetto a Iva, è in contrasto con la richiamata direttiva Cee 2006/112/Ce, in quanto ha natura di imposta sul giro di affari” (Ctr Milano, sentenze nn. 857/2015; 4648/2015 e 3663/2014).
Di segno opposto, invece, è la sentenza n. 2387/15/2017 della stessa Ctr Lombardia. In questo caso, i giudici di seconde cure hanno annullato la sentenza di primo grado affermando che “la tesi del primo giudice, secondo cui la fonte normativa posta dall’Agenzia a fondamento della pretesa sarebbe in contrasto con la Direttiva Comunitaria 112/2006, non è condivisibile stabilito che i canoni di locazione dei cespiti strumentali percepiti dalle immobiliari sono soggetti a imposta di registro proporzionale anche se sono già stati assoggettati a Iva” .
 
Il rinvio alla Corte di giustizia
La posizione non univoca della giurisprudenza di merito, l’assenza di decisioni di legittimità sull’argomento e, inoltre, il dubbio che tale imposta, essendo calcolata sulla medesima base imponibile dell’Iva, comporti, di fatto, una duplicazione di quest’ultima, hanno indotto la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano a sottoporre la questione alla Corte di Giustizia (Causa C-549/16).
Con ordinanza del 25 ottobre 2016, n. 50, infatti, la Commissione ha posto al giudice europeo una questione pregiudiziale con riguardo a “se l’articolo 401 della direttiva 2006/112/Ce (…), debba essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e l’imposta di registro (a carico dei contratti di locazione di beni strumentali (…) possono essere riscosse in modo cumulativo ovvero che siffatto ultimo tributo abbia il carattere di un’imposta sul volume di affari”.
 
La normativa di rifermento
L’articolo 40, comma 1, Dpr 131/1986 dispone che “per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa”. A tal fine, “si considerano soggette all’imposta sul valore aggiunto anche le cessioni e le prestazioni per le quali l'imposta non è dovuta a norma dell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e quelle di cui al sesto comma dell’articolo 21 dello stesso decreto, a eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10, primo comma, numeri 8), 8-bis), e 27-quinquies, dello stesso decreto (…).”.
Con il decreto legge “Visco-Bersani” (Dl 223/2006) il legislatore ha modificato il predetto articolo 40, prevedendo sostanzialmente che le locazioni di beni immobili strumentali devono essere registrate in termine fisso e assoggettate al pagamento dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, indipendentemente dal regime di imponibilità, ai fini Iva, dei relativi contratti.
L’articolo 35, comma 10, lett. b), del predetto Dl, infatti, ha introdotto il comma 1-bis all’articolo 40, ai sensi del quale “sono soggette all’imposta proporzionale di registro le locazioni di immobili strumentali, ancorché assoggettate all’imposta sul valore aggiunto, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 …”.
Il medesimo articolo 35, comma 10, con  la lett. c), ha introdotto all’articolo 5 della Tariffa allegata al Dpr 131/1986, la lettera a-bis) ai sensi della quale sono da assoggettare a registrazione in termine fisso nella misura dell’1% le locazioni e gli affitti di beni immobili “quando hanno per oggetto immobili strumentali, ancorché assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
 
Fase contenziosa e giurisprudenza
Il contenzioso scaturisce dalla presunta incompatibilità della disciplina nazionale con la normativa comunitaria, in particolare con l’articolo 401, Direttiva 2006/112/Ce, ai sensi del quale “Ferme restando le altre disposizioni comunitarie, le disposizioni della presente direttiva non vietano a uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari, sempreché tale imposta, diritto o tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera”.
La ratio della norma è quella di evitare un’indebita duplicazione d’imposta. Una stessa operazione già sottoposta a Iva non dovrebbe essere assoggettata ad altra imposta con le stesse caratteristiche base della prima. Importante è, quindi, chiarire quali siano queste caratteristiche.
Al riguardo, la Corte di giustizia con diverse pronunce (cfr per tutte, sentenza 3 ottobre 2006, causa C-475/03 in materia di Irap) ha affermato che un tributo, per considerarsi una imposta sulla cifra d’affari ai sensi dell’articolo 401 della Direttiva, deve presentare tutte e quattro le caratteristiche dell’Iva e cioè: generalità di applicazione alle operazioni aventi a oggetto beni e servizi; proporzionalità al prezzo del bene o servizio fornito; applicazione in ogni fase della catena di produzione, inclusa la vendita al dettaglio; detraibilità degli importi pagati nelle fasi precedenti con conseguente ricaduta del peso dell’imposta sul consumatore.
Ed è proprio sulla base dei citati elementi che la Corte di Giustizia dovrà pronunciarsi ed eventualmente affermare la legittimità dell’imposta proporzionale di registro di cui all’articolo 40, comma 1-bis, Dpr 131/1986 e articolo 5, lettera a-bis, Tariffa, Parte prima allegata.
Volendo richiamare alcuni precedenti della giustizia comunitaria, non può non essere menzionata la sentenza del 16 dicembre 1992, emessa nel procedimento C-208/91, concernente la legittimità dell’imposta applicata in Francia sui trasferimenti di beni immobili (terreni edificabili) già assoggettati a Iva.  La Corte – in relazione all’articolo 33 della VI Direttiva Iva, n. 1977/388/Cee - “rifuso” nell’attuale articolo 401, Direttiva n. 2006/112/Ce –  ha ribadito che “l’Iva si applica in modo generale alle operazioni aventi a oggetto beni o servizi, è proporzionale al prezzo di detti beni e servizi, viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione e, infine, si applica sul valore aggiunto dei beni e dei servizi, in quanto l’imposta dovuta in occasione di un’operazione viene calcolata previa detrazione di quella che è stata versata all’atto della precedente operazione”. Inoltre, ha affermato che “si deve poi constatare che una tassa come quella considerata dal giudice nazionale non presenta le summenzionate caratteristiche essenziali dell’Iva. Infatti, in primo luogo, le imposte di registro, quali quelle descritte dal giudice nazionale, non costituiscono un’imposta generale poiché esse riguardano solo beni immobili, ceduti a titolo oneroso, il cui trasferimento comporta varie formalità. Tali imposte non sono quindi intese a gravare su tutte le operazioni economiche nello Stato membro considerato. In secondo luogo, non si tratta di un procedimento di produzione e di distribuzione poiché le imposte di registro sono riscosse unicamente quando il bene immobile entra nel patrimonio del consumatore finale. Inoltre, esse non possono essere detratte da imposte aventi stessa natura, versate in occasione di trasferimenti immobiliari successivi. Infine, la riscossione di siffatte imposte non tiene conto del valore aggiunto, ma si basa su tutto il valore del bene”.
In questo caso, i giudici comunitari hanno poi concluso statuendo che “(…) l’articolo 33 della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione o al mantenimento in vigore di un’imposta nazionale avente le caratteristiche delle imposte di registro (…)”.
 
A livello nazionale si segnalano - in aggiunta alla sentenza n. 2387/15/2017 della Ctr della Lombardia – altre pronunce di merito che si sono espresse affermando la legittimità della norma in argomento. Si richiamano, in particolare, le sentenze n. 41/7/2016, Ctp di Perugia (depositata il 25 gennaio 2016) e n. 5576/34/2016, Ctr di Milano (depositata il 31 ottobre 2016).
In quest’ultima sentenza vengono altresì definite le differenze tra le due imposte: “nell’imposta di registro è l’intera prestazione (il canone di locazione) che viene calcolata; per l’Iva è la differenza di valore che si è prodotta nello scambio (del servizio). Nella prima la percentuale si applica sul canone, da cui si ricava l’imposta. Nella seconda l’imposta non grava sul locatore, ma sul consumatore finale; tanto che il locatore – a cui l’imposta viene anticipata dal conduttore – potrà compensarla con l’imposta pagata (per esempio) sulle spese di manutenzione. I presupposti dei due istituti fiscali sono dunque del tutto differenti e non risponde al vero che si tratti di imposte simili, duplicate illegittimamente dal legislatore nazionale”.
 
Allo stato attuale, quindi, solo la pronuncia della Corte di Giustizia potrà quindi risolvere definitivamente la questione.
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