Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Analisi e commenti

Quando la ritenuta si applica ai corrispettivi elargiti da non residenti

Non è evento raro che soggetti residenti all’estero commissionino prestazioni di servizi a contribuenti fiscalmente residenti nello Stato

Tra queste l’organizzazione di guide turistiche, l’allestimento di stand fieristici. In questo ambito il ruolo delle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione (che possono derogare al regime delle ritenute nel caso in cui stabiliscano la non tassabilità in Italia di un certo reddito) appare molto limitato. Tale affidamento diviene una necessità nel caso di una azione giudiziaria intrapresa in Italia da una società straniera nei confronti di una controparte nazionale, dato che la rappresentanza in giudizio dovrà essere effettuata da soggetti abilitati alla professione forense nel nostro ordinamento. Di grande frequenza, ovviamente, sono i casi di corrispettivi elargiti a seguito di cessioni di beni esportati o ceduti all’estero, ma queste fattispecie ricadono esclusivamente nel reddito d’impresa o, residualmente, nei redditi diversi e non vedono scattare l’applicazione della ritenuta d’acconto, come si preciserà in seguito.

Non residenti e natura di sostituto d’imposta
I soggetti elencati tassativamente nell’articolo 23 del Dpr n. 600 del 29 settembre 1973 sono sempre obbligati, nel nostro ordinamento, a effettuare la ritenuta a titolo di acconto. Tra di essi si segnalano, a titolo non esaustivo, gli imprenditori individuali, gli esercenti arti e professioni, le società di persone, ed i soggetti ricompresi nel primo comma del vigente articolo 73 del Tuir (già articolo 87). Sul versante dei soggetti esteri tenuti ad assumere la veste di sostituto d’imposta, l’articolo 73 comma 1 lett. d elenca "le società ed enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato".

Le problematiche applicative

A seguito di tale obbligo sorgono però delle problematiche applicative, come evidenziato da una prassi consolidata del ministero delle Finanze (risoluzione ministeriale 12/649 dell’ 8 luglio 1980). Nella fattispecie portata all’esame del ministero un professionista chiedeva se l’ente non residente da cui percepiva un compenso dovesse assoggettarne l’ammontare alla ritenuta d’acconto. Il ministero, pur stabilendo, in punto di diritto, che l’ente estero è senza dubbio ricompreso fra i sostituti d’imposta, ha precisato che nel caso "di enti che non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi nel nostro Paese in quanto quivi non soggetti d’imposta, si esprime l’avviso che nei confronti di tali enti mancherebbero i presupposti per attribuire loro la funzione di sostituto d’imposta". Tali soggetti vanno esclusi, in concreto, dall’effettuazione della ritenuta "per ovvi motivi inerenti la delimitazione territoriale della potestà tributaria dello Stato". Nel caso, invece, i soggetti non residenti siano tenuti a presentare la dichiarazione in Italia per propri redditi imponibili nello Stato, essi saranno obbligati anche alla effettuazione della ritenuta e alla conseguente presentazione del Modello 770. Con riferimento alle ulteriori categorie di soggetti elencate dal citato articolo 23 e non ricomprese nel comma 1, lettera d dell’articolo 87 del Tuir (ad esempio lavoratori autonomi o imprenditori individuali) è di interesse evidenziare che anche le istruzioni al Modello 770 ordinario 2007 (per redditi 2006) quando elencano tali soggetti obbligati alla presentazione del modello, non specificano espressamente che essi debbano risiedere nello Stato. Alla luce della normativa e della prassi richiamate, appare quindi prudenziale che i soggetti residenti all’estero, appartenenti alle categorie elencate dall’articolo 23 del Dpr 600 del 1973 (ove applicabili per assimilazione) e che esercitino tali attività nel territorio dello Stato, effettuino la ritenuta sui corrispettivi erogati a contribuenti italiani.

Il ruolo delle convenzioni internazionali
In tale materia il ruolo delle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione (che, ex articolo 75 Dpr 600 del 1973, possono derogare al regime delle ritenute, nel caso in cui stabiliscano che un certo reddito non è mai tassabile in Italia) appare molto limitato. Nel caso di committente estero e prestatore d’opera nazionale, infatti, il prestatore d’opera viene ordinariamente tassato nello Stato in cui è residente come emerge ad esempio dall’articolo 14 della Convenzione Italia-Usa (17 aprile 1984) relativo alle "Professioni indipendenti", o, comunque, dall’articolo 7 (utili delle imprese) fatti salvi i casi particolari in cui il prestatore d’opera abbia stabile organizzazione o base fissa nello Stato del committente, ivi prestando i propri servizi. Nella grande maggioranza delle fattispecie il prestatore d’opera è stato incaricato, infatti, proprio perchè residente in Italia, e per realizzare la prestazione nel territorio dello Stato, tutti elementi che rendono imponibile il provento esclusivamente in Italia, come è possibile evincere anche dal raffronto con il Modello di convenzione Ocse, su cui del resto si basano generalmente tutte le convenzioni stipulate dall’Italia.

Natura reddituale dei corrispettivi e assoggettabilità a ritenuta
Una volta approfondito il versante soggettivo (quali soggetti esteri devono assumere la veste di sostituto d’imposta) è necessario identificare i requisiti oggettivi per l’effettuazione della ritenuta, che consistono nella natura reddituale del corrispettivo che spetta al contribuente residente. È possibile infatti affermare che, con riferimento ai requisiti oggettivi, la ritenuta dovrà essere effettuata a seconda che la categoria di reddito cui è ascrivibile il corrispettivo sia o meno espressamente contemplata dagli articoli 23 e seguenti del Dpr 600 del 1973. Nel caso in cui il contribuente residente eserciti un’attività imprenditoriale, il regime delle ritenute disciplinato dal Dpr n. 600 del 1973 non troverà applicazione, come noto, dato che fra le fattispecie tipizzate dagli articoli 23 e seguenti non è ricompresa quella del reddito d’impresa. Ne consegue che i corrispettivi inerenti le cessioni di beni sono generalmente esclusi dall’applicazione della ritenuta, poiché solitamente confluiscono nel reddito d’impresa del percipiente; altrettanto avverrà per le prestazioni di servizi effettuate da un imprenditore commerciale, o comunque da un soggetto che opera in regime di reddito d’impresa (ad esempio una azienda sanitaria per talune attività tipiche). La considerazione formulata per i redditi d’impresa non vale, però, in particolari ipotesi elencate dagli articoli 23 e seguenti del Dpr 600 del 1973. Tra queste è ricompreso il reddito d’impresa percepito dall’agente di commercio, oltre che fattispecie similari elencate nell’articolo 25bis del Dpr 600 del 1973 (prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari), con la rilevante eccezione che tale ritenuta non si applica ad una serie di prestazioni elencate nel comma 5 dell’articolo citato, tra cui le "provvigioni percepite dalle agenzie di viaggio…" e "dai rivenditori autorizzati di documenti di viaggio relativi ai trasporti…". Al contrario, il corrispettivo per l’alienazione di un bene strumentale spettante a un lavoratore autonomo residente (che, dalla promulgazione della Finanziaria 2007, vede l’imponibilità della relativa plusvalenza) non è sottoposto a ritenuta alla luce della tassativa previsione dell’articolo 25 Dpr 600 del 1973, limitata ai soli compensi "per prestazioni di lavoro autonomo". Con riferimento alla categoria dei redditi diversi, si segnala invece che sono sottoposti a ritenuta ex articolo 25 comma 1 del Dpr 600 del 1973 i redditi di cui all’articolo 67 comma 1 lettera l, ovvero "i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere" (l’ultima parte del periodo costituisce una novità introdotta dall’articolo 36 comma 4 del decreto legge 223/2006).

Certificazione del sostituto d’imposta e sanzioni applicabili
Il soggetto residente dovrà ricevere una certificazione del sostituto d’imposta (relativa all’ammontare della ritenuta effettuata) entro il 28 febbraio dell’anno successivo, come stabilito dall’articolo 4 del Dpr 322 del 1998, per indicare nella propria dichiarazione dei redditi l’ammontare già sottoposto a ritenuta e scomputarlo dall’imposta dovuta. Per agevolare il committente estero sarà quindi opportuno emettere una fattura (o una nota, nel caso in cui il soggetto italiano non sia detentore di partita Iva in quanto non esercitante abitualmente un’attività commerciale o professionale) con la precisa indicazione dell’importo da sottoporre a ritenuta e dell’ammontare della stessa, desunto dagli articoli 23 e seguenti del Dpr 600 del 1973. Si evidenzia che l’omessa effettuazione di ritenute alla fonte e il conseguente omesso versamento da parte del sostituto sono sanzionati dagli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 471 del 1997, pur con la possibilità di addivenire al ravvedimento operoso regolarizzando il pagamento del tributo, degli interessi e della sanzione in misura ridotta; una fattispecie inerente l’applicazione concreta di entrambe le sanzioni è stata recentemente affrontata dalla risoluzione n. 165 dell’Agenzia delle Entrate in data 11 luglio 2007. Per il caso di importi certificati e non versati, superiori a 50mila euro per periodo d’imposta, il sostituto è inoltre assoggettabile alla sanzione penale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 74 del 2000 (fattispecie reintrodotta nel nostro ordinamento a partire dal 1° gennaio 2005) o alla sanzione di cui all’articolo 10-quater del medesimo decreto nel caso di indebita compensazione che superi la soglia monetaria sopra citata (fattispecie introdotta a partire dal 4 luglio 2006).
URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/analisi-e-commenti/articolo/quando-ritenuta-si-applica-ai-corrispettivi-elargiti-non