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Analisi e commenti

Il reclamo e la mediazione fiscale
per diminuire la conflittualità (1)

La disciplina è inserita nelle disposizioni sul contenzioso tributario ma la sua natura è squisitamente amministrativa, tipica degli strumenti deflativi

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Tra i molti obiettivi che il legislatore fiscale persegue da tempo, alcuni appaiono assai coerenti e armonici con il più ampio disegno di mantenere sereno e costruttivo il rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Ci si riferisce, in particolare, a quelli volti al contenimento del numero di cause pendenti innanzi agli organi della giustizia tributaria e al recupero di risorse da destinare alla realizzazione dei compiti propri dello Stato, come delineati dall’autorità di governo con le politiche di bilancio e dal Parlamento con la legge di stabilità. Tra tutti gli istituti deflativi del contenzioso, un posto di rilievo si accinge a occuparlo, anche per la sua strutturale originalità, il combinato strumento del reclamo e della mediazione.

La norma
Lo strumento è stato introdotto dal comma 9 dell’articolo 39 del Dl 98/2011 n. 98. Si tratta di un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso per atti, di valore contenuto, emessi dall’Agenzia delle Entrate: con l’inserimento dell’articolo 17-bis nel Dlgs 546/1992, è ora prevista la presentazione di un reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto o finalizzato al componimento della controversia tramite mediazione.

La natura del reclamo
È una manifestazione di tutela amministrativa, per la quale è competente la stessa PA che ha emanato il provvedimento che si ritiene viziato. La forma è quella del ricorso, che viene proposto dal destinatario dell’atto. Il reclamo è un procedimento di “secondo grado”, in quanto viene avviato alla conclusione di un precedente procedimento amministrativo (quello che si è concluso con l’emanazione dell’atto ritenuto viziato). Esso definisce la questione nell’ambito della funzione tipica della PA, quella amministrativa, senza che alcun organo giurisdizionale (GA o GO) debba pronunziarsi. Il ricorso (rectius, reclamo) è diretto ad accentuare il contraddittorio, peraltro già garantito nel procedimento conclusosi con l’emanazione dell’atto del quale l’interessato chiede il riesame, anche se la generalizzazione del principio di partecipazione al procedimento amministrativo trova una limitazione in ambito tributario già nella stessa legge 241/1990 che, all’articolo 13, secondo comma, esclude l’applicabilità delle disposizioni del Capo III della stessa legge (Partecipazione al procedimento amministrativo) ai “procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano”.

L’oggetto del reclamo
Il reclamo permette anche di esaminare nuovamente il caso e, sussistendone i presupposti, di emendare la precedente decisione nonché, in ossequio al principio di economia dei mezzi giudiziari, di contenere il ricorso agli strumenti di tutela giurisdizionale, perseguendo l’economicità del fare amministrativo.

L’autotutela amministrativa Per cercare di inquadrare correttamente l’innovativo istituto del reclamo tributario, è opportuno richiamare la tradizionale distinzione tra autotutela amministrativa e autodichia o tutela amministrativa giustiziale. Con la prima, la PA avvia di propria iniziativa un procedimento a sé interno, persegue l’interesse pubblico, non mantiene una posizione “terza”, ma garantisce imparzialità in ossequio ai principi dell’azione amministrativa. La PA non ha l’obbligo di riesaminare il provvedimento di primo grado, pur in presenza di un comportamento attivo del destinatario dell’atto nella maggior parte dei casi che, appunto, “si attiva” per ottenerne una riforma o un annullamento. La PA comunque mantiene la potestà di disporre sull’oggetto del provvedimento, con la produzione di determinati effetti giuridici (costituire, modificare o estinguere il rapporto giuridico sottostante), può emanare o meno l’atto di ritiro, in virtù di ampia discrezionalità mercè la quale vaglia la sussistenza della attualità e della concreta effettività dell’interesse pubblico alla caducazione dell’atto, anche se lo stesso dovesse essere legittimo o inopportuno, nel rispetto delle norme di cui al Capo IV-bis della legge 241 su “Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso”, con particolare riguardo agli articoli 21 quinquies, octies e nonies.

L’autotutela tributaria. Un primo cenno
Sostanzialmente conforme appare l’autotutela dell’amministrazione finanziaria, che si identifica nel potere di salvaguardare l’azione degli uffici finanziari attraverso strumenti di difesa e di prevenzione del contenzioso, come l’annullamento, la rinuncia o la revoca dei propri atti riconosciuti illegittimi. Il regolamento sul potere di autotutela è contenuto nel Dm 37/1997, attuativo dell’articolo 2 quater della legge 656/1994: l’Amministrazione finanziaria, in quanto pubblica amministrazione, ha così il potere di emanare provvedimenti e, come conseguenza, di annullare, revocare o sospendere gli stessi, qualora li reputasse illegittimi in base a una valutazione compiuta ex post, senza necessità di istanza di parte.

L’autodichia
L’autodichia prende le mosse da un ricorso di parte e origina, per formale impulso dell’interessato, un procedimento amministrativo. Quale potestà di autogiurisdizione (la PA agisce per motivi di giustizia e non per scopi di proprio esclusivo interesse), è un procedimento che non si svolge all’interno dell’organo della PA che ha emanato l’atto (è esterno a quest’ultima anche se si sviluppa all’interno dell’organo di un’altra PA). L’essere relativo a una controversia esalta nell’autodichia la garanzia del contraddittorio, che è pur sempre un principio generale dell’azione amministrativa. Un’altra sua caratteristica è che l’organo della PA competente a decidere sul ricorso mantiene un ruolo e un atteggiamento terzo e imparziale rispetto alla controversia. Ancora, la decisione assunta dall’organo è condizionata e limitata dai vizi di legittimità dell’atto dedotti nel ricorso dal proponente. Infine, lo stesso organo, una volta emanato il relativo provvedimento, esaurisce il proprio potere di decisione (“functus est officio suo”).

Inquadramento sistematico del reclamo. Gli elementi di contatto col ricorso amministrativo
Il reclamo, così come delineato dall’articolo 17 bis, pur se volto a conseguire la riforma, la revoca o l’annullamento di un provvedimento amministrativo, non prende la forma di uno dei ricorsi tipici (opposizione, ricorso straordinario al Capo dello Stato, ricorsi gerarchici proprio e improprio). Tuttavia, ne assume alcune caratteristiche tipiche:
  • l’ordinarietà. I ricorsi ordinari tendono a ottenere, su di un atto amministrativo non definitivo, una pronunzia (riforma, revoca o annullamento dell’atto contro il quale si è presentato il ricorso) da parte di un organo della PA al di sopra del quale, per quella materia, non esiste altro organo in grado di assumere analoga decisione. La decisione che è presa dall’organo al quale il ricorso è presentato si connota pertanto con il carattere della definitività, nel senso che contro tale decisione non è possibile esperire un rimedio amministrativo ordinario. Quanto alla possibilità di esperire, contro la decisione scaturita dal reclamo, ricorso straordinario al Capo dello Stato, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, trattandosi di materia prettamente tributaria, demandata alla competenza di organi giurisdizionali speciali quali le Commissioni tributarie, ritiene preclusa la possibilità di proposizione del ricorso straordinario (Sez. III, 3 giugno 2003, n. 2857/02). La questione sembrava porsi in una nuova prospettiva dopo l’entrata in vigore della disposizione di cui all’articolo 7, comma 4, della legge 212/2000 (lo Statuto del contribuente): “La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti”. In sede di parere sulla norma attuativa (posta all’esame del Consiglio di Stato poiché afferente a un ampliamento delle sue competenze), a suo tempo l’Adunanza generale (parere n. 1/01 del 22 gennaio 2001) ha reso osservazioni sull’ipotesi di una specifica disciplina, la quale avrebbe potuto afferire nello specifico l’impugnazione di atti tributari definitivi mediante lo strumento del ricorso straordinario. Sono stati però costantemente dichiarati inammissibili i ricorsi straordinari relativi alle controversie attribuite alla competenza delle Commissioni tributarie
  • impugnatorietà. Il reclamo ha certamente natura impugnatoria, in quanto configura un rimedio contro un atto amministrativo lesivo dell’interesse sostanziale protetto dalla norma
  • giustizialità. Sorge da una controversia ed è un mezzo di difesa di una situazione giuridica che la parte afferma essere stata lesa, per cui la PA si pronunzia in relazione agli elementi e ai motivi esistenti nella domanda di parte
  • non estraneità. Il ricorso (reclamo) non è presentato a un giudice, bensì a un organo che non si trova in posizione di distacco rispetto a una delle parti in causa: fa parte infatti della stessa PA alla quale appartiene l’organo che ha emanato l’atto. Non può, peraltro, essere considerato un ricorso gerarchico vero e proprio. La norma dispone che la struttura dell’ente impositore competente al reclamo sia diversa e autonoma da quella che ha emanato l’atto reclamabile, anche se non è né sovra né sott’ordinata all’ufficio che ha emanato l’atto: il reclamo va infatti presentato alla direzione provinciale o alla direzione regionale, che lo affida alle strutture deputate alla gestione del contenzioso per un esame operato in piena autonomia rispetto alle diverse strutture che hanno curato l’istruttoria degli atti reclamabili. Il reclamo appare così come uno strumento “atipico”, ma comunque aderente alle linee organizzative della PA, ormai irreversibilmente mutate e che sempre più vedono affievolire il rilievo dell’ordinamento gerarchico al proprio interno.
Differenze con l’autotutela amministrativa
L’autotutela amministrativa, a differenza del ricorso la cui presentazione da parte dell’interessato ne costituisce l’avvio, non è originata dalla parte interessata, destinataria dell’atto di primo grado. I suoi elementi distintivi sono:
  • il sorgere per iniziativa e impulso dell’amministrazione e non del privato
  • lo svolgimento dell’iter procedimentale all’interno della stessa amministrazione che ha emanato l’atto e che intende ritirarlo
  • la partecipazione al procedimento del soggetto nei cui confronti l’atto di secondo grado è destinato a dispiegare i propri effetti diretti, oltre che di coloro che per legge devono intervenirvi, in ossequio alla legge 241/1990, articolo 7
  • la non imparzialità e terzietà nel procedimento della PA, la quale cura esclusivamente l’interesse pubblico
  • l’esercizio di un potere discrezionale in seno al procedimento, che si conclude con il ritiro o meno dell’atto afflitto da vizio di legittimità o di merito, previa valutazione della sussistenza di un interesse pubblico, attuale ed effettivo
  • l’organo che aveva emanato l’atto (“ovvero da altro organo previsto dalla legge”) e che ha esercitato il potere di ritiro mantiene il potere di decidere nuovamente sul medesimo oggetto del provvedimento di primo grado.

 

 
1 - continua
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