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Analisi e commenti

Il reclamo e la mediazione fiscale
per diminuire la conflittualità (2)

Il principale punto in comune con l’istituto finalizzato alla conciliazione delle liti civili e commerciali, la deflazione delle cause pendenti

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Differenze con l’autotutela tributaria
In tema di diritto amministrativo, ai fini dell’esercizio dell’autotutela, la PA deve tener conto dei confliggenti interessi privati e dello stesso interesse pubblico, specifico e diverso da quello del mero ripristino della legalità violata, con obbligo di ponderare anche l’eventuale avvenuto consolidamento di posizioni soggettive conseguenti all’atto illegittimo. L’autotutela tributaria presenta una connotazione specifica, diversa da quella amministrativa, informata a un bilanciamento di interessi. Diversamente, nell’ambito tributario, l’esercizio dell’autotutela, oltre a doversi conformare ai principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, tiene conto anche dei principi costituzionali che presiedono al prelievo tributario e, in particolare, del principio in base al quale tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione). La discrezionalità dell’esercizio del potere di autotutela dovrà dunque esplicarsi nel rispetto di tale valore. Così, l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio è conforme a legge se congiuntamente si configurano:
  1. l’illegittimità dell’atto
  2. uno specifico, concreto e attuale interesse pubblico all’eliminazione dell’atto, diverso dal generico interesse al ripristino della “legalità”.
È soprattutto in relazione al presupposto dell’interesse pubblico che si può meglio notare la differenza tra le due tipologie di autotutela. Tale interesse certamente sussiste nel campo tributario per l’opportunità o, meglio, la necessità di assicurare che il contribuente sia assoggettato alla giusta tassazione in base al principio di capacità contributiva.
 
Ulteriori differenze con l’autotutela tributaria
Altro sostanziale elemento di differenza tra autotutela amministrativa e autotutela tributaria è il fatto che, mentre nel diritto amministrativo il destinatario dell’originario atto illegittimo (e anche del successivo provvedimento di annullamento) è titolare di un interesse legittimo, nel campo impositivo la posizione del soggetto passivo assume la natura di diritto soggettivo. L’interesse legittimo presuppone infatti l’esercizio di un potere discrezionale, inteso come mediazione tra interessi anche contrapposti, che in campo tributario invece manca. Conseguentemente, quando si decide di eliminare gli esiti sfavorevoli di un atto illegittimo, non si deve valutare il conflitto tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto e quello privato alla conservazione dell’atto stesso.
A ulteriore sostegno della diversità tra autotutela amministrativa e tributaria, va considerato come, in seno agli atti tributari che incidono negativamente nella sfera giuridica soggettiva del contribuente, non siano configurabili situazioni di controinteresse all’annullamento del provvedimento diverse dall’interesse dell’erario a incamerare gli importi accertati: l’unico interesse che può portare all’annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari è quello al ripristino della legalità violata, il che implica in capo all’Amministrazione finanziaria l’assenza di discrezionalità dell’autotutela, attesa la natura vincolata di tale potere. Nell’autotutela tributaria l’interesse pubblico è semmai diretto al ristabilimento di una giusta imposizione, in luogo di quella in precedenza esercitata in contrasto con l’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo del rapporto giuridico tributario.
D’altra parte, qualora nell’autotutela amministrativa l’atto viziato sia ampliativo della sfera giuridica del destinatario, l’emanazione del successivo atto di annullamento ha per quest’ultimo effetti negativi (il che impone alla PA uno stringente obbligo di motivare la sussistenza di un interesse pubblico con qualcosa in più del semplice ripristino della legalità); in caso di autotutela tributaria, vi è una sostanziale coincidenza degli interessi del contribuente e dell’amministrazione, laddove il primo ottiene l’annullamento di un provvedimento sostanzialmente a lui sfavorevole e la seconda realizza il ripristino del rispetto di principi di valenza costituzionale erroneamente sacrificati con l’atto ritenuto illegittimo: in campo tributario, l’interesse del privato all’autotutela coincide e si compenetra con l’interesse alla legalità dell’azione amministrativa.
Se in ambito amministrativo vi è spazio per la discrezionalità della pubblica autorità nel vaglio tra i diversi interessi in conflitto (quello pubblico originario, quello pubblico sopravvenuto, quello privato del destinatario dell’originario atto illegittimo e quello dell’eventuale controinteressato), in campo tributario l’annullamento dell’atto illegittimo comporta soltanto la riparazione della lesione del diritto del contribuente a non vedersi richiedere indebitamente un tributo e la riparazione della lesione dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
È raro invece che si verifichi l’ipotesi di un annullamento in autotutela di un precedente atto di accertamento, qualora la pretesa dell’ufficio risultasse inferiore a quella prescritta dalla norma tributaria, preferendo nel caso l’Amministrazione finanziaria integrare il proprio precedente atto. L’autotutela tributaria è quindi finalizzata al perseguimento dell’interesse dell’Amministrazione finanziaria a tutelare il principio di eguaglianza sostanziale, ad assicurare che il contribuente concorra alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità contributiva e secondo criteri di progressività, e a superare eventuali disparità di trattamento.
 
Somiglianze e differenze con la mediazione civile obbligatoria
Il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. L’organo destinatario (rectius, l’ufficio) formula d’ufficio una proposta di mediazione, avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa, se non intende accogliere il reclamo diretto all’annullamento totale o parziale dell’atto né l’eventuale proposta di mediazione di parte. Se compatibili, si applicano le disposizioni dell’articolo 48 del Dlgs 546 sulla conciliazione giudiziale. La mediazione va conclusa entro 90 giorni dalla presentazione del reclamo. Anche se il contraddittorio tra le parti non è espressamente previsto nella mediazione, non vuol dire che esso non sia ammesso: al contrario, l’incontro tra le parti rappresenta una fase importante dell’istruttoria in seno al procedimento di mediazione. La mediazione è pertanto una fase sub-procedimentale eventuale del più ampio procedimento di reclamo.
Il termine “mediazione” adottato dal legislatore fiscale induce a un sintetico confronto con l’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, disciplinata dal Dlgs 28/2010. A dispetto dell’iniziale impressione di somiglianza, appaiono visibili più le differenze sostanziali che le affinità, assai tenui:
  • fermo restando che l’esperimento del procedimento di mediazione civile è condizione di procedibilità della domanda giudiziale limitatamente ad alcune materie, il processo civile può iniziare anche senza avvio della mediazione. Condizione di ammissibilità del ricorso alla Ctp (per le controversie di valore non superiore a 20mila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate) non è la proposta di mediazione fiscale, ma la presentazione del reclamo
  • nella mediazione civile, il mediatore non cerca una soluzione secondo diritto né “rende giustizia” (l’unica limitazione è fissata dall’articolo 12 del Dlgs 28/2010: il contenuto del verbale di accordo non deve essere “contrario all’ordine pubblico o a norme imperative”) e non esprime giudizi e/o decisioni vincolanti per i destinatari. Il pubblico ufficiale nella mediazione fiscale deve rispettare le norme vigenti, pena l’illegittimità del verbale di conclusione della mediazione
  • l’espressa previsione della limitazione della responsabilità erariale nella mediazione fiscale ai soli casi di dolo, con esclusione della responsabilità per colpa grave, mira a garantire serenità nell’azione del pubblico funzionario per consentirgli di informare appieno anche a criteri di economicità e di efficacia la propria condotta nello svolgimento dell’azione amministrativa e nel perseguimento del fine pubblico. Non esistono corrispondenti limitazioni di responsabilità (ovviamente in ambito civile e non erariale) per il mediatore del Dlgs 28/2010
  • nel procedimento di reclamo e mediazione fiscale, la parte soccombente rimborsa il 50% delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese di procedimento di reclamo e mediazione. Nella mediazione civile, invece, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta di conciliazione formulata dal mediatore, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo
  • nella mediazione civile, l’attività è svolta da un terzo imparziale ed è finalizzata all’assistenza di due o più soggetti, sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione della controversia sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa, mentre manca nella mediazione fiscale la presenza di un soggetto terzo
  • nella mediazione fiscale, non è prevista una specifica formazione, con particolare riguardo alla “metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa” (articolo 18, comma 2, lettera f), Dm 180/2010)
  • nella mediazione civile, le parti operano in regime di diritto privato e, se una o entrambe sono pubbliche, agiscono nel procedimento di mediazione secondo le regole del diritto privato (il mediatore ha una finalità di assistenza delle parti nella ricerca di una composizione non giudiziale di una controversia). Nella mediazione fiscale, la parte pubblica (l’ufficio) agisce secondo le regole del diritto tributario e quindi in regime di diritto pubblico
  • in base alla disposizione sul dovere di riservatezza (articolo 9 del Dlgs 28), il mediatore è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento. Se questa disposizione può ovviamente trovare corrispondenza nelle disposizioni sulla riservatezza cui sono tenuti i pubblici funzionari (ad esempio, sanzionata dall’articolo 326 cp), altrettanto non può dirsi per il successivo articolo 10, che impedisce l’utilizzo in giudizio delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio. Il mediatore non può altresì essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità.
Conclusioni
Reclamo e mediazione rientrano tra le misure varate alcuni mesi fa dal Governo per limitare presso gli organi di giustizia tributaria il carico, pendente e futuro. Si tratta di istituti che certamente mostreranno dal momento della loro entrata in vigore validità ed efficacia e che impatteranno positivamente sul contenzioso.
Il reclamo ha una duplice funzione, di iniziale stimolo stragiudiziale e successivamente giudiziale, in quanto deve contenere tutte le ragioni, in fatto e in diritto, della doglianza eventualmente affidata all’esame del Giudice tributario.
La mediazione va intesa come verifica della possibilità di rinvenire una soluzione alternativa e collaborativa a una pendenza tra le parti e si pone come idoneo strumento per deflazionare il contenzioso tributario.
L’acume del legislatore è soprattutto quello di avere tenuto conto delle peculiarità del procedimento amministrativo tributario e della generale indisponibilità dell’obbligazione tributaria, evitando di attingere eccessivamente all’istituto della mediazione civile, cogliendone il principale punto comune, quello della deflazione delle cause pendenti, evitando prudentemente di attingere alla natura negoziale che connota l’accordo disciplinato dal Dlgs 28/2010.
 
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