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Analisi e commenti

Riflessioni sull’interpello
alla luce della circolare 32/E (2)

La posizione dell’Amministrazione sulle istanze cosiddette obbligatorie: nessun vincolo dalla risposta

È evidente che la classificazione proposta nel precedente intervento, nel porre in primo piano le finalità e gli effetti delle diverse risposte, al di là dello schema procedimentale previsto dalla legge, consente di valorizzare la diversa funzione svolta dall’Amministrazione nelle singole fattispecie, specialmente se si pensa alle differenze tra casi in cui l’Agenzia è chiamata a “interpretare” la legge e casi in cui l’Amministrazione è chiamata ad “esprimersi” sulla possibilità di accesso a determinati regimi, sulla base degli elementi forniti di volta in volta dal contribuente. Ciò premesso, occorre chiedersi se questa classificazione conservi una sua utilità ed in particolare a quali fini.

Per la maggior parte della dottrina che l’ha elaborata, la distinzione tra interpelli interpretativi e interpelli disapplicativi si riflette sia sulla collocazione dell’interpello nel contesto della fase di “interpretazione” piuttosto che di “attuazione” del tributo (prospettiva che, in verità, ha perso progressivamente rilevanza, ma che interessava la dottrina soprattutto all’indomani dello Statuto dei diritti del contribuente), sia soprattutto sulla natura provvedimentale o meno della risposta all’interpello, cui è intimamente collegato il tema della tutela giurisdizionale.

Rinviando a un successivo paragrafo la trattazione di questo specifico profilo anche per una più approfondita riflessione sui limiti di una ricostruzione provvedimentale della risposta all’interpello, per il momento giova solo evidenziare come, alla base di questa classificazione, si pone la distinzione tra i pareri resi all’esito della presentazione di un interpello ordinario, idonei a orientare le scelte dei contribuenti e a fondare il legittimo affidamento di questi ultimi sulla interpretazione fornita dall’Amministrazione, e i provvedimenti di concessione o diniego di disapplicazione, assimilabili, a seconda di casi, a vere e proprie “autorizzazioni amministrative” o “dinieghi di agevolazione”.

Tenuto conto che, secondo il consolidato orientamento dell’Amministrazione, ripreso anche dalla circolare 32/E, come si vedrà a breve, la risposta all’interpello non assume mai i caratteri di un provvedimento amministrativo assimilabile a una autorizzazione o a un diniego di agevolazione, c’è da chiedersi se gli sforzi per individuare una condivisibile classificazione delle istanze siano inutili ovvero se, come crediamo, conservino, ad altri fini, la loro utilità.

A tal fine, basti pensare ai casi (non infrequenti) cui si è fatto già cenno in cui un determinato schema procedimentale è evocato dal legislatore in maniera “impropria”, come nel caso emblematico dell’interpello per la disapplicazionedella normativa CFC ovvero per la disapplicazione del regime pex ex articolo 113 del Tuir, regolati, salve alcune insignificanti peculiarità, secondo il modulo procedimentale tipico dell’interpello ordinario.

In tali ipotesi, per quanto non espressamente previsto dalle norme di legge o dalle disposizioni dei relativi regolamenti di attuazione, si pone il problema di individuare se le regole del caso concreto sono quelle “proprie” del tipo richiamato ovvero se, più correttamente, occorre applicare le regole dettate per la tipologia per così dire “corretta”.

A titolo di esempio, quando si tratta di definire il carattere “preventivo” delle istanze CFC o ex articolo 113 del Tuir, occorre far riferimento al parametro proprio degli interpelli ordinari (secondo cui la mera presentazione dell’istanza deve anticipare il comportamento rilevante, ossia la presentazione della dichiarazione) ovvero al parametro della preventività tipico degli interpelli disapplicativi (secondo cui l’istanza deve essere presentata in tempo utile per ottenere risposta - nella specie, 120 giorni -  prima della presentazione della dichiarazione)?

La circolare 32/E (e, in linea di continuità, anche la circolare 42/E) forniscono implicitamente una risposta al tema, nel senso di privilegiare la “sostanza” dell’interpello rispetto alla “forma” e, in omaggio alla finalità e agli effetti disapplicativi propri di queste due tipologie di interpello, mutuano dalle istanze di disapplicazione delle norme antielusive presentate ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, le principali caratteristiche (quelle, per l’appunto, della preventività).

Istanze facoltative e istanze obbligatorie: i termini del problema
Ferme restando le osservazioni appena compiute in ordine alla residua ma non irrilevante convenienza nel mantenere distinti gli interpelli interpretativi da quelli disapplicativi, la più importante classificazione contenuta nella circolare 32/E concerne l’obbligatorietà o meno della presentazione dell’istanza e la distinzione, formulata expressis verbis, tra “istanze non obbligatorie” e “istanze obbligatorie”.

Secondo la ricostruzione tradizionale propria dell’interpello consultivo quale atto di collaborazione, il contribuente è libero di invocare il parere dell’Amministrazione, onde conoscerne l’avviso per orientare le proprie scelte ed eventualmente usufruire della tutela offerta da una possibile pronuncia favorevole, senza che alcuna conseguenza, in ogni caso, si determini per la mancata presentazione dell’istanza.

In relazione a talune fattispecie, individuate dal legislatore in maniera alquanto inequivocabile, stante il tenore del dato letterale delle norme, e selezionate, in genere, in funzione della loro elevata potenzialità elusiva, il contribuente è tenuto a sottoporre la specifica fattispecie al vaglio preventivo dell’Amministrazione, la quale è chiamata a esprimere il proprio parere in ordine alla sussistenza o meno di elementi, tra quelli invocati, esibiti o prodotti dal contribuente, che legittimano l’applicazione di una disciplina diversa da quella ordinariamente applicabile (in genere, ma non necessariamente, più penalizzante perché ispirata da ragioni antielusive).

Fin qui, la ricostruzione della categoria degli interpelli obbligatori posta dalla circolare 32/E in nulla differirebbe dalla tesi autorevolmente sostenuta dalla dottrina che ha teorizzato la categoria degli “interpelli necessari”[1], fondata sull’incontestabile dato letterale della legge che in maniera più o meno espressa, per determinate fattispecie, evoca un vero e proprio obbligo di presentazione dell’istanza.

È, tuttavia, con riguardo agli sviluppi ulteriori di questa teoria che la ricostruzione della circolare 32/E segue una strada diversa.

Secondo la tesi dottrinale in commento, il carattere “necessario” delle istanze di interpello si rifletterebbe altresì sul carattere necessario della pronuncia dell’Amministrazione che assumerebbe, ai fini della disapplicazione del regime “legale”, i caratteri propri della “verificazione necessaria”[2], ossia di una sorta di autorizzazione (da intendersi in senso ovviamente atecnico) amministrativa.

La disapplicazione sarebbe, in altri termini, l’esito di un procedimento complesso caratterizzato dalla richiesta (istanza) del contribuente da un lato e dalla verifica dei presupposti da parte dell’Amministrazione dall’altro; la possibilità di disapplicare un certo regime, pertanto, non discenderebbe in via diretta dalla legge (che pur definisce, di volta in volta, i presupposti in presenza dei quali la disapplicazione è possibile), bensì dalla pronuncia dell’Amministrazione che effettuerebbe un vero e proprio preliminare accertamento della sussistenza delle condizioni previste dalla legge.

Il contribuente, cioè, in assenza di una pronuncia favorevole dell’Amministrazione, non sarebbe legittimato ad applicare una disciplina diversa da quella ordinaria e legale.

È su questo specifico punto che la circolare 32/E prende, invece, una strada diversa, tendente a valorizzare la sostanziale unitarietà dell’interpello quale atto che, pur nelle sue molteplici sfaccettature, finora esaminate, resta sempre un mero atto di indirizzo e orientamento del comportamento dei destinatari.

L’obbligatorietà di taluni interpelli, evidentemente pensata dal legislatore in omaggio a esigenze di controllo e monitoraggio preventivo su fattispecie a elevata potenzialità elusiva, si colloca solo sul piano della presentazione dell’istanza, mentre non inficia in alcun modo gli effetti non vincolanti della risposta, la quale, in altre parole, lascia libero il contribuente, consapevole dell’orientamento dell’Amministrazione sul punto, di operare, in sede di attuazione del comportamento rilevante (ossia in sede di dichiarazione), la scelta a suo avviso più corretta.

Si tratta, con tutte le differenze legate ai soggetti coinvolti e alle funzioni esercitate che rendono difficile individuare un modello preciso di corrispondenza, di pareri obbligatori (nella richiesta) ma non vincolanti (negli effetti).

 

2 - continua
la prima puntata è stata pubblicata lunedì 16 agosto

 


[1] Fransoni Efficacia ed impugnabilità degli interpelli con particolare riguardo all’interpello disapplicativo,cit.

[2] La categoria delle “verificazioni necessarie” è stata teorizzata da Capaccioli, (Manuale di diritto amministrativo, Padova, 1980) proprio con riferimento al settore delle agevolazioni tributarie; con tale espressione, in particolare, si indicava la necessità di un atto dell’amministrazione idoneo ad attestare il verificarsi dei presupposti previsti dalla legge senza il quale gli effetti, pur previsti dalla legge, non potevano verificarsi. Sulla assimilazione tra interpelli obbligatori e verificazioni necessarie Russo, Giustizia tributaria, Enc. Diritto, Milano, 2008. 

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