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Analisi e commenti

Riflessioni sull’interpello
alla luce della circolare 32/E (3)

Assimilazione fra istanze e atti di esercizio di funzioni impositive. Le ragioni di una tesi difficile da sostenere

Gli argomenti sin qui affrontati evocano alcune considerazioni di più ampio respiro su un tema lungamente discusso, quello della natura delle risposte alle istanze di interpello; le molteplici classificazioni proposte dalla dottrina (interpelli consultivi/disapplicativi, interpelli facoltativi/obbligatori) celano, infatti, una comune esigenza, quella di individuare all’interno del genus “interpello” una speciale categoria che, derogando al modello della risposta quale mero parere, proprio degli interpelli interpretativi, sfugge alla regola generale della “tutela processuale differita”, rinviata, cioè, alla fase del successivo ed eventuale atto di accertamento (emanato dall’Amministrazione in conformità alla precedente risposta negativa all’interpello).

Non si può negare, infatti, che il tema in esame ha interessato la dottrina non tanto per la definizione, in astratto, dei caratteri della risposta all’interpello, quanto per definire i rapporti tra la fase amministrativa e quella contenziosa.

Visto sotto la più ampia prospettiva della tutela processuale, il tema in particolare si è sviluppato essenzialmente su due piani:

  • quello, assolutamente preliminare, della definizione della idoneità dell’atto a incidere immediatamente nella sfera giuridica del destinatario (requisito senza il quale non si porrebbe mai alcun problema di impugnabilità dell’atto)
  • quello, consequenziale, della assimilabilità della risposta a uno o più degli atti di cui all’articolo 19 del Dlgs 546/1992, alla luce della (tanto controversa) tassatività degli atti impugnabili innanzi alle commissioni tributarie.

La prima questione è stata già trattata in parte nel precedente intervento, ove si è dato conto tanto della tesi che assimila le risposte agli interpelli obbligatori alle cosiddette “verificazioni necessarie” (o più in generale di quelle tesi che, in funzione della idoneità degli atti in esame ad incidere nella sfera del privato, ne riconoscono, almeno in astratto, l’immediata impugnabilità), sia dell’opposta tesi che riconduce anche la risposta all’interpello obbligatorio (o disapplicativo, a seconda delle classificazioni) alla categoria dei meri pareri, che il contribuente resta libero di disattendere.

Più complesso è il secondo tema che in parte esula dall’oggetto di queste riflessioni; in questa sede, giova solo ricordare come, pur tra coloro che hanno riconosciuto natura provvedimentale alla risposta all’interpello (quanto meno sotto il profilo della sua diretta incidenza nella sfera del privato), non è unanime la convinzione che la risposta possa essere assimilata, sotto il profilo teleologico, a uno degli atti individuati dall’articolo 19 del Dlgs 546/1992[1].

Tale tematica eccede i limiti di questa indagine, in quanto involge delicate riflessioni non solo (e non tanto) sugli effetti della risposta all’interpello (che è il tema che ci occupa), quanto principalmente sui limiti di estensione di una categoria, quella degli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, originariamente pensata dal legislatore come tassativa, ma nel tempo sottoposta a progressivi (e in taluni casi necessari) ampliamenti a opera delle interpretazioni estensive della giurisprudenza di legittimità[2].

Limiti alla ricostruzione provvedimentale della risposta all’interpello
Tralasciando il tema appena accennato al termine del paragrafo precedente, è invece il caso di dedicare qualche riflessione ulteriore ai limiti della tesi che, assimilando la risposta all’interpello a un atto idoneo a incidere immediatamente nella sfera giuridica del privato, sostanzialmente finisce per ricondurre tale atto nell’ambito dell’esercizio della funzione impositiva propria dell’Amministrazione finanziaria.

Ferme restando le considerazioni di carattere generale che avevano già trovato posto in precedenti documenti di prassi (in particolare cfr circolare 7/E del 2009, paragrafo 4.1.), volte a negare valenza provvedimentale alla risposta all’interpello sulla base della definizione dei caratteri propri del provvedimento amministrativo, in questa sede intendiamo soffermarci su altri profili, che pur contribuiscono, a nostro avviso, a definire i limiti delle tesi esposte nei paragrafi precedenti.

In primo luogo occorre rilevare che in tanto l’Amministrazione può riconoscere o negare la possibilità di accesso a un regime derogatorio rispetto a quello legale, di norma applicabile, mediante una pronuncia dotata di efficacia esterna, vincolante per il destinatario, in quanto sia dotata, in sede di elaborazione della risposta, dei poteri ordinariamente connessi all’esercizio della ordinaria funzione di controllo cui è istituzionalmente preposta.

Ciò che si vuole dire è che l’emanazione di un provvedimento amministrativo, espressivo della posizione dell’Amministrazione, da un lato presuppone la sussistenza di tutte le condizioni ordinariamente richieste per l’esercizio del potere, dall’altro comporta conseguenze non diverse da quelle che si verificano dopo l’emanazione di un qualunque atto (in senso lato) impositivo.

Dall’assimilazione della risposta all’interpello alla stregua di un atto “impositivo” in senso lato dovrebbero discendere, in altri termini, una serie di effetti quanto meno sui seguenti piani:

  • regole di determinazione della competenza degli uffici
  • individuazione dei poteri istruttori a disposizione dell’Amministrazione
  • coordinamento con eventuali successive attività di accertamento.

Interpello e regole sulla ripartizione della competenza
Il primo dei profili cui abbiamo si è accenna è quello che concerne l’individuazione delle regole sulla ripartizione di competenza tra le varie strutture in cui si articola l’Amministrazione finanziaria.

Preliminarmente occorre evidenziare che non esiste piena corrispondenza tra i parametri di determinazione della competenza territoriale stabiliti in materia di accertamento (demandato, ad esempio ai fini delle imposte sui redditi, all’ufficio competente in base al domicilio fiscale del contribuente) e i parametri di determinazione della competenza per quanto attiene alle istanze di interpello.

Ai fini degli interpelli disapplicativi, ex articolo 37-bis, comma 8, ad esempio, la competenza all’emanazione della risposta è di norma del direttore regionale; solo per le istanze presentate dalle imprese di più rilevante dimensione la risposta viene resa dal direttore centrale della direzione centrale Normativa.

Anche ai fini degli interpelli Cfc (così come per gli interpelli presentati ai sensi dell’articolo 113 del Tuir) la risposta, ordinariamente resa dalla direzione regionale competente in base al domicilio fiscale dell’istante, potrà essere fornita dalla direzione centrale qualora a quest’ultima sia stata inviata una richiesta di intervento da parte della Dre, ovvero qualora si tratta di interpelli presentati dalle imprese di più rilevante dimensione.

Se si tiene conto del quadro appena tracciato, è evidente che l’attribuzione di funzione e carattere impositivo alle risposte agli interpelli obbligatori comporta un mutamento e una deroga agli ordinari criteri di competenza.

Interpello e poteri istruttori
La tesi dell’assimilazione dell’interpello a un atto di esercizio della funzione impositiva, contenente determinazioni definitive dell’Amministrazione, suscettibili solo di sindacato giurisdizionale, diviene ancora più discutibile se si ha riguardo alle caratteristiche dell’attività svolta in sede di interpello.

Tralasciando l’opinabilità di un modello di accertamento vero e proprio azionabile su istanza del contribuente, in quanto basato esclusivamente sull’autodenuncia di quest’ultimo, come è stato anticipato in premessa, la risposta dell’Amministrazione è resa valutando l’idoneità degli elementi esibiti, prodotti o generalmente invocati dal contribuente per provare la sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione della disciplina, senza che alcun controllo possa essere esercitato, in tale sede, sulla veridicità, fondatezza o esaustività di questi dati.

La fase istruttoria dell’interpello si caratterizza, infatti, per la limitatezza dei poteri a disposizione dell’Amministrazione la quale, ferma restando la possibilità di richiedere ulteriore documentazione utile (sulla cui veridicità e completezza, peraltro, non viene effettuato controllo), non esercita in alcun modo poteri di accertamento (cfr chiaramente sul punto la circolare 32/E del 2010, paragrafo  6).

La limitazione all’uso dei tradizionali poteri esperibili in accertamento (incompatibili sotto vario profilo con le competenze, le tempistiche e il procedimento stesso dell’interpello) priva l’Amministrazione di elementi conoscitivi utili a fondare in maniera definitiva il proprio convincimento, nonché rende estremamente pericolosa un’assimilazione tra la risposta all’interpello e atti impositivi.

Non può infatti trascurarsi come gli atti dell’Amministrazione, espressivi in genere della pretesa tributaria (nella specie sotto forma di diniego di applicazione di un diverso regime presumibilmente più favorevole), sono suscettibili di gravame e sono idonei a delimitare, attraverso la loro motivazione, tanto i motivi di ricorso del contribuente, quanto le argomentazioni spendibili dalla stessa Amministrazione resistente nella successiva fase contenziosa.

Interpello, fase istruttoria e coordinamento con la successiva attività di accertamento
Vi è infine un ultimo rilievo che, come anticipato, pur meritevole di ulteriori approfondimenti, depone contro l’assimilazione tra interpelli e atti di esercizio di funzioni impositive, legato alla difficoltà di coordinamento tra l’istruttoria svolta in sede di interpello e la prosecuzione dell’ordinaria attività di accertamento nei confronti del medesimo contribuente.

In omaggio al tradizionale principio di (almeno tendenziale) unitarietà dell’atto di accertamento, di norma il contribuente non può essere esposto a plurime attività di accertamento con riferimento allo stesso periodo di imposta; il principio incontra certamente delle deroghe le quali, tuttavia, sono espressamente contemplate dalla legge che, per questi casi, normalmente si preoccupa di salvaguardare la possibilità di prosecuzione dell’attività di accertamento; ciò evidentemente al fine di evitare che forme di accertamento “parziale” (anche nel senso voluto dall’articolo 41-bis del Dpr 600/1973) determinino una consumazione dei relativi poteri nei confronti del medesimo contribuente[3].

E’ evidente che, in difetto di un’espressa salvaguardia dell’attività di accertamento, la trasformazione della fase istruttoria dell’interpello in fase di accertamento (in senso lato) dell’esistenza dei presupposti di disapplicazione a rilevanza esterna rischia di comportare, ragionando sulla base dei principi generali appena sopra illustrati, almeno con riferimento al periodo per cui è richiesta la disapplicazione, una definitiva consumazione dei poteri di controllo nei confronti dell’istante.

3 - fine
la prima puntata è stata pubblicata lunedì 16 agosto
la seconda puntata è stata pubblicata martedì 17 agosto

 


[1] Favorevole ad un’assimilazione funzionale tra dinieghi di agevolazione e risposte negative all’interpello obbligatorio è Fransoni Efficacia ed impugnabilità degli interpelli con particolare riguardo all’interpello disapplicativo,di contrario avviso, invece, Tesauro Gli atti impugnabili ed i limiti della giurisdizione tributaria, Giustizia Tributaria, 2007.
[2] È solo il caso di accennare all’opera della giurisprudenza che, nel tempo, ha ampliato in via interpretativa la categoria degli atti impugnabili; tale estensione si è resa (ancor prima che opportuna) necessaria in conseguenza dell’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni tributarie a danno della giurisdizione del giudice ordinario. Tali interventi normativi, includendo nel novero delle controversie sottoposte al giudice tributario, tutte quelle aventi a oggetto “tributi di ogni genere e specie” hanno reso necessaria l’inclusione nell’elencazione dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992 anche di atti impositivi originariamente non nominati, purché idonei a svolgere, per i singoli tributi, le medesime funzione degli atti contemplati espressamente dalla norma. Tali interpretazioni hanno aperto le porte a un’applicazione della disciplina degli atti impugnabili regolata non più da criteri nominalistici, bensì funzionali.
[3]Emblematica, in questo senso, è la previsione dell’articolo 8 del Dl 269/2003 in tema di ruling internazionale che, nel precludere l’esercizio dei poteri istruttori (e quindi riteniamo più in generale l’accertamento) sulle questioni oggetto dell’accordo tra contribuente ed amministrazione con riferimento alle  annualità in cui tale accordo è in vigore, implicitamente riconosce che l’esercizio dei poteri connessi alla stipula del ruling non determina alcuna consumazione dell’attività di accertamento. 

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