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Analisi e commenti

Il sistema delle ritenute: stress test
alla luce della giurisprudenza Ue - 1

Incompatibili, secondo gli eurogiudici, le legislazioni che impongono il prelievo alla fonte sull’ammontare lordo del provento, senza consentire la deduzione dei correlati costi

bandiera Ue
La Corte di giustizia europea con la sentenza del 13 luglio scorso, riferita alla causa C‑18/15, ha dichiarato incompatibili con la libera prestazione dei servizi, libertà garantita dall’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea (Tfue), i sistemi tributari degli Stati membri che, con riferimento ai redditi percepiti da soggetti residenti in altri Stati dell’Unione, prevedono l’applicazione di ritenute alla fonte sull’ammontare lordo del provento, senza consentire la deduzione dei costi correlati alla sua produzione.
 
L’ordinamento italiano, conformemente alla prassi invalsa nel diritto internazionale e trasfusa nel modello Ocse contro le doppie imposizioni, nella maggioranza dei casi non consente ai soggetti non residenti di ridurre, documentando i costi sostenuti, la base imponibile della ritenuta e, pertanto, presenta disposizioni che, alla luce della pronuncia, parrebbero incompatibili con il Tfue.
Essendo la tassazione dei redditi realizzati da soggetti non residenti una materia complessa e magmatica, ricca di eccezioni ed esenzioni, l’effetto concreto dell’arresto giurisprudenziale citato può essere determinato solo attraverso un esame della normativa nazionale di riferimento.
In questo lavoro, pertanto, dopo aver analizzato il dispositivo della sentenza, si scandaglierà il sistema di ritenute alla fonte che il nostro sistema tributario rende applicabile ai soggetti residenti in altri Stati membri, onde verificare le eventuali divergenze rispetto al principio di diritto affermato dalla Corte.
 
Causa C18/15
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
L’arresto della Corte di giustizia europea è stato sollecitato da una domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Corte amministrativa suprema del Portogallo (Supremo Tribunal Administrativo) nel corso di una controversia che vedeva contrapposte da un lato la Brisal – Auto Estradas do Litoral SA (in prosieguo: la «Brisal»), con sede in Portogallo, e la Kbc Finance Ireland (in prosieguo: la «Kbc»), istituto bancario avente sede in Irlanda, dall’altro l’Agenzia delle entrate portoghese (Fazenda Pública).
 
La Brisal ha corrisposto, nel periodo 2005-2007, alla Kbc degli interessi passivi inerenti un prestito finanziario ricevuto da quest’ultima.
All’atto del pagamento, conformemente a quanto disposto dall’articolo 4, paragrafi 2 e 3, del Codice delle imposte sul reddito delle persone giuridiche portoghese (del Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Colectivas), la società Brisal ha effettuato un ritenuta a titolo di imposta e l’ha versata alle casse dello Stato.
Successivamente, le società hanno presentato una domanda volta a ottenere il rimborso di detta ritenuta.
 
Segnatamente, le stesse hanno rilevato che gli interessi maturati in Portogallo da istituti di credito non residenti sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta con un aliquota del 20%, eventualmente ridotta in caso di applicazione di una convenzione volta a evitare la doppia imposizione, applicata sul loro ammontare lordo, mentre gli interessi percepiti dagli istituti di credito residenti, ai quali non è applicata alcuna ritenuta alla fonte, concorrono alla formazione del reddito complessivo che viene tassato con un’aliquota del 25 per cento.
Nonostante l’applicazione di un’aliquota inferiore rispetto a quella riservata ai soggetti residenti, a parere degli istanti, gli istituti di credito non residenti, non potendo dedurre i costi relativi alla produzione degli interessi, sarebbero assoggettati a un trattamento impositivo contrario ai principi di libera prestazione dei servizi e libera circolazione dei capitali, sanciti rispettivamente dagli articoli 56 e 63 del Tfue.
 
L’amministrazione fiscale portoghese ha respinto l’istanza di rimborso e, per l’effetto, le società hanno impugnato il provvedimento di diniego dapprima di fronte al Tribunale amministrativo e tributario di Sintra, ricevendo un verdetto sfavorevole, dappoi dinnanzi alla Corte amministrativa suprema del Portogallo.
Tale ultimo giudice, ritenendo pregevoli le argomentazioni dei ricorrenti, ha sottoposto alla Corte di giustizia europea le seguenti questioni pregiudiziali:
  1. Se l’articolo 56 Tfue osti ad una normativa tributaria interna secondo la quale gli istituti di credito non residenti nel territorio portoghese sono soggetti a imposta sul reddito da interessi percepiti in detto territorio mediante ritenuta alla fonte definitiva al tasso del 20% (o con aliquota minore ove esista un accordo volto ad evitare la doppia tassazione), imposta che si applica al reddito lordo, senza possibilità di deduzione delle spese professionali direttamente connesse all’attività finanziaria svolta, mentre gli interessi percepiti dagli istituti di credito residenti sono incorporati nel reddito imponibile globale, con possibilità di deduzione delle spese connesse all’attività svolta, assoggettato ad imposizione con aliquota del 25%.
  2. Se detta disposizione osti alla suddetta normativa nazionale anche nell’ipotesi in cui alla base imponibile degli istituti di credito residenti venga applicata o possa venire applicata, dedotti i costi di finanziamento connessi ai redditi da interessi o le spese direttamente sostenute in funzione di tali redditi, un’imposta più elevata rispetto a quella ritenuta alla fonte per gli istituti non residenti e applicata al loro reddito lordo.
  3. Se, a tal fine, dei costi di finanziamento connessi ai prestiti concessi o delle spese direttamente sostenute in funzione dei redditi da interessi maturati possa essere data prova mediante dati forniti dall’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) e dal Libor (London Interbank Offered Rate), che rappresentano i tassi di interesse medi praticati nei finanziamenti interbancari cui le banche ricorrono per svolgere la loro attività. 
Il decisum della Corte di giustizia
Per rispondere alle questioni poste dal giudice remittente, la Corte ha percorso il seguente iter argomentativo:
  1. verifica della compatibilità con il Tfue di una normativa nazionale che applica tecniche impositive diverse a soggetti residenti (confluenza nel reddito complessivo) e non residenti (applicazione della ritenuta a titolo di imposta)
  2. verifica della compatibilità con il Tfue di una normativa nazionale che non consente ai soggetti non residenti di dedurre le spese professionali, ma prevede per essi l’applicazione di un’aliquota impositiva inferiore rispetto a quella applicata ai soggetti residenti
  3. utilizzabilità dei tassi libor ed euribor per forfettizzare le spese professionali sostenute dai soggetti non residenti.  
In riferimento al primo punto, la Corte ha chiarito che l’applicazione di tecniche impositive diverse, anche se potenzialmente costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi, può essere giustificata da motivi imperativi d’interesse generale quali, ad esempio, la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta (v., in tal senso, sentenze del 3 ottobre 2006, C‑290/04, e del 18 ottobre 2012, C‑498/10).
 
In riferimento al secondo punto, invece, la Corte, conformemente alla sua costante giurisprudenza, ha rilevato che, per quanto concerne le spese professionali direttamente connesse all’attività esercitata, i prestatori residenti e quelli non residenti si trovano in una situazione analoga (v., in tal senso, sentenze del 12 giugno 2003, C‑234/01; del 6 luglio 2006, C‑346/04; del 15 febbraio 2007, C‑345/04).
Pertanto, la normativa portoghese non è compatibile con il Tfue; poiché non consente la deduzione delle spese professionali sostenute dai non residenti.
L’applicazione ai non residenti di un’aliquota di imposta inferiore rispetto a quella applicata ai residenti non permette di controbilanciare detta disparità di trattamento, poiché un trattamento fiscale sfavorevole e in contrasto con una libertà fondamentale non può essere considerato compatibile con il diritto dell’Unione per l’esistenza di vantaggi compensativi (v., in tal senso, sentenze del 1º luglio 2010, C‑233/09 e del 18 ottobre 2012, C‑498/10).
Ovviamente, un soggetto non residente potrebbe non essere interessato a dedurre le spese sostenute poiché esigue rispetto agli oneri documentali che dovrebbe soddisfare nei confronti dell’amministrazione fiscale dello Stato della fonte; per tale motivo, la Corte ha ritenuto congruo un sistema fiscale che conceda ai non residenti di richiedere il rimborso parziale, o totale, della ritenuta subita. In tal modo, solo i soggetti che intendono chiedere il rimborso sosterranno gli oneri necessari a documentare i costi sostenuti.
 
Con riferimento all’ultimo punto, la Corte ha precisato che l’utilizzo di tassi medi per forfettizzare le spese sostenute dai non residenti è legittimo solo se lo stesso meccanismo di forfettizzazione è applicato anche ai soggetti residenti.
 
A valle delle proprie argomentazioni, la Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:
  • l’articolo 56 Tfue non osta a una normativa nazionale ai sensi della quale una procedura di ritenuta alla fonte dell’imposta è applicata alla remunerazione degli istituti di credito non residenti dello Stato membro nel quale sono forniti i servizi, mentre la remunerazione versata agli istituti di credito residenti di tale Stato membro non è soggetta a una siffatta ritenuta, a condizione che l’applicazione agli istituti di credito non residenti della ritenuta alla fonte sia giustificata da un motivo imperativo d’interesse generale e non ecceda quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito
  • l’articolo 56 Tfue osta a una normativa nazionale, come quella oggetto della causa principale, che, di norma, assoggetta a imposta gli istituti di credito non residenti per i redditi da interessi percepiti all’interno dello Stato membro interessato, senza riconoscere loro la possibilità di deduzione delle spese professionali direttamente connesse all’attività in parola, mentre una siffatta possibilità è riconosciuta agli istituti di credito residenti.
 
 
1 - continua
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