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Analisi e commenti

Sottrazioni all’attivo ereditario: i freni e i rimedi legislativi

C’è una presunzione assoluta di irrilevanza degli addebitamenti fatti nei giorni immediatamente prima del decesso

cimitero
Il comma 3 dell'articolo 22 del Dlgs 346/1990 stabilisce che "Nella determinazione del saldo dei conti correnti bancari non si tiene conto degli addebitamenti dipendenti da assegni non presentati al pagamento almeno quattro giorni prima dell'apertura della successione".
La norma pone, dunque, una vera e propria presunzione assoluta di irrilevanza di tutti gli addebitamenti effettuati nei giorni immediatamente precedenti alla morte del de cuius (a prescindere se tali addebitamenti insistano su un conto in passivo o in attivo).
Questo principio è stato già riconosciuto anche in sede giurisprudenziale, laddove, per esempio, la Commissione tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza n. 136 del 21 gennaio 2008, ha stabilito che "invero la lettera dell'art. 22, comma terzo, del Dlgs 346/90 consente un'unica interpretazione. La norma di cui sopra è volta ad impedire la sottrazione di beni dall'attivo ereditario in prossimità della morte del de cuius e giustamente l'Ufficio richiama il meccanismo della revocatoria fallimentare".

Il caso all'attenzione dei giudici di merito può far meglio comprendere i risvolti della fattispecie in esame.
L'8 novembre 1999 avveniva il decesso del de cuius. Veniva quindi presentata denuncia di successione con successiva integrazione.
Nell'attivo ereditario erano dichiarati vari cespiti, tra cui fabbricati, terreni, un'azienda e, nella voce crediti vari, conti correnti bancari attivi. Con la dichiarazione integrativa venivano poi indicati crediti per 117 milioni e 990mila lire.
Il 26 giugno 2006 l'ufficio richiedeva la documentazione relativa all'azienda e ai conti correnti bancari.
Il 18 luglio dello stesso anno l'ufficio notificava ai successori un avviso di rettifica e liquidazione, modificando il valore dei crediti da 154.355.527 a 711.565.215 milioni di lire e accertando il maggior valore finale di un terreno edificabile da 2 a 95 milioni di lire.
In particolare, rettificava i saldi dei conti correnti bancari incrementando gli importi dichiarati nella sezione "Altri beni" per un ammontare pari alle somme relative ad alcuni prelevamenti effettuati nei giorni immediatamente precedenti il decesso.
Infatti, nei quattro giorni antecedenti l'evento, venivano presentati al pagamento assegni, o comunque effettuate operazioni di ritiro, per complessivi 557.209.688 milioni, a fronte di un importo dichiarato per soli 21.739.068 milioni di lire (la parte aveva affermato che si riferivano a un rimborso di un prestito infruttifero, senza fornire però alcun documento di supporto). L'ufficio, pertanto, provvedeva al recupero di quanto artatamente non dichiarato, ai sensi del comma 3 dell'articolo 22 del Dlgs 346/1990.

Considerata l'evidenza dell'indebito innegabile prelievo, il ricorrente cercava allora di appellarsi a un'arbitraria interpretazione della norma, sostenendo che l'avviso in contestazione sarebbe stato comunque illegittimo, dato che il richiamato comma 3 non si sarebbe riferito, in realtà, alle situazioni come quella oggetto di giudizio, ma soltanto al caso in cui i prelievi incidano su maggiori passività e non su minori attività. Inoltre, non essendo quella la norma utilizzabile e in mancanza di un'altra disposizione che consentisse una rettifica dei saldi attivi, il cespite non sarebbe stato accertabile. Di conseguenza, non era possibile la sanatoria ex legge 289/2002 e non poteva operare la proroga dei termini di accertamento, per cui l'avviso sarebbe stato tardivo.

L'ufficio, allora, dopo aver evidenziato che l'accertamento in esame atteneva a recuperi che sicuramente erano passibili di condono (oltretutto, rettificavano anche il valore di immobili dell'asse ereditario), nel merito, sottolineava come, se è vero che "giocare" sulla deduzione delle passività ereditarie costituisce da sempre uno dei principali strumenti usati dai contribuenti per porre in essere manovre elusive o di vera e propria evasione, e se è inoltre vero che, proprio per porre un freno a tali illeciti tentativi, pur ammettendosi in via di principio al passivo tutti i debiti esistenti alla data di apertura della successione (articolo 20, Testo unico), si pone comunque una serie di limiti alla deducibilità degli stessi. Tuttavia, allo stesso modo, è anche vero che le stesse finalità di evasione possono essere perseguite "giocando" anche sui minori crediti da sottoporre a tassazione.

Del resto, è evidente che maggiori debiti e minori crediti rappresentano due facce della stessa medaglia (con la sola differenza che, nel caso di minori crediti, sarà necessaria una maggiore attività investigativa da parte dell'Amministrazione finanziaria).

La norma citata, comunque, anche da un punto di vista letterale, non riguarda le passività ereditarie, ma espressamente "i saldi" dei conti correnti, laddove il termine saldo esprime un concetto algebrico e può essere indifferentemente positivo o negativo.
La disposizione contenuta nell'articolo 22 è quindi evidentemente volta a evitare la sottrazione di beni dall'attivo ereditario in prossimità della morte, utilizzando un meccanismo che è stato acutamente paragonato dalla dottrina prevalente alla revocatoria fallimentare.

La Ctp di Firenze, nel respingere il ricorso del contribuente, evidenziava del resto, a tal proposito, che "La disposizione di cui all'art. 22, comma terzo, del Dlgs 346/90 attiene non alle passività, ma espressamente e letteralmente ai "saldi" dei conti correnti e quindi non può essere interpretata in maniera univoca in termini positivi o negativi".
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