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Analisi e commenti

La tassazione per trasparenza delle società di capitali

Il regime, consentito attualmente per le sole società di persone, viene esteso "alle società di capitali, i cui soci siano a loro volta società di capitali residenti, ciascuna con una percentuale di partecipazione non inferiore al 10%"

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La tassazione per trasparenza dei redditi delle società di capitali, prevista dall'articolo 4, comma 1, lettera h) della legge delega, è disciplinata dall'articolo 83 del nuovo testo unico.
Il regime di trasparenza, consentito attualmente solo per le società di persone, viene esteso anche "alle società di capitali, i cui soci siano a loro volta società di capitali residenti, ciascuna con una percentuale di partecipazione non inferiore al 10%".

Si tratta di un regime opzionale: il legislatore lascia la facoltà alle società che posseggono tutti i requisiti previsti dalla legge per poter accedervi, di optare o meno per la trasparenza:
  • in caso negativo, cioè nel caso in cui la società non volesse optare, continua a trovare applicazione il regime di tassazione ordinaria (tassazione in capo alla società e ulteriore tassazione, sia pur ridotta, sul dividendo percepito). Regime che, peraltro, torna a essere operativo anche in caso di mancata riconferma entro il termine di scadenza di validità dell'opzione o in caso del venir meno dei requisiti richiesti dalla legge durante il periodo di trasparenza
  • in caso di esercizio dell'opzione, la società partecipata non pagherà più le imposte (Ires), ma sarà solo soggetto di accertamento e l'imputazione del reddito avverrà per trasparenza sui singoli soci partecipanti, per la loro quota percentuale di partecipazione.
Modalità operative
L'imputazione al reddito avverrà nei periodi d'imposta delle società partecipanti in corso alla data di chiusura dell'esercizio della società partecipata e quest'ultima sarà solidalmente responsabile con ciascun socio per l'imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all'obbligo di imputazione al reddito.
A questo riguardo, qualche commentatore ha evidenziato il fatto che la norma consente l'imputazione del solo "reddito imponibile", ma è chiaro che la trasparenza è applicabile anche in caso di risultato negativo di periodo (perdita). Soltanto un'interpretazione di questo tipo consentirebbe alla norma in esame di attuare appieno quell'assimilazione alle società di persone richiesta espressamente dalla delega e, nel contempo, di risultare coerente con la finalità perseguita dal legislatore delegante.

Finalità dell'istituto
E' spiegata chiaramente nella relazione al disegno di legge delega in cui si afferma che "l'indeducibilità delle perdite su partecipazioni, conseguenti all'introduzione della participation exemption, richiede l'introduzione di opportuni correttivi, per evitare la penalizzazione delle corporate joint ventures e, in genere, degli altri accordi che richiedono la costituzione di società di capitali, alla cui compagine sociale partecipano a loro volta altre società di capitali o enti commerciali. In questi casi, gli eventuali risultati negativi della joint venture sarebbero infatti fiscalmente irrilevanti per i partners, salva la possibilità per uno solo di questi, ricorrendone le condizioni, di avvalersi del consolidato fiscale. Al fine di rimuovere questo effetto negativo, sarà consentito, in questi casi, di optare per il regime di trasparenza fiscale delle società di persone".

Ma se questo è lo spirito della norma, si può osservare come il decreto attuativo, nel disciplinare la materia, risulti molto più ampio, in alcuni casi perché il delegato ha cercato di colmare le lacune del testo di legge delega, invero piuttosto stringato, in altri casi perché ha aggiunto degli elementi di novità rispetto alla volontà espressa del delegante.
  1. Un primo elemento di discordanza rispetto alla delega è rintracciabile già nel primo comma dell'articolo 83, che disciplina i requisiti necessari per poter optare per il regime di trasparenza. In particolare, la norma dispone che "esercitando l'opzione di cui al comma 2 (distrazione del legislatore: è il comma 4) il reddito imponibile dei soggetti di cui all'articolo 82, comma 1, lettera a), al cui capitale sociale partecipano esclusivamente soggetti di cui allo stesso articolo 82, comma 1, lettera a), ciascuno con una percentuale dei diritti di voto e di partecipazione agli utili non inferiore al...per cento e non superiore al ...%, può essere imputato a ciascun socio, indipendentemente dall'effettiva percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
    Al riguardo, la delega fa esclusivo riferimento ai soci "con una partecipazione almeno pari al 10%".
    La delega si è limitata a individuare solo una percentuale minima di partecipazione che deve possedere il socio per poter optare per la trasparenza, mentre il decreto attuativo ha previsto anche una soglia massima. Soglie entrambe ancora da definire.
    Con questa ulteriore previsione, l'intento del legislatore sembrerebbe quello di escludere dal regime di trasparenza le partecipazioni totalitarie o comunque di controllo. Intento che, tuttavia, non era emerso in sede di delega. Il legislatore ha voluto evitare, probabilmente, che istituti diversi ma che consentono di ottenere sostanzialmente lo stesso risultato, quali il consolidato nazionale e il regime di trasparenza, potessero sovrapporsi tra loro.
    Se questo è il motivo, la percentuale massima di partecipazione che sarà stabilita dal legislatore dovrà coincidere con quella minima richiesta per accedere al consolidato.
     
  2. Inoltre, sempre con riferimento ai requisiti necessari per poter accedere al regime opzionale, la delega non chiarisce che tipo di partecipazione debba avere il socio. Al riguardo, il legislatore delegato è intervenuto, specificando che il requisito del socio deve sussistere sia in termini di diritti di voto che di partecipazione agli utili. Ha tralasciato di indicare, tuttavia, se il diritto di voto deve essere esercitabile in assemblea ordinaria o altro. In altre norme attualmente vigenti, quali, ad esempio, quella sui capital gains, di cui all'articolo 81 del Tuir, per distinguere tra possesso qualificato e non qualificato, si fa riferimento ai diritti di voto in assemblea ordinaria. E' giusto dire dove contino i diritti di voto. Nel caso specifico non è stato detto nulla, probabilmente per dimenticanza del legislatore delegato.
    La questione è delicata, soprattutto se si considera che, con la riforma del diritto societario, si sono enormemente ampliati gli spazi dell'autonomia statutaria nel configurare diverse categorie di azioni.
    Il diritto di voto viene modulato con tecniche differenti: oltre alle azioni con diritto di voto pieno, ad esempio, si potranno avere categorie di azioni con un diritto di voto limitato a particolari argomenti (articolo 2351.2) o limitate a un "tetto massimo" o "per scaglioni" (articolo 2351.3), nel senso che sono individuati gli scaglioni mediante i quali progressivamente si riduce il peso dei voti esercitabili dal socio; o con un diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative (articolo 2351.2); o azioni che attribuiscono diritti patrimoniali ma senza poteri amministrativi e così via.
    E', dunque, opportuno che il legislatore chiarisca che tipo di diritto di voto debba avere il socio per soddisfare il requisito richiesto dalla legge per accedere al regime di trasparenza. Sarà importante comprendere se, ai fini della trasparenza, potrà essere rilevante il solo diritto di voto pieno o no.
     
  3. Passando a esaminare la disposizione contenuta nella prima parte del comma 2 dell'articolo 83, che include nel nuovo regime anche le società non residenti, ci si accorge subito che, in questo caso, il testo proposto dal legislatore delegato ricalca fedelmente la disposizione della delega. In particolare, la norma in questione consente anche alle società non residenti nel territorio dello Stato di accedere al regime fiscale della trasparenza purché:
    • abbiano gli stessi requisiti richiesti alle residenti
    • non vi sia l'obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti.
    La ratio di quest'ultima condizione è quella di non far perdere gettito allo Stato italiano. Se si permettesse a tutte le non residenti di avere la tassazione per trasparenza, il fisco italiano ne risulterebbe penalizzato (in termini di minor entrate). Senza il regime di trasparenza, infatti, la partecipata da soci non residenti pagherebbe il 33 per cento su 100 prodotto in Italia. Lo Stato, inoltre, intascherebbe anche la ritenuta sul dividendo distribuito al socio. Con il regime di trasparenza, invece, attribuendo al socio non residente l'imponibile della partecipata, lo Stato si limiterebbe a prendere le imposte pari a 33 sull'imponibile di 100, ma perderebbe le imposte che avrebbe percepito sotto forma di ritenute sulla distribuzione dei dividendi. Questo probabilmente è il motivo che ha spinto il legislatore a prevedere per legge che nella compagine societaria di un regime di trasparenza possa esserci un non residente a condizione che nei suoi confronti non si applichi alcun prelievo sui dividendi distribuiti.
    Il caso è quello della società madre-figlia in ambito comunitario, disciplinato dall'articolo 27-bis del Dpr n. 600/1973, previsto quando un socio non residente detiene una partecipazione diretta nel capitale di una società italiana non inferiore al 25 per cento e a condizione che la partecipazione sia stata posseduta ininterrottamente da almeno un anno alla data della relativa delibera di distribuzione (deve essere anche prodotta la certificazione rilasciata dallo Stato estero che attesti che la società non residente possiede i requisiti indicati nel comma 2 del 96-bis del Tuir).
    Attualmente non esistono convenzioni stipulate contro le doppie imposizioni che prevedono dividendi erogati da partecipate italiane che siano esenti da ritenuta.
     
  4. Il comma 2 prevede un'ulteriore ipotesi di inammissibilità al regime fiscale in esame non contemplata nella legge delega, che trova applicazione sia per le società residenti che per quelle non residenti.
    L'ipotesi è quella contenuta nella seconda parte del comma 2, in cui si stabilisce che l'opzione non è in ogni caso esercitabile quando la società partecipata abbia emesso strumenti finanziari partecipativi di cui all'articolo 2346, ultimo comma, del codice civile.
    Si tratta di strumenti finanziari speciali, emessi anche a fronte di apporti di opere e servizi da parte dei soci o di terzi, forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.
    L'esclusione dal regime di trasparenza può essere giustificata dal fatto che i soggetti titolari di strumenti finanziari partecipativi non partecipano al capitale sociale della società emittente né godono di diritti di voto (se non eventualmente su argomenti specificamente indicati - articolo 2351.5 del codice civile), requisiti invece necessari per il regime di trasparenza. Era, dunque, impossibile attuare un regime di trasparenza che avesse una valenza ridotta o parziale, cioè in cui soltanto una parte del reddito prodotto dalla società partecipata sarebbe stato imputabile per trasparenza ai soli soci con partecipazione al capitale e diritti di voto. Con la conseguenza che la società partecipata sarebbe rimasta debitrice di imposta per gli utili di spettanza dei soggetti titolari di strumenti finanziari partecipativi di cui all'articolo 2346, ultimo comma del codice civile.
     
  5. Dal contenuto della legge delega non emergono le modalità di esercizio dell'opzione (né poteva essere diversamente) che sono invece disciplinate puntualmente nel comma 4 dell'articolo 83.
    La norma richiamata stabilisce che l'opzione:
    • deve essere esercitata congiuntamente dalla stessa società e da tutti i suoi soci
    • deve essere comunicata agli uffici dell'amministrazione finanziaria territorialmente competenti
    • è vincolante per un triennio.
    Nel testo della legge delega non vi è traccia di questo vincolo di durata, invece previsto per il consolidato. Il legislatore ha voluto probabilmente inserirlo per evitare un utilizzo distorto dell'istituto.
    La norma prevede, inoltre, che l'opzione sia esercitata entro il primo dei tre esercizi sociali della partecipata. Ciò significa che si può decidere di effettuare l'opzione entro il primo dei tre esercizi: quindi all'inizio come alla fine dell'anno, anche dopo aver versato gli acconti. Se la partecipata ha già versato gli acconti, la norma (comma 3) stabilisce che questi sono scomputati dalle imposte dovute dai singoli soci secondo la percentuale di partecipazione agli utili di ciascuno. In altri termini, la partecipata li attribuisce proporzionalmente ai suoi soci.
    Sempre rimanendo in tema di opzione, il comma 5 disciplina gli effetti dell'esercizio dell'opzione. In particolare, nel primo periodo si afferma che l'esercizio dell'opzione non modifica il regime fiscale in capo ai soci di quanto distribuito dalla società partecipata utilizzando riserve costituite con utili ai precedenti esercizi o di riserve di cui all'articolo 58, comma 5.
    In sintesi, le distribuzioni di riserve che si sono formate anteriormente mantengono il regime ordinario, cioè saranno assoggettate all'imposta che avrebbero subìto in assenza del regime di trasparenza (norma analoga a quella contenuta nell'attuale articolo 122 del Tuir, in tema di trasformazione).
    Vantaggio del regime di trasparenza: non sono tassate in capo ai soci le distribuzioni di utili formati in esercizi per i quali la società ha optato per il regime di trasparenza.
    Per effetto dell'abolizione del credito d'imposta sui dividendi, il carico fiscale che deriva dall'applicazione del regime ordinario risulta, in generale, più oneroso rispetto alla diretta tassazione in capo al socio.
    Nel caso del regime di trasparenza, in cui i soci sono società di capitali, la convenienza è data dal risparmio dell'imposta sul 5 per cento del dividendo (per le persone fisiche la convenienza è data dall'eliminazione di fatto dell'imposta dovuta in qualità di percettore del dividendo, nonché in taluni casi anche dalla minore aliquota del 23 per cento sulla quota di reddito imponibile della società).
    Si può anche escludere, conformemente a quanto avviene per le società di persone, che gli utili maturati durante il periodo di vigenza del regime di trasparenza (e, dunque, tassati per trasparenza), se distribuiti ai soci successivamente alla scadenza dell'opzione, debbano essere assoggettati a tassazione. Il nuovo articolo 173 (corrispondente al 122 vecchio) prevede, ad esempio, che nel caso di trasformazione di una società non soggetta a Ires in società soggetta a tale imposta, le riserve formate prima della trasformazione con utili imputati ai soci a norma dell'articolo 6, a condizione che dopo la trasformazione siano state iscritte in bilancio con indicazione della loro origine, non concorrono a formare il reddito dei soci in caso di distribuzione e l'imputazione di esse a capitale non comporta l'applicazione del comma 6 dell'articolo 58.
    In conclusione, gli utili maturati durante la trasparenza non dovrebbero concorrere a formare il reddito dei soci, anche qualora fossero distribuiti dopo la vigenza dell'opzione, in regime di tassazione ordinaria.

    Il secondo periodo del comma 5 aggiunge che, ai fini del regime di tassazione per trasparenza, "durante i periodi di validità dell'opzione, salva una diversa esplicita volontà assembleare, si considerano prioritariamente distribuiti gli utili imputati ai soci ai sensi del comma 1".
    La volontà espressa dell'assemblea è dunque fondamentale. Ma se questa, al contrario, tace, si ritengono distribuiti prima gli utili che sono stati tassati per trasparenza. Considerato che questi utili non sono assoggettati a ulteriori imposte al momento della loro distribuzione, la norma diventa di favore per il socio. Gli utili che distribuisco per primi sono quelli che per lui non costituiscono evento reddituale.
    L'inciso utilizzato "durante il periodo di validità dell'opzione" fa pensare che la presunzione di favore opererebbe soltanto in vigenza dell'opzione e non dopo la sua scadenza.

    Sempre rimanendo nell'ambito del comma 5, la disposizione dell'ultimo periodo è poco chiara. Si dice: "in caso di copertura di perdite, si considerano prioritariamente distribuiti gli utili imputati ai soci ai sensi del comma 1". Forse si voleva dire "si considerano utilizzati gli utili..." altrimenti non se ne capisce il senso.

    Nell'ipotesi in cui vengano meno le condizioni per l'esercizio dell'opzione, come è stato già anticipato, torna applicabile il regime ordinario dall'inizio dell'esercizio sociale in corso della società partecipata (comma 6). L'effetto può essere dunque retroattivo. L'opzione, invece, non perde efficacia se muta la compagine sociale a favore di soci "buoni", ossia con i requisiti. In questo caso, la norma prevede che l'opzione resti efficace, riproponendosi automaticamente nei confronti dei soci entranti.
    La norma non disciplina il regime dei dividendi distribuiti al nuovo socio che entra a far parte del regime di trasparenza con utili già tassati per trasparenza in capo al vecchio socio (tali utili dovrebbero essere fiscalmente irrilevanti, in quanto già tassati).
     
  6. Un ulteriore elemento di novità rispetto al testo della delega è contenuto nell'ultimo comma del nuovo articolo 83. Si prevede che "nel caso in cui, per effetto di svalutazioni dedotte dal socio, il valore fiscale riconosciuto della partecipazione è minore del valore fiscale riconosciuto della corrispondente quota di p.n. contabile della società, il socio ridetermina il reddito imponibile oggetto di imputazione rettificando i valori patrimoniali della partecipata secondo modalità previste dall'articolo 148 della sezione terza".
    Il riallineamento dei valori, previsto nel regime di trasparenza in caso di precedenti svalutazioni, non è contemplato nella delega che invece lo richiede espressamente per il consolidato (vedi lettera a), dell'articolo 4, comma 1 del provvedimento di delega).
    In sintesi, la disposizione si applica se:
    1. la partecipata opta per il regime di trasparenza
    2. una delle società socie ha in passato dedotto una svalutazione della partecipazione detenuta
    3. al momento dell'imputazione del reddito per trasparenza, il valore fiscale della partecipazione risulta essere maggiore del valore fiscale della corrispondente quota di patrimonio netto contabile della società partecipata.
    Se queste tre condizioni si verificano, la società partecipante deve rideterminare la propria quota di reddito imputato, aggiungendo a quello proveniente dalla società anche il maggior imponibile che deriva dal riallineamento.
    Per il funzionamento, la norma rinvia all'articolo 148 del nuovo testo unico.
    In pratica, il riallineamento consiste nel diminuire i valori patrimoniali della partecipata conformemente alla svalutazione che è stata operata e nel rideterminare il reddito di quest'ultima in funzione di questi minori valori.

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