L'Ocse, nel capitolo IV delle "Direttive sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali", dedicato ai mezzi amministrativi per evitare e risolvere le controversie di transfer pricing, dopo aver specificato che la prova può, a seconda dei diversi Paesi, gravare sulle autorità fiscali piuttosto che sul contribuente, stabilisce che, "laddove per questioni di diritto interno l'onere della prova gravi sull'Amministrazione fiscale, il contribuente non può essere giuridicamente obbligato a provare la correttezza del proprio transfer pricing, a meno che l'amministrazione fiscale non costituisca una presunzione valida sino a prova contraria dimostrando che la determinazione del prezzo non è conforme al principio di libera concorrenza" precisando altresì che "...anche in tal caso, naturalmente, [l'autorità fiscale] potrebbe ancora obbligare il contribuente a produrre dati in proprio possesso, che consentirebbero all'Amministrazione fiscale di effettuare le proprie verifiche".
La natura dialettica della prova nel transfer pricing
Tuttavia, va anche detto come in varie parti delle linee-guida Ocse viene spesso rimarcata la natura dialettica della prova in una materia complessa come quella dei prezzi di trasferimento internazionali. Nel paragrafo 18 dell'introduzione viene specificato che "...nella ricerca di un equilibrio tra gli interessi dei contribuenti e delle amministrazioni fiscali, secondo modalità che siano eque per tutte le parti, è necessario considerare tutti gli aspetti del sistema di transfer pricing. Uno di questi aspetti riguarda la distribuzione tra le parti dell'onere della prova indipendentemente da quale sia la parte su cui grava l'onere della prova, sarebbe necessario valutare se la distribuzione di detto onere sia equa, considerati gli altri aspetti tipici del sistema fiscale della giurisdizione che incidono sull'applicazione generale delle regole di transfer pricing, inclusa la risoluzione delle controversie. Non sarebbe opportuno utilizzare una qualsiasi di tali regole, compresa quella che riguarda l'onere della prova, per giustificare delle tesi infondate sul transfer pricing". Inoltre, nel paragrafo 4.16 si legge: "...a causa delle difficoltà della analisi di transfer pricing, sarebbe appropriato sia per i contribuenti sia per le amministrazioni fiscali applicare con particolare prudenza e moderazione le regole dell'onere della prova nell'ambito del transfer pricing. Più in particolare per una prassi efficiente, l'onere della prova non dovrebbe essere utilizzato dalle amministrazioni fiscali o dai contribuenti come giustificazione per affermare tesi infondate o non verificabili in relazione al transfer pricing. Un'Amministrazione fiscale deve essere preparata a comportarsi secondo buona fede dimostrando che la propria determinazione del transfer pricing è conforme al principio di libera concorrenza, anche se l'onere della prova è a carico del contribuente. Analogamente, i contribuenti dovrebbero essere preparati a comportarsi secondo buona fede dimostrando che il proprio transfer pricing è conforme al principio di libera concorrenza, indipendentemente dalle regole sull'onere della prova".
I riflessi delle linee guida Ocse sull'ordinamento italiano
Dall'insegnamento Ocse emerge la considerazione secondo cui la materia del transfer price rappresenta un chiaro esempio di come una netta ripartizione dell'onus probandi tra le parti costituisca il mero punto di partenza di una attività dal carattere dialettico. Trasponendo tali principi nell'ordinamento italiano, si potrebbe sostenere che dovranno senz'altro trovare applicazione gli ordinari criteri in tema di onere della prova secondo cui incomberebbe sull'Amministrazione finanziaria la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria; all'opposto, spetterà al contribuente provare la sussistenza dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi. Tuttavia tali principi andrebbero "mitigati" dalla circostanza che quello dei prezzi di trasferimento è più precisamente un onere di argomentazione. Di conseguenza non sarebbe del tutto corretto fare riferimento a "prove e controprove" in senso tecnico, quanto piuttosto ad "argomentazioni e contro-argomentazioni" che maggiormente possono riflettere la natura dialettica del confronto tra Amministrazione finanziaria e contribuente. È indubbio, infatti, che le controversie riguardanti il transfer price celano una realtà molto complessa, coinvolgendo senza dubbio questioni di diritto ma soprattutto questioni gestionali di fatto (in prevalenza note soltanto al contribuente e dunque caratterizzate da una fisiologica estraneità di una delle parti, l'Amministrazione finanziaria, alle vicende connesse agli scambi intercompany). A questo punto appare condivisibile l'orientamento espresso dalla Suprema Corte (sentenza n. 1709 del 7 luglio 2006, depositata il 26 gennaio 2007) e dalla Commissione tributaria provinciale di Bergamo (pronuncia n. 29 del 9 settembre 2005), che presuppone un rapporto collaborativo tra il contribuente e l'autorità fiscale nel dare dimostrazione della coerenza della valutazione da ciascuno adottata.
La posizione della Corte di Cassazione
In particolare, la Corte di Cassazione ha espresso il seguente principio di diritto: "L'onere della prova dell'esistenza e dell'inerenza di un costo incombe al contribuente; per quanto riguarda i costi derivanti da servizi prestati da società controllante estera ad una controllata italiana, tale onere comprende ogni elemento che consenta all'Amministrazione finanziaria di verificare il normale valore degli stessi servizi". Dal suo canto, il collegio bergamasco ha stabilito che "la determinazione del valore normale dei singoli beni, necessario per la valutazione dei ricavi relativi alle vendite alle società estere consociate, è compito del contribuente. Le istruzioni alla compilazione del quadro Rf del Mod. Unico prevedono l'indicazione tra le altre variazioni in aumento, della differenza tra valore normale dei beni ceduti e/o dei servizi prestati ed il ricavo contabilizzato (ovvero tra il costo contabilizzato e il valore normale dei beni e/o servizi ricevuti). È quindi compito del contribuente determinare il valore normale dei beni e servizi ceduti alle controllate e/o consociate estere onde essere in condizione di dichiarare i redditi imponibili in conformità a quanto disposto dalla normativa fiscale. A fronte di tale incombenza il contribuente avrebbe pertanto dovuto opportunamente predisporre documentazione interna con i conteggi utilizzati per la determinazione dei valori normali necessari per il confronto con gli importi fatturati, da cui le eventuali differenze da dichiarare come variazioni solo in aumento ai sensi del comma 5 dell'articolo 76 Dpr 917/86. L'Amministrazione finanziaria, e per essa i verificatori, si sarebbero limitati, utilizzando tale documentazione, ad analizzare la validità dei metodi e dei parametri adottati dal contribuente per la determinazione dei valori normali e a constatare la valutazione dei ricavi in base a questi nei casi in cui risultassero superiori ai ricavi stessi. Nel caso in questione la Spa risulta non avere effettuato alcuna valutazione ai fini dell'integrazione dei ricavi al valore normale e quindi non ha potuto esibire alcuna documentazione ai verificatori evidentemente la mancanza di tali dati aziendali precostituiti e il tempo a disposizione non ha consentito una verifica completa".
Valore normale della transazione e dichiarazione dei redditi
In tal senso, nel transfer price vi è uno stadio preliminare in cui la società residente è tenuta alla valutazione al valore normale della transazione intercorsa con la consociata estera. Ciò avviene, di solito, nel momento genetico dell'operazione, dal momento che viene attuata una determinata politica dei prezzi (previamente decisa a livello di gruppo) rispondenti al principio di libera concorrenza; ma potrebbe avvenire anche in fase di dichiarazione dei redditi, attraverso l'evidenziazione di una variazione in aumento, laddove a livello di gruppo sono stati "imposti" (per svariate ragioni, non necessariamente fiscali) prezzi intercompany non in linea con l'arm's length. Quindi, in sede di controllo, vi è un primo livello di prova-argomentazione che l'Amministrazione finanziaria deve fornire valorizzando circostanze regolarmente addotte dal contribuente, presenti nella documentazione aziendale predisposta nei modi di rito, per dimostrare la diversità dei corrispettivi applicati al valore normale.
L'attività investigativa dell'Amministrazione
In questa fase, l'Ufficio, attraverso l'esame del metodo utilizzato dal contribuente per la determinazione del prezzo o, se non esplicitato da quest'ultimo, mediante adozione di altri metodi suggeriti dalla circolare ministeriale n. 32 del 1980, deve addurre circostanze che rilevino anomalie e incoerenze nel comportamento dell'impresa residente, indicative di uno scostamento rispetto a come si sarebbe comportato un soggetto indipendente nella determinazione dei propri prezzi di vendita o acquisto. A questo punto, il contribuente, può provare-argomentare che le anomalie riscontrate dall'autorità fiscale non esistono in quanto le argomentazioni addotte dalla controparte risultano deboli e pretestuose. Pertanto, se l'Ufficio riuscisse a presentare argomentazioni prima facie immuni da vizi logico-giuridici, spetterà all'impresa verificata valorizzare gli elementi fattuali disponibili per smentire la "tesi accusatoria". In questo modo si verifica una dialettica molto simile a quella fatta di prove e controprove che caratterizza il giudizio di fatto ma che si concretizza in argomentazioni e contro-argomentazioni finalizzate alla prova dei valori del transfer pricing.
Transfer pricing, come e quando si forma la prova nella pratica (1)