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Analisi e commenti

Viaggio nel reverse charge
sulla detraibilità dell’Iva – 3

L’orientamento giurisprudenziale prevalente di legittimità, che riconduce il recupero dell’imposta in inversione contabile all’effettività, soggettiva e oggettiva, dell’operazione

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La suprema Corte di cassazione è stata chiamata a esprimersi sul rapporto tra violazioni, sanzioni e detrazione dell’Iva già tramite la sentenza n. 16679/2016. Nella stessa, i giudici di legittimità hanno precisato che l’articolo 6, comma 9-bis.3 si applica alle “operazioni inesistenti che siano astrattamente esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta e che siano regolate dal cessionario coll'inversione contabile e il cessionario di “operazioni  inesistenti, anche se solo soggettivamente, ma pur sempre imponibili perde comunque il diritto di detrazione per effetto del combinato disposto dell'art. 19, comma 1, e dell'art. 26, comma 3 D.Iva.”.

Di recente la Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’argomento, in particolare, con le recenti ordinanze nn. 22109 e 22320 del 2021. In queste, sono stati forniti ulteriori chiarimenti in riferimento alla detraibilità dell’Iva in relazione a fatture emesse in inversione contabile. In dettaglio, è stato evidenziato, che in tema di reverse charge interno, qualora l'amministrazione finanziaria contesti l'esistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per l'assolvimento dell’Iva mediante il regime dell'inversione contabile, spetta al contribuente fornire elementi idonei a dimostrare la sussistenza e la natura delle operazioni, in conformità al principio di vicinanza della prova.

Secondo la Corte, quindi, nel sistema dell'inversione contabile, l'obbligo di autofatturazione e le relative registrazioni non assolvono una funzione formale, ma sostanziale.
Ne deriva, che l’amministrazione finanziaria è legittimata a utilizzare presunzioni, gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell'onere probatorio sul contribuente, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’imposta.

I giudici hanno sottolineato che il principio fondamentale della neutralità dell'Iva, delineato dalla giurisprudenza costante della Corte di giustizia Ue, il quale esige che la detrazione dell'imposta pagata a monte venga riconosciuta se sono soddisfatti i requisiti sostanziali, è rispettato nel caso del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva relativa a fatture per operazioni inesistenti. Hanno evidenziato, poi, che tali principi trovano necessariamente applicazione anche in caso di autofatturazione, poiché le relative registrazioni, anche nel caso di reverse charge, assolvono una   funzione sostanziale.

Inoltre, la Corte suprema ha precisato che le operazioni di cessione compiute  in   regime d'inversione contabile, sebbene effettuate sotto l'apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di  violazione  degli  obblighi sostanziali, ove  venga  meno  la  corrispondenza,  anche  solo  soggettiva, dell'operazione fatturata con quella in concreto realizzata, facendo esplicito richiamo agli insegnamenti della Corte di Giustizia (cfr, fra le altre, Corte di Giustizia 8 maggio 2008, in cause riunite C95/07 e C-96/07), la quale chiarisce che il  diritto  alla detrazione  è   connesso   alla   effettività   dell'operazione   (requisito sostanziale) e non può essere subordinato  al  rispetto  di  adempimenti  o obblighi meramente formali.

In relazione allo stesso argomento, la Cassazione si era espressa nello scorso mese di giugno, con la sentenza n. 23921/2021, nella quale veniva chiarito che, in caso di applicazione della disciplina nazionale del reverse charge, pur   in   presenza dell'apparente osservanza dei requisiti formali, non è possibile invocare il principio di neutralità dell'Iva, quando l’operazione di riferimento è ritenuta inesistente, in quanto carente dei requisiti sostanziali. In proposito, ricordiamo che la frode opera come  limite  generale al principio fondamentale di neutralità dell'Iva, ossia al principio secondo  cui  la detrazione   dell'imposta   è   accordata,  se   i   requisiti   sostanziali dell'operazione sono comunque soddisfatti, cioè che gli "acquisti siano stati effettuati da  un  soggetto  passivo, che quest'ultimo sia parimenti debitore dell'IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini  di  proprie  operazioni imponibili".

Nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, secondo la suprema Corte:

  • il   cessionario   rimane l'effettivo soggetto d'imposta
  • l’Iva integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta.

In altri termini, secondo la giurisprudenza prevalente, non viene in rilievo la mera inosservanza di obblighi contabili, ma la carenza   dei   presupposti   sostanziali, suscettibili di dar fondamento al diritto alla detrazione, e ciò a fronte dell'esistenza dell'obbligo di corrispondere l'imposta portata in fattura.
Più precisamente, nella sentenza si legge che il citato comma 9-bis.3 è attuabile al “committente   che   applica l'inversione contabile ma solo "per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta". Quindi, tali favorevoli trattamenti non trovano applicazione nel caso di operazioni imponibili, soggettivamente inesistenti ancorché regolate in regime domestico d’inversione contabile”.

Già a inizio anno la Cassazione era stata chiamata a esprimersi con la sentenza n. 8716/2021, tramite la quale aveva  chiarito che “nel  caso  di operazioni inesistenti in regime d'inversione contabile,  il  cessionario  è l'effettivo soggetto d'imposta e l'IVA  integrata  a  debito  sulle  fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta,  in  base  al  principio comunitario di cui all'art. 28-octies, anche quando si tratta  di  forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura”.

Vi sono, poi, altre numerose sentenze della Cassazione che riconducono la detrazione dell’Iva in inversione contabile all’effettività (soggettiva e oggettiva) dell’operazione, tuttavia risulta opportuno sottolineare che l’orientamento giurisprudenziale non è univoco, infatti, ci sono alcune sentenze, tra le quali le nn. 32552, 32553 e 32554 del 2019, che si discostano dall’orientamento prevalente della suprema Corte.

continua
La prima puntata è stata pubblicata venerdì 4 febbraio
La seconda puntata è stata pubblicata venerdì 11 febbraio

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