Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Attualità

Aiuti allo sviluppo, propellented'economia e deterrente al malaffare

Una risorsa che, a fronte della destabilizzazione di capitali ed entrate fiscali, si sta affermando con forza

aiuti allo sviluppo

Il tema caldo degli aiuti allo sviluppo, in un momento di crisi che segna le economie dei Paesi ricchi, oggi donatori, come quelle dei Paesi in via di sviluppo, i riceventi. Una sorta di ombrello democratico planetario che, per la prima volta, riavvicina, di fronte alle sfide ben definite nelle rispettive agende, tutte le diverse capitali mondiali, nessuna esclusa, indipendentemente dal rispettivo indice di Pil o dal reddito medio che la Banca mondiale o l'Fmi gli attribuiscono. E a ben guardare le dinamiche e i valori in movimento si registra come, dall'incedere della crisi, mentre i capitali privati, gli investimenti e perfino le entrate fiscali sono stati alternativamente destabilizzati, come flussi in ingresso, dall'impatto della crisi, gli aiuti ufficiali allo sviluppo, Oda, riconducibili in gran parte ai Paesi membri dell'Ocse e gestiti da un Comitato speciale (Dac) non soltanto hanno evitato ridimensionamenti ma, al contrario, proprio in coincidenza con la crisi, nel 2008, hanno centrato il primato storico, raggiungendo la soglia dei 120miliardi di dollari. E questo mentre i trend e i flussi facevano invariabilmente registrare segni negativi. In pratica, gli aiuti veicolati sotto l'ombrello ODA e gestiti dal Comitato speciale Dac si sono rivelati una risorsa decisiva nel mantenere aperto un canale strategico di risorse destinato ai Paesi più poveri. Un risultato destinato a ripetersi anche nell'anno in corso e nel 2010 e che, nel suo spiegarsi, impone una rivisitazione radicale del senso e del significato che gli aiuti allo sviluppo saranno chiamati a svolgere in futuro. Non più legati all'immagine di un'azione caritatevole ma strumento decisivo sul quale si potrà costruire una nuova e reale governance globale.

Fiscooggi, il quotidiano telematico dell'agenzia delle Entrate, per saperne di più sui mutamenti in atto ha intervistato Eckhard Deutsher, chair del Comitato per l'Assistenza allo Sviluppo (Dac) che di fatto gestisce e coordina i fondi ufficiali raccolti dai paesi membri dell'Organizzazione di Parigi destinati annualmente a raggiungere le realtà più povere del pianeta.

D. Lo tsunami che ha investito la finanza globale ha contribuito, indirettamente, a restituire agli aiuti allo sviluppo Oda un profilo primario. Con l'economia mondiale, infatti, in cerca affannosa di capitali freschi, il volume degli aiuti allo sviluppo, gestiti sotto l'ombrello dell'Oda, ha riguadagnato attenzione e, al contempo, rilievo, tanto da rivelarsi un ottimo strumento nel sostenere Paesi strutturalmente in difficoltà anche nel mezzo d'una crisi mondiale che, oramai da almeno un anno, lascia segni evidenti sulle economie più avanzate. E' possibile, secondo lei, trasformare questo quadro, così negativo nei suoi tratti generali, in un'occasione storica di rilancio e di rafforzamento, qualitativo e quantitativo, degli aiuti allo sviluppo?

R. La crisi, in realtà, ha funzionato come una sorta di memo nel ricordare puntualmente l'importanza degli aiuti allo sviluppo, specialmente se orientati a sostenere i Paesi più poveri. Per averne la controprova, numerica, è sufficiente osservare come tutti gli altri flussi della finanza globale abbiano subito delle correzioni significative, nient'affatto marginali e invariabilmente convergenti verso il basso. Il commercio mondiale, per esempio, nell'anno in corso è atteso contrarsi tra il 6,1% e il 10,2%, con l'export dei Paesi in via di sviluppo che dovrebbe reclinare del 6,4%. Le rimesse degli immigrati, così preziose per i Paesi poveri, anch'esse in coincidenza con il secondo semestre del 2008 hanno fatto segnare una fase di generale stagnazione, dopo anni di rapida crescita, tanto che nel 2009 s'attende un ulteriore brusco ridimensionamento. Un segnale questo molto negativo, anche perché le rimesse scontano già un loro disequilibrio interno nella ripartizione, considerato che sono soltanto 9 i miliardi di dollari che al termine della corsa risultano effettivamente trasferiti dai Paesi più ricchi a quelli più poveri, ai quali invece vengono destinati annualmente ben 30 miliardi di aiuti allo sviluppo targati Oda. E per concludere, il trend attuale dei capitali privati, inclusi gli investimenti esteri diretti e i prestiti ufficiali, non sembra affatto destinato a fornire convincenti rassicurazioni dato che le proiezioni ne indicano un declino da primato, nel 2009, pari all'82%. Questo significa che non oltrepasseranno la soglia dei 165miliardi di dollari. In pratica, è come tornare indietro a decine di calendari or sono.

D. In molti però, tra gli esperti, è proprio sulla sostenibilità degli aiuti allo viluppo che lasciano convergere dubbi.

R. - Gli aiuti costituiscono una quota importante del Pil per i Paesi più poveri tra quelli in via di sviluppo e l'8,5% del reddito nazionale lordo nelle realtà meno avanzate, in pratica gli ultimi degli ultimi. Nell'Africa sub-sahariana, gli aiuti che rientrano sotto la gestione Oda hanno rappresentato, nel periodo 2000-06, il 65,4% dei capitali netti in ingresso. Questi dati mostrano quanto siano importanti gli aiuti allo sviluppo non soltanto nel finanziare misure transitorie, ma anche nel sostenere sul lungo termine, quindi su agende sostenibili, l'attività economica anche in Paesi estremamente poveri. È chiaro, quindi, che assicurare che gli aiuti modello Oda contribuiscano allo sviluppo nel modo più efficace e ed effettivo possibile è essenziale se si vogliono centrare dei risultati di lungo termine. È per questo che l'ufficio che dirigo, il Dac, nei sei anni passati ha ospitato e coordinato una partnership internazionale sulla effettività degli aiuti che riunisce insieme i donatori, gli Stati che ricevono gli aiuti e i Paesi che appartengono a entrambe le categorie. A questi, naturalmente, si devono aggiungere le agenzie multilaterali che si occupano della materia, i rappresentanti della società civile, i Parlamenti e i governi locali. Il risultato è stato la sottoscrizione di due dichiarazioni di riferimento e, al contempo, la determinazione d'una road map piuttosto ambiziosa. Ora si deve intraprendere il percorso che s'è definito.

D. La Crisi non concede pause, anzi, non prevede agende generose, domanda risposte immediate.

R. La Crisi domanda l'azione, in via obbligatoria, ma offre anche la chance di tornare a guardare avanti. Al riguardo, il lavoro già svolto ha consentito di predisporre i punti chiave dai quali avviare un piano d'azione che i Paesi donatori hanno definito il mese scorso nel corso d'un incontro ministeriale centrato soprattutto su alcune problematiche specifiche come, per esempio, la frammentazione eccessiva degli aiuti, la certezza dei fondi e l'effettività degli stanziamenti. Considerato che il quadro complessivo relativo all'impatto della crisi sui Paesi poveri è ancora imperfetto, il Piano indica cosa i donatori possono e dovrebbero fare in questa situazione.

D. Quali sono i punti principali del piano d'azione?

R. Sono sei le aree d'intervento e le relative azioni da intraprendere definite dai Paesi donatori. Innanzitutto, riaffermare gli impegni presi e resistere alle pressioni dirette a tagliare i fondi stanziati. A seguire, più flessibilità nell'assistere i Paesi poveri nella realizzazione di obiettivi sia di breve sia di lungo periodo, riconoscendo, di fatto, che gli aiuti ufficiali (Oda) sono un ponte di progresso sociale e, al contempo, di sviluppo sostenibile, nient'affatto limitati alle contingenze. Hanno una visione e un orizzonte ben più ambiziosi. E ancora, fare in modo che gli aiuti stanziati costituiscano uno strumento in sintonia con le domande dettate dalla crisi e che, nella loro definizione, una volta stanziati, risultino certi nell'entità e nel percorso dal donatore al ricevente. Quindi, esplorare anche forme innovative d'assistenza, da aggiungere e con le quali rafforzare l'effetto positivo indotto dagli interventi codificati attraverso gli aiuti allo sviluppo. L'ultimo punto riguarda la responsabilità, e prevede che i Paesi donatori, partner inclusi, avviino il monitoraggio congiunto delle azioni anti-crisi intraprese sottoponendosi anch'essi a eventuali valutazioni.

D. Un richiamo, quindi, alla responsabilità. E questo in un settore dove spesso si evoca il fantasma della corruzione, legato tradizionalmente agli aiuti che, inclusi quelli veicolati attraverso il sistema Oda, raggiungono al termine del loro cammino, spesso oscuro, i governi stranieri. Avete un piano, intendo il Comitato che lei presiede, per frenare la corsa, soprattutto ora, in tempi di Crisi, di questa piaga?

R. La corruzione è un ostacolo serio allo sviluppo. Comunque, gli aiuti ufficiali Oda non rappresentano certamente il motore principale di questo fenomeno. Dove transazioni finanziarie dalla taglia significativa hanno luogo, lì s'innestano i rischi più alti legati all'insorgere della corruzione. I flussi connessi al mercato del petrolio, per esempio, o a quello degli scambi di risorse naturali risultano, in realtà, più esposti all'insorgere della corruzione. Dunque, ribadisco che la prevalenza di questa piaga in riferimento agli aiuti allo sviluppo è piuttosto bassa. Molti Paesi utilizzano i loro programmi di sviluppo proprio per tagliare ossigeno alla corruzione, aiutando i Paesi in via di sviluppo a rafforzare i rispettivi meccanismi di trasparenza e di contabilità. Il Comitato ha lavorato su questo tema e ha formulato delle precise raccomandazioni su come i donatori possono intervenire. Un aspetto importante in questo contesto è il versante dell'offerta della corruzione, coloro che propongono tangenti originando il fenomeno che, nel suo itinere, implica sempre due protagonisti, una sorta di tango.

D. La Corruzione come il tango, si balla in due. Come s'interrompono le danze?

R. I Paesi donatori devono mandare segnali chiari, e tutti dobbiamo dedicare un'attenta osservazione ai settori privati nei rispettivi Stati. Questo è ciò che fa l'Ocse attraverso lo strumento della speciale Convenzione contro la corruzione che ha reso illegale per le aziende private degli Stati membri, incluso un numero crescente di Paesi esterni all'Organizzazione, ricorrere al pagamento di tangenti, per esempio, nei Paesi in via di sviluppo, per ottenere condizioni di favore. Nel contempo, il Comitato s'impegna nel rafforzare l'enfasi sulle attività dirette al recupero dei patrimoni, al potenziamento dell'antiriciclaggio e al rafforzamento della trasparenza sui paradisi fiscali, che insieme costituiscono un meccanismo su base globale che, una volta ricondotto sotto controllo, riduce lo spazio e le opportunità per fenomeni di corruzione.

D. Tangenti e corruzione corrono con i mercati globali ma sono anche nazionali nella loro origine.

R. Tornando ai Paesi in via di sviluppo, il ruolo degli aiuti nel combattere la corruzione è essenziale. La corruzione corre dove i sistemi sono deboli, dove non c'è trasparenza e dove i controlli mancano. Un processo di sviluppo può essere condotto al successo soltanto con il contributo decisivo del Paese stesso. Una via per rendere questo possibile è trasferire i fondi stanziati come aiuti direttamente sui bilanci dei Paesi che li ricevono, in modo da allinearli ai rispettivi sistemi di contabilità finanziaria e di gestione. Questa corsia è essenziale al fine di rafforzare la capacità domestica, la trasparenza e i relativi sistemi di controllo impiegati e, al contempo, supportare i Parlamenti, la società civile e il governo locale nel giocare appieno tutti il loro ruolo cruciale, non soltanto riguardo gli aiuti allo viluppo ma per l'intera gestione dei bilanci nazionali e dei sistemi di management.

D. Veniamo ai numeri per dare un profilo concreto al tema di cui si discorre. Nel 2008, quanti miliardi di dollari hanno raggiunto i Paesi poveri in forma di aiuti ufficiali allo sviluppo, in pratica sotto l'ombrello Oda? E nell'anno in corso e, a seguire, nel 2010 quali sono le attese in termini cinicamente contabili.? La crisi dopo tutto domanda azioni immediate e dalla taglia voluminosa.

R. Iniziamo dal 2008. Gli aiuti ufficiali allo sviluppo gestiti dal Comitato Dac e diretti ai Paesi poveri sono stati pari a 120miliardi di dollari, 119,8 per l'esattezza. Una cifra che ha messo a segno un duplice record. Un incremento del 10,2% rispetto all'anno prima e, soprattutto, l'ammontare più alto mai registrato nella storia degli aiuti allo sviluppo. Piani successivi per stanziamenti legati all'anno in corso, suggeriscono che nel 2009 ai 120 miliardi messi in cassa nel 2008 si potranno aggiungere 9 miliardi in più. Spostando così l'asticella ancora più in alto.

D. Tutto questo nonostante la crisi? Ma i capitali non scarseggiavano?

R. Quello che si sta compiendo è un deciso passo avanti in tema di aiuti allo sviluppo. Ci sono però anche notizie nient'affatto positive. L'aumento degli stanziamenti fin qui registrato non è ancora sufficiente per centrare gli obiettivi fissati nel corso della riunione di Gleneagles. Per il 2010, quindi, l'Ocse stima saranno necessari 15 miliardi di fondi ulteriori che i Paesi membri dovranno indirizzare sul capitolo degli aiuti allo sviluppo per restare nei parametri stabiliti. In particolare, riguardo l'Africa i fondi che mancano all'appello sono ancora piuttosto significativi, senza contare che il Continente africano è l'area geografica dove gli aiuti crescono a un tasso ridotto. Il gap stimato, per l'Africa, è pari a 20miliardi di dollari, più di quanto manchi ancora all'appello su scala planetaria. Un indicatore questo che dovrebbe far riflettere.

D. Qual è la visione che il Comitato ha sulle dinamiche che stanno ridisegnando il profilo dello spazio globale e, soprattutto, quale sarà il ruolo che gli aiuti allo sviluppo saranno chiamati a giocarvi?

Il Comitato proprio recentemente ha realizzato una riflessione strategica sul futuro della cooperazione allo sviluppo. Il titolo del report è piuttosto esemplificativo in merito "Investire nello sviluppo, una causa comune in un mondo che cambia".

D. Un richiamo all'unità? Gli aiuti allo sviluppo come strumento di unione tra paesi e come occasione di convergenza?

R. - Innanzitutto, lo sviluppo è un investimento, non è un atto di carità. In secondo luogo, il riferimento alla causa comune implica che l'investimento cui si dà seguito con gli aiuti ufficiali combina obbligazioni morali con interessi illuminati. In pratica, è nel nostro interesse sostenere uno sviluppo sostenibile nei Paesi poveri. E per chiudere, nel report si affronta il tema dello sviluppo, non della cooperazione. Questo significa porre l'obiettivo in risalto. In futuro, quindi, raggiungere dei risultati concreti e mostrarli sarà sempre più importante, mentre richiami generici e rituali alla cooperazione allo sviluppo resteranno nell'ambito che loro compete, espressione d'intenti in attesa d'essere promossi a impegni effettivi capaci di generare risultati concreti.

D. - Basta invertire l'ordine strutturale d'una frase per avvicinarsi al risultato?

R. - Il riferimento allo sviluppo, piuttosto che alla cooperazione allo sviluppo, implica e riconosce che un progresso reale necessita, oltre che degli aiuti, delle azioni integrate e coordinate ad ampio raggio e su più versanti come, per esempio, il commercio, gli investimenti, la sicurezza, l'immigrazione, la cooperazione fiscale e la lotta alla corruzione. Questo significa che i Paesi donatori dovranno lavorare insieme e su più fronti e, al contempo, il Comitato inizierà a valutare il crescere e l'istituzionalizzarsi d'una architettura globale coerente con lo sviluppo e con valori pubblici riconosciuti su scala mondiale.

D. - Quindi gli aiuti allo sviluppo come ancora che potrebbe rivelarsi fondamentale nel condurre alla realizzazione effettiva d'una governance globale, reclamata fino ad oggi ma ancora lontana dal suo manifestarsi?

R. - La comunità dei Paesi donatori si deve connettere in modo più diretto con il dibattito politico in atto e con il pubblico che lo anima e ne è, protagonista, coloro che votano e che pagano ogni anno tasse e imposte. Gran parte del dibattito sullo sviluppo è condotto in splendido isolamento. È  un dialogo autoreferenziale. Si deve smettere di rivendere l'idea degli aiuti allo sviluppo sostenendo, implicitamente, che soltanto loro possono generare progresso nei Paesi poveri, oppure, rivestendoli con l'immagine degli aiuti umanitari. Un lavoro più efficace sarà invece quello di spiegare il valore e l'ambizione strategica d'uno strumento che suppone e si fonda su una risposta coordinata su scala internazionale, attraverso la quale sarà possibile rispondere alle domande e alle sfide che la globalizzazione ci presenta in agenda.
 

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/attualita/articolo/aiuti-allo-sviluppo-propellentedeconomia-e-deterrente-al-malaffare