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Attualità

Assunzione di dichiarazioni di tipo testimoniale e confessorio: problematiche e soluzioni giurisdizionali (3)

Le dichiarazioni con valore di confessione o di testimonianza rese in sede d'investigazione penale o in altri procedimenti giurisdizionali

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Le dichiarazioni con valore di confessione o di testimonianza rese in sede d'investigazione penale o in altri procedimenti giurisdizionali
Riguardo alla questione dell'assunzione di dichiarazioni di tipo confessorio o testimoniale acquisite nell'ambito dell'investigazione penale non vi dovrebbero essere voci dissonanti; appare, infatti, del tutto evidente che le stesse possano essere assunte nel processo tributario. Tali conclusioni discendono per la confessione dall'assenza di un divieto d'assunzione e per le dichiarazioni di terzi dalla circostanza che le stesse, essendo provenienti da un ambito comunque extra processuale, non possono essere qualificate, sic et simpliciter, quali testimonianze (v. Cassazione n. 3526/2002).

Sul punto, la Cassazione, oltre ad avere ribadito che non può esserci una elusione dell'articolo 7, comma IV, del Dlgs 546/92, riferita alle dichiarazioni che gli organi dell'Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati in forza dell'articolo 32, comma I, del Dpr 600/73 e dell'articolo 51 del Dpr 633/72, non essendo una prova assunta in processo con le garanzie del contraddittorio, nella sentenza n. 9100/2001, ha anche giudicato come: "In linea di principio, gli elementi di conoscenza raccolti secondo le regole della indagine penale ben possono essere impiegati fini dell'accertamento tributari, senza alcuna limitazione che derivi dalla mancata coincidenza tra la persona indagata ed il contribuente nei cui confronti tali elementi vengano utilizzati (Cass.14585/1999). Conseguentemente, il giudice che debba decidere una controversia tributaria può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale, ancorché questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di giudicato opponibile in sede giurisdizionale diversa da quella penale, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori" (conformi, sentenze Cassazione numeri 12577/2000, 1349/99 e 1768/1999).

Sulla legittimità del conseguimento di elementi acquisiti dalla Guardia di Finanza previa autorizzazione del giudice per dar riscontro a un'indagine penale, non appare possibile sollevare alcuna legittima obiezione (ammessi dalle sentenze della Commissione tributaria centrale n. 6347/1996, della Ctr del Piemonte n. 55/2002 e della Ctr dell'Emilia Romagna del 30.02.2005, che espressamente riferisce che la loro acquisizione non dà luogo ad alcuna violazione di segreto istruttorio).
Non pare, a nostro avviso, essere di pregio la preclusione promossa da alcuni per l'acquisizione di elementi probatori assunti senza la scrupolosa osservanza delle regole e delle garanzie del processo penale, atteso che queste regole sono specifiche e valevoli unicamente per una tutela dell'indagato/imputato nell'ambito del procedimento penale (v. Cassazione sentenza n. 6939/2001).

La legislazione tributaria, anzi, per rendere concreto il dettato dell'articolo 53 della Costituzione (articolo che si sostiene di valore primario e fondante per l'impianto e l'organizzazione dello Stato/Repubblica(2)) adotta un criterio di apertura e di omnicomprensività verso tutte quelle informazioni utilizzabili ai fini dell'accertamento.
Per meglio sostenere le ragioni di quanto detto, basta dare una rapida occhiata agli articoli: 37, comma I, 39, comma II, e 41, comma II, del Dpr 600/73 nonché 55, commi I e II, del Dpr 633/72, che si ripetono sulla possibilità (sebbene delle volte con la ricorrenza di alcuni presupposti) di un accertamento "sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza".

Maggiormente controversa appare, invece, l'ammissibilità delle confessioni e soprattutto delle testimonianze rese in sede di processo penale. Le dichiarazioni rilasciate agli organi verificatori si differenziano profondamente dalle dichiarazioni rese in un processo; queste, attenendo a una fase di un procedimento amministrativo, non sono vincolate a un rigoroso rispetto del contraddittorio, essendo sufficiente il rispetto di alcune cautele previste per evitare abusi e arbitrii; altra divergenza constatabile è la sostanziale atipicità dei mezzi istruttori con cui il verificatore può discrezionalmente investigare sulla concreta fattispecie.
Le dichiarazioni processuali confessorie e soprattutto testimoniali, rese in sede processuale penale con regole procedurali precise e con il rispetto del principio del contraddittorio, appaiono di acquisizione ben più problematica; la considerazione che le stesse in definitiva vengono "documentalizzate" e assunte per il tramite di sentenze in cui sono richiamate o per mezzo di processi verbali d'udienza, difatti, potrebbe apparire più una sottigliezza da sofista volta a eludere la linea marcata dall'articolo 7, comma IV, del Dlgs 546/92.

Va evidenziato che tale tendenza a giustificare l'assunzione delle prove penali in quanto, comunque, inserite in documenti cartacei, è stata fatta propria da moltissime sentenze; in primis, la Cassazione, con la sentenza n. 9070/1999, ha ritenuto che la sentenza penale sia essa stessa un documento dal quale il giudice può trarre elementi di giudizio. La Ctr della Sicilia, nella sentenza n. 17/2001, ha argomentato concludendo che il giudice tributario può esaminare il contenuto delle prove, ricavandole eventualmente dalla sentenza penale o dagli atti del processo, in modo da individuare esattamene i fatti accertati per poi sottoporli al proprio vaglio critico.
Sul punto anche la Ctr del Lazio si è espressa in due sentenze d'uguale tenore del 2003, la n. 5 e la n. 236, affermando che le risultanze penali, pur non avendo rilevanza diretta, possono peraltro fornire utili elementi a sostegno del libero convincimento del giudice tributario. Nulla infatti vieta che quest'ultimo possa utilizzare le stesse risultanze del processo penale alla stregua di normali prove documentali proposte dalle parti in causa; ciò a maggior ragione quando le risultanze stesse siano frutto di istruttorie dibattimentali nelle quali l'attività di acquisizione probatoria è di gran lunga più efficace di quella consentita al giudice tributario.

Permane, a ogni modo, un certo disagio nell'acquisire le prove testimoniali; significativa è la necessità avvertita da alcune sentenze di dover giustificare l'assunzione di alcune dichiarazioni rilasciate dal legale rappresentante, qualificandole, in virtù del rapporto di immedesimazione organica con la società, come dichiarazioni di tipo confessorio e non testimoniale, pertanto ammesse in assenza di un esplicito divieto (v. Cassazione sentenze nn. 7964/1999 e 8585/1999).
Interessantissima appare sull'ammissione delle confessioni nel processo tributario, la sentenza emessa della Cassazione n. 9320/2003, che ha sostanzialmente non solo ammesso l'assunzione "in mancanza di un divieto esplicito", ma ha anche ritenuto che "il Giudice ben può utilizzare anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o altre parti, al fine di trarne non solo semplici indizi ma anche valore di prova esclusiva", dando in pratica valore probatorio pieno e non indiziario a tale tipo di dichiarazioni.

Se, quindi, la diatriba sull'ammissione della confessione non appare in vero accesa essendo al più incerto il valore da attribuirle, una ridda di dubbi si affacciano considerando l'ammissione delle testimonianze che non possono essere ricondotte - come detto - alle dichiarazioni amministrative rese fuori da un processo e di cui appare problematica anche la valutazione, investendo inevitabilmente anche interpretazioni legate all'articolo 654 del codice di procedura penale.
La Cassazione, in ogni caso, si mostra propensa ad accogliere le dichiarazioni rese in un diverso giudizio che possono essere utilizzate come indizi e costituire quindi materia dalla quale desumere elementi di convincimento, valutabili secondo i principi della logica comune e il cui apprezzamento è rimesso in ogni caso alla libera, prudente e incensurabile discrezione del giudice di merito (cfr. Cassazione n. 2744/1980).

Si evidenzia come in definitiva le prove assunte in un diverso processo, anche penale, possono essere utilizzate (Cassazione sentenze nn. 2090 e 2091 del 1996) non solo per fini accertativi ma anche ai fini processuali... perché è questa, in ultimo, la vera discrasia tra un sistema di fonti necessariamente aperto e atipico come per l'accertamento e un sistema chiuso e vincolato come è quello tipizzato per il processo. La giurisprudenza appare convinta nel limitare la portata dell'articolo 654 c.p.c., non solo per quanto espresso dall'articolo ovvero per le sole parti processuali e per i soli fatti materiali oggetto d'accertamento (per la sentenza della Ctr della Lombardia n. 105/2002, tale ipotesi varrebbe solo per i giudicati penali, che si fossero basati esclusivamente su prove documentali), ma anche nell'ammettere le risultanze emergenti dal processo penale alla libera valutazione del giudice tributario.

Va detto, infatti, che fra i due processi giurisdizionali, penale e tributario, vi sono molteplici differenziazioni, sia sul piano strutturale che procedimentale.
La loro peculiarità e autonomia è evidenziata dalla presenza di diverse metodologie istruttorie fra loro incompatibili e dall'ammissibilità di alcuni mezzi di prova, quali ad esempio la testimonianza. A comprovare l'indipendenza dei giudizi, con la susseguente impossibilità di far valer tout court il giudicato penale in sede tributaria, v'è la considerazione che il legislatore riconosce ai fini tributari l'utilizzo di svariate presunzioni(3) (v. Cassazione sentenze n. 889/2002 e n. 10269/2005 ).

Solo per una completa esposizione va rilevato anche la differente specializzazione, ratione materiae, nonché la diversa composizione e qualificazione degli organi giudicanti; altri rilevanti fattori di distinzione sono la rilevanza psicologica del soggetto agente e, sostanzialmente, lo scopo e il campo d'indagine: il reato penale e l'evasione tributaria.
La Cassazione autorevolmente ha sancito la libertà del giudice tributario nel poter acquisire e valutare autonomamente anche i fatti storicamente accertati in sede penale sulla base della disciplina del Dpr 600/73 (vedi Cassazione sentenze n. 14328, n. 15089 e 15128 del 2000; n. 3132 del 2001 e nn. 52 e 516 del 2002)(4).

Dunque tra il processo penale e il processo tributario vige il principio di reciproca autonomia; sulla base di questa considerazione si evince che il giudice tributario non è vincolato nel proprio giudizio dalla decisione penale, ma rimane libero di fondare il proprio convincimento su qualsiasi prova acquisita nel processo penale (sentenza della Ctr della Sicilia n. 198/2002 e Ctr del Lazio n. 24/2003).
La Cassazione appare decisa nell'affermare che il giudice tributario, nell'esercizio di quel potere-dovere riconosciuto, dall'articolo 116 del codice di procedura civile, norma applicabile al relativo giudizio in virtù del rinvio al codice di rito operato dall'articolo 1, comma II, del Dlgs 546/92, possa e anzi debba acquisire tutti gli elementi scaturenti dal procedimento penale per farne poi oggetto di autonoma valutazione e apprezzamento (vedi Cassazione sentenza n. 9320/2003).

Un'altra decisiva motivazione che potrebbe fare propendere per la pacifica acquisizione delle testimonianze penali, potrebbe essere l'interpretazione fornita dell'articolo 7, comma IV, del Dlgs 546/92, per cui lo stesso varrebbe unicamente come limite posto all'interno del processo tributario all'acquisizione diretta da parte del giudice tributario alla prova testimoniale, ben potendo quest'ultimo recepire con valore indiziario le testimonianze rese in altri procedimenti.
Sul valore da dare in fase di acquisizione delle dichiarazioni testimoniali assunte coerentemente e precipuamente per l'indagine penale, il giudice tributario rimarrà libero, potendo, ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., dare valore indiziario o di prova alle stesse(5).

Per quanto analizzato in precedenza, di particolare interesse appare la sentenza n. 4394/2004 della Cassazione, che ha concluso che il giudice può ben basare il proprio convincimento, in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell'obbligazione tributaria in lite, sulle prove assunte in un diverso processo e anche in sede penale, quali prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se e in quanto non smentite dal raffronto critico con altre risultanze del processo, riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.

Originale e foriera di mille riflessioni è poi la sentenza della Cassazione n. 9827/2000, che ha avallato nel proprio giudizio la tesi sostenuta dall'Amministrazione finanziaria di attribuire maggiore attendibilità alle dichiarazioni rese dai dipendenti di una ditta innanzi agli ispettori del Lavoro rispetto a quelle rese, in seguito, dagli stessi in fase processuale, sia per la maggiore immediatezza e spontaneità che per il particolare valore di pubblica fede che hanno i verbali redatti da pubblici ufficiali.

3 - continua. Le prime due puntate sono state pubblicate martedì 23 e mercoledì 24; la quarta e ultima su FISCOoggi di venerdì 26


NOTE:
2) Sarebbe, ad esempio, inimmaginabile per uno Stato poter provvedere: alla giustizia, alla sicurezza, alla tutela della salute dei cittadini, qualora mancassero le adeguate risorse finanziarie.

3) Ammesse nonostante il divieto di prova testimoniale ex articolo 7, comma IV, del Dlgs 546/92, dato che l'articolo 2729, comma II, del codice civile, il quale dispone che le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni, non è applicabile nel processo tributario, avendo efficacia solo in ambito civilistico (v. Cassazione sentenze nn. 12854/1997 e 9100/2001). A escludere la valenza dell'articolo 2729 del codice civile, oltre alla ratio di non rendere troppo grave l'onus probandi che ricade sugli uffici nell'esposizione e nel successivo vaglio giurisdizionale della pretesa tributaria, valgono anche ragioni di speditezza processuale in ambito tributario. A decisiva riprova di quanto finora detto, vi sono, plurimi e specifici esempi di presunzioni previste in ambito tributario. Il legislatore, oltre ad avere dato sempre più spazio agli accertamenti basati su metodologie presuntive (parametri, studi di settore), ha anche provveduto a inserire alcune specifiche previsioni presuntive legate alla residenza e ai costi sostenuti in Paesi inseriti nella black list (decreto ministeriale 4.5.1999), alla determinazione del periodo di utilizzazione del "lavoratore in nero", alla movimentazione di conti bancari, alla cessione e all'acquisto di beni, all'esercizio d'impresa e all'esercizio di attività no profit. I Testi unici delle maggiori imposte (dirette, Iva e registro) presentano diversi articoli che prevedono l'impiego di presunzioni (ad esempio, gli articoli 37, comma III, 37-bis, 38, commi III e IV, 39, commi I e II, 41, comma II, 41-ter, commi I e II, del Dpr 600/73; 53, commi I e IV, 54, comma II, 55, commi I e II, del Dpr 633/72, e, in ultimo, gli articoli 51, comma III, 52, comma IV, e 52-bis del Dpr 131/86.

4) Contra la sentenza n. 5/2001, del 17.03.2001, emessa dalla Ctr della Sicilia, che ha affermato come l'insussistenza del fatto materiale provato in sede penale, spieghi in ogni caso i suoi effetti anche in ambito tributario (rifacendosi a quanto stabilito nella sentenza n. 264, del 18.07.1997, della Corte costituzionale).

5) La sentenza n. 221/2000 della Ctr della Lombardia ribadisce come, al di fuori della previsione dell'articolo 654 c.p.p., gli atti e le prove assunti in ambito penale o comunque extra tributario, possono valere, in sede contenziosa tributaria, come argomenti di prova o semplici indizi liberamente apprezzabili ai sensi dell'articolo 116 del codice di rito civile; ferma restando (chiude sibillinamente la sentenza) l'esclusione della prova testimoniale stabilita dall'articolo 7, comma IV, del Dlgs 546/92.

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