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Attualità

Autorizzazione all'appello: procedura interna, non presupposto processuale

È semplicemente uno strumento organizzativo di indirizzo e controllo da parte di un ufficio sovraordinato

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L’evoluzione della giurisprudenza
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, formatosi con riferimento all'assetto organizzativo preesistente all'attivazione delle Agenzie fiscali, era considerato inammissibile il ricorso in appello dell'ufficio periferico dell'Amministrazione finanziaria proposto senza l'autorizzazione da parte della direzione regionale.
Tale giurisprudenza era concorde nel riconoscere all'autorizzazione natura di presupposto processuale, la cui mancanza determinava quindi l'inammissibilità del gravame, come tale rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

A seguito dell'istituzione delle Agenzie fiscali, la Corte di cassazione ha assunto una posizione diversa. Con la sentenza 604/2005, pronunciata a Sezioni unite, ha affermato infatti che "La disposizione dell'art. 52, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ..., deve essere ritenuta non piu' suscettibile di applicazione" (in senso conforme, Cassazione 20516/2006). Più in particolare, "la disposizione dell'art. 52, comma 2, del D.Lgs. 3 dicembre 1992, n. 546, secondo cui "Gli Uffici periferici del Dipartimento delle Entrate devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell'appello principale dal responsabile del servizio contenzioso della competente direzione regionale delle entrate…”, non è applicabile in relazione alle Agenzie delle Entrate cui il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che ha soppresso gli Uffici ed organi ministeriali ai quali il citato art. 52 fa riferimento, ha attribuito la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli Uffici del Ministero delle finanze, e trasferito i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell'organizzazione interna di ciascuna agenzia (art. 57). Si deve cioè escludere che il citato art. 52, comma 2, ponga condizionamenti al diritto delle agenzie… di impugnare in appello le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali ad esse sfavorevoli".
L’assunto delle Sezioni unite, invero, prende le mosse da altre pronunce della Corte suprema, secondo cui la legge riconosce direttamente all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato sia la qualità di parte nel processo tributario (legitimatio ad causam) che la capacità di stare in giudizio (legitimatio ad processum).

La sentenza della Cassazione 14912/2007 ha infine ribadito che, per l’appello proposto dagli uffici delle Entrate, non serve l’autorizzazione della direzione regionale. La norma che la prevede, ad avviso della Corte, non può condizionare il diritto dell’ufficio periferico di appellare le sentenze sfavorevoli.

La coincidenza tra posizione della Corte suprema e difesa in giudizio dell’Amministrazione
Le conclusioni della Corte, a ben vedere, vanno però esattamente nella direzione della difesa assunta dall’Amministrazione nei relativi contenziosi.
La difesa della stessa Agenzia in tutti i procedimenti in cui era in contestazione l’inammissibilità dell’appello per mancanza dell’autorizzazione di cui all’articolo 52 si sostanziava infatti nelle seguenti considerazioni: l'autorizzazione, da un lato, non viene a incidere sulla capacità di impugnare dell'ufficio, che continua a stare in giudizio in persona del titolare o di un suo delegato, non attiene alla legitimatio ad processum, e non si atteggia quale presupposto processuale; dall'altro, resta del tutto estranea alla legitimatio ad causam, non essendovi ragione per condizionare la "capacità di agire in giudizio dell'Ufficio che ha emanato l'atto", con "indebita scissione tra la capacità sostanziale e quella processuale dell'Ufficio medesimo".
Le conclusioni della stessa Agenzia, quindi, in realtà, già anticipavano quelle poi raggiunte dalle Sezioni unite della Cassazione.

Infatti, quanto alla capacità di stare in giudizio, l'articolo 11 del Dlgs 546/92 condiziona la legitimatio ad processum dell'ufficio impositore soltanto al fatto che (in alternativa a esso) non si costituisca direttamente l'ufficio del contenzioso della direzione regionale.
I termini della problematica, in sostanza, investono la soggettività processuale (legitimatio ad causam e ad processum) del Ministero, delle Agenzie fiscali centrali e delle loro articolazioni territoriali.
La stessa Agenzia, nella circolare 71/2001, aveva affermato del resto che "preso atto del trasferimento (…) delle funzioni pubbliche già di competenza del Dipartimento delle Entrate e tenuto conto di quanto disposto dall'art. 7, comma 3, del Regolamento di amministrazione, in base al quale gli Uffici locali dell'Agenzia corrispondono ai preesistenti Uffici delle Entrate…mantengono piena vigenza gli artt. 10 e 11 del d. lgs. n. 546 del 1992 e 17 del d.p.r. n. 636 del 1972, che riconoscono ai medesimi uffici la posizione processuale di parte e l'accesso alla difesa diretta davanti alle Commissioni Tributarie Provinciali, Regionali e Centrale".
In conformità al dettato delle Sezioni unite, l’Agenzia già parlava dunque di difesa diretta e non condizionata, laddove nei casi ex articolo 10 il (necessario) soggetto legittimato è l’ufficio e nei casi ex articolo 11 il (eventuale e alternativo) soggetto legittimato è la direzione regionale.

L’autorizzazione come mera regola organizzativa interna
Considerato quindi che ogni attività dell’Amministrazione deve corrispondere a una specifica previsione di legge, visto che, come confermato dalle citate sentenze della Corte, la norma di riferimento (articolo 52 del Dlgs 546/1992) risulta abrogata e visto che le stesse circolari dell’Agenzia e le disposizioni regolamentari confermano la legittimazione diretta e la competenza, sostanziale e processuale, esclusiva degli uffici locali, era legittimo domandarsi se gli uffici dovessero ancora richiedere all’ufficio del Contenzioso della direzione regionale l’autorizzazione preventiva agli appelli (e soprattutto se lo dovessero a pena di inammissibilità).
Infatti, un conto è una previsione organizzativa interna che preveda l’opportunità di un vaglio e controllo ulteriore da parte di un ufficio sovraordinato, e un conto è invece ritenere che tale vaglio sia condizione di legittimità dell’appello.
La distinzione non è di poco conto e soprattutto non è di pura teoria.

La sentenza 13196/2007 della medesima Cassazione (che precede di pochi giorni quella prima citata) ha infatti ancora stabilito che "Il giudice tributario ha il potere-dovere di verificare d'ufficio, sia in grado d'appello che nel giudizio di cassazione, l'esistenza e la validità dell'autorizzazione rilasciata agli uffici periferici dell'Amministrazione finanziaria, per proporre appello principale avverso le decisioni delle Commissioni tributarie provinciali, trattandosi di una condizione di ammissibilità del gravame. E la mancanza dell'autorizzazione - che, dovendo essere preventiva, deve intervenire prima della notifica dell'appello - è causa di inammissibilità del gravame, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto determina la mancanza di un presupposto processuale" (in senso conforme, vedi anche sentenza 23454/2007).

Chiarire la valenza giuridica dell’autorizzazione, vista l’incertezza che ancora regna sull’argomento e viste le rilevanti conseguenze processuali, è quindi fondamentale.
In quel contenzioso, del resto, l’Avvocatura si era difesa sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice tributario, nonché violazione e falsa applicazione dell'articolo 52, comma 2, del Dlgs 546/1992.
In modo specifico era stato quindi eccepito il difetto di giurisdizione del giudice tributario a conoscere e sindacare questioni strettamente attinenti l'organizzazione interna e gestionale della pubblica amministrazione.
Ecco che dunque torna la valenza meramente organizzativa e interna della suddetta autorizzazione.
In sostanza, il problema attiene allora soltanto al fatto se l’atto autorizzatorio sia un atto a valenza interna o esterna.

Circolare n. 65/E del 3 dicembre 2007
Ma, alla luce di tali considerazioni, cosa vuol dire allora, esattamente, "non più suscettibile di applicazione"?
Vuol dire semplicemente che la suddetta autorizzazione non ha più valore di presupposto processuale a pena di inammissibilità.
Tali considerazioni sono state infine recepite ed esplicitate dall’agenzia delle Entrate, che, con la circolare 65/2007, ha stabilito che la procedura di autorizzazione all'appello dovrà essere ancora applicata, ma con semplice valenza di "regola organizzativa interna nella gestione del contenzioso", dato che, trattandosi di uno strumento attraverso il quale le direzioni regionali esercitano le funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici, conserva in ogni caso una utilità di tipo, appunto, organizzativo.
Con tale precisazione, risulta quindi oggi chiaro che, anche laddove tale autorizzazione manchi o presenti qualche altro difetto (ad esempio, la firma illeggibile che tanto contenzioso ha alimentato in anni passati), non essendo più la stessa autorizzazione un presupposto processuale, ex lege previsto ai fini dell’ammissibilità dell’appello, ma una semplice procedura interna all’Amministrazione, nessuna conseguenza ne deriverà o potrà essere eccepita in sede giudiziaria, in termini di illegittimità/inammissibilità dell’appello.
Le sole conseguenze possibili saranno dunque, eventualmente, quelle, interne, relative a responsabilità derivanti da una non esatta rispondenza del comportamento dei singoli funzionari alle procedure di gestione previste dall’Agenzia.

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