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Attualità

Bomber si o no, scelta tattica o strategia fiscale?

Da Ronaldo a Ronaldinho quanto pesa nelle scelte di una squadra di calcio la normativa che facilita l’ingaggio dei fuoriclasse

Il trasferimento dell’asso del Barça in Italia, ad esempio, non sarebbe soltanto una scelta tecnico-tattica (del Milan) quanto una soluzione fiscale "obbligata" (per il Barcellona). Il sistema fiscale iberico ha introdotto una norma che consente una tassazione agevolata per gli stipendi dei calciatori. Ronaldo de Assís Moreira (conosciuto come Ronaldinho) rappresenta uno (se non il) sogno sportivo per tutti i tifosi di calcio. Così, proprio quando la partenza dell’altro "fenomeno" carioca, Ronaldo Luís Nazário de Lima (noto più semplicemente come Ronaldo), verso il Flamengo potrebbe concretizzarsi, si fa sempre più realistica la possibilità di un approdo dal Barcellona al Milan del calciatore brasiliano-ispanico Ronaldinho (al riguardo, da venerdì 4 gennaio 2008 e fino alle ore 19 del 31 gennaio sono stati riaperti i termini ufficiali del calcio mercato invernale). L’operazione, se non entro questi termini, comunque, dovrebbe andare in porto, con alta probabilità, per giugno (alla conclusione, cioè, del campionato 2007-2008). E se il Milan dovesse tirarsi fuori, in ogni caso, potrebbe spuntare l’altra ipotesi (questa volta non soltanto tattica ma fiscale) del Chelsea, squadra di calcio che milita nella Premier League.

Il regime fiscale
A ben vedere, il trasferimento dell’asso del Barça in Italia non sarebbe soltanto una scelta tecnico tattica (del Milan) quanto una soluzione fiscale "obbligata" (per il Barcellona). Il sistema fiscale iberico, infatti, prevede una particolarità nel panorama calcistico europeo. Il governo Aznar, infatti, nel 2004, per attirare in Spagna lavoratori dipendenti stranieri dotati di straordinario talento e capacità difficilmente reperibili sul mercato del lavoro ha introdotto una norma (reale decreto legislativo n. 3 del 5 marzo 2004) che consente una tassazione fiscale agevolata con aliquota del 25 per cento da applicarsi sugli stipendi milionari dei calciatori. In verità lo scopo principale della norma, e cioè favorire l’ingresso nel Paese di ricercatori e tecnici altamente qualificati, ha finito per applicarsi anche al mondo dello sport e, quindi, ai calciatori destinati a prestare la propria attività professionale al servizio di enti o imprese spagnole. In questo modo le società di calcio iberiche hanno potuto attrarre i più forti giocatori del pianeta con l’obiettivo di far crescere il fascino e la competitività del calcio nel panorama sportivo europeo ed internazionale. In estrema sintesi ai lavoratori dipendenti (dirigenti e professionisti stranieri) entrati in Spagna dopo il 1° gennaio 2004 che svolgono l’attività sul territorio iberico si applica, in deroga ai principi generali tributari, una flat tax con aliquota unica. Si tratta di un regime opzionale con cui il dipendente/calciatore (straniero) si sottrae, per l’ammontare dei redditi prodotti in Spagna, alla tassazione ordinaria (con aliquote progressive, che al pari di quelle italiane, raggiungono il 43 per cento nello scaglione più elevato). In proposito, giova osservare che la predetta norma è stata reiterata e consolidata dal governo Zapatero con la legge n. 35 del 28 novembre 2006 (dal 1° gennaio 2007, quindi, l’aliquota fissa è passata dal 25 al 24 per cento).

Paradiso fiscale per club e giocatori
Tale squilibrio è stato denunciato da molti dirigenti di club italiani (e non soltanto) che hanno accusato il legislatore spagnolo di aver introdotto una normativa fiscale di vantaggio illecita tanto da equiparare la Spagna a un vero e proprio paradiso fiscale per club e giocatori di calcio (e questo indipendentemente dalla predisposizione di una "black list" da parte dei governi comunitari). Rientrano, così, a pieno titolo, tra i beneficiari della "legge Beckham" (ribattezzata in tal modo perché varata poco dopo lo sbarco del giocatore inglese David Beckham al Real Madrid) anche i dipendenti stranieri della Liga, comunitari o extracomunitari, che prestano la propria opera per almeno 183 giorni l’anno.

I limiti
Questa normativa, però, non ha effetti illimitati. La tassazione agevolata, infatti, viene meno dopo cinque anni di residenza in Spagna al termine dei quali  l’imposizione fiscale torna ai livelli standard ordinari (43 per cento) e quindi "sconvenienti" al pari delle tassazioni degli altri Paesi europei, tra cui l’Italia. Per l’applicazione del regime fiscale (facoltativo), poi, occorre una ulteriore condizione e cioè che il giocatore non abbia assunto, nei dieci anni antecedenti al trasferimento in Spagna, la residenza fiscale iberica. Tale sistema, infine, appare transitorio.

Un esempio

Le società calcistiche spagnole, in altri termini, possono competere con gli altri club internazionali in quanto "risparmiano" sulla somma che devono obbligatoriamente versare nelle casse dello Stato. In questo modo possono garantire ingaggi molto elevati che non avrebbero rivali (o ne avrebbero molto pochi) sul mercato europeo e mondiale. Il Milan, ad esempio, in virtù del meccanismo impositivo nazionale, per corrispondere al pallone d’oro Ricardo Izecson dos Santos Leite (meglio conosciuto come Kaká) lo stipendio annuale netto di 6 milioni di euro, sborsa all’Erario, per effetto dell’aliquota Irpef, degli oneri previdenziali, di quelli sociali e in considerazione delle addizionali locali comunali e regionali (laddove vigenti e comunque variabili all’interno del territorio nazionale) la cifra di quasi 13 milioni di euro. Se un club spagnolo volesse investire la stessa somma, invece, potrebbe destinare almeno 2 milioni di euro in più al calciatore (che in tal modo, con ogni probabilità, avrebbe maggiori e nuovi "stimoli" per affrontare un’esperienza spagnola nel corso della propria carriera sportiva ed economica). Se, quindi, "Dinho" (che ha un contratto fino al 2010) dovesse trovare un nuovo accordo con il club del Barcellona (che a fronte di un ingaggio netto di 8 milioni di euro versa alle casse del Regno, grazie alla tassazione agevolata, circa 10 milioni di euro lordi) il nuovo contratto, sottoposto alla tassazione quasi doppia (43 per cento), farebbe lievitare notevolmente l’onere per il Barça che sarebbe costretto a sostenere un costo superiore a 16 milioni di euro. Se poi (come richiesto da Roberto Assis, fratello-agente del campione) il brasiliano dovesse chiedere un aumento del contratto a 10 milioni di euro il costo finale dell’operazione salirebbe, per il presidente del Barcellona Joan La Porta, a circa 20 milioni di euro (un intralcio non da poco se si considera che il Barça deve appagare le istanze di altri campioni come Samuel Eto’o Fils, già in tassazione "normale", in quanto residente in Spagna già dal 1997 poiché giocatore del Deportivo Leganès, del Real Madrid, del Maiorca ed infine del Barcellona). Questa legge, ora, potrebbe, paradossalmente, trasformarsi in un boomerang per i club spagnoli che si troverebbero costretti a "mollare" i propri assi in quanto non più in grado (dopo cinque anni di sconti) di soddisfare le relative richieste contrattuali. In altri termini, dal compimento del quinquennio di residenza, costerebbe al team iberico molto di più di quanto oggi, con la tassazione di favore, la squadra blaugrana sopporta.

L’articolo 17 del regolamento Fifa
Nel caso in cui l’accordo (con il club spagnolo) non dovesse chiudersi, poi, Ronaldinho potrebbe avvalersi dell’articolo 17 del Regolamento Fifa in materia di status e trasferimento dei calciatori (già utilizzato da Morgan De Sanctis per svincolarsi dall’Udinese) e rescindere unilateralmente e senza giusta causa il proprio contratto previo pagamento di un parametro notevolmente basso. Tale clausola, infatti, consente, ai giocatori che hanno compiuto 28 anni e giocato per 5 stagioni nello stesso club, di rilevare gli ultimi due anni del proprio contratto. Un rischio economico eccessivo per il club iberico oltre alla "perdita" fiscale non indifferente.

Concorrenza sleale e Commissione europea
Se alla "Beckam", poi, si somma l’assimilazione dei giocatori africani (provenienti dai Paesi aderenti alla Convenzione di Cotonou, firmata nella capitale del Benin il 23 giugno 2000) a quelli comunitari (equiparazione fortemente voluta dalla Federcalcio spagnola) pare del tutto evidente come le squadre iberiche, con l’aiuto delle istituzioni politiche e di quelle sportive, starebbero alterando le regole del gioco gareggiando slealmente rispetto ai club degli altri Paesi. Tale illecita concorrenza, infatti, esplicherebbe notevoli riflessi nel mondo economico, tenuto conto che il pianeta sport, e quello calcistico in particolare, rappresenta ormai un mega business che involge molteplici interessi commerciali. Per questi motivi la Commissione europea ha deciso di "osservare" tale fenomeno (sportivo-fiscale) riservandosi la possibilità di valutare gli impatti di compatibilità normativa con i principi generali di diritto comunitario. Giova osservare, infatti, come in passato le istituzioni europee siano già intervenute nel settore sportivo, quando decisioni per quest’ultimo avrebbero influenzato scelte e decisioni politiche economiche sovranazionali ritenute irregolari; il riferimento attiene al cd. decreto salva-calcio o spalma-debiti (decreto legge n. 282 del 24 dicembre 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 21 febbraio 2003) ideato a favore dei club italiani e bocciato dall’Esecutivo europeo per violazione delle norme sulla libera concorrenza. Nel rispetto della potestà impositiva domestica, ma anche, in considerazione di un sistema fiscale comunitario armonizzato, la normativa spagnola traduce l’agevolazione tributaria interna in una illecita situazione concorrenziale tra i vari club europei che, a parità di costo, con una alta tassazione nazionale, non potrebbero competere lealmente aumentando gli ingaggi individuali ai calciatori. Diviene, pertanto, inevitabile dubitare che i descritti meccanismi non si interpretino in interventi di favore o aiuto di Stato che, ai sensi degli articoli 87 e seguenti del Trattato CE, sono dichiarati incompatibili con il mercato europeo quando falsino o minaccino di manipolare la libera concorrenza.

Gli affari, un cane che si morde la coda
Tale situazione, tuttavia, determina anche degli aspetti speculativamente positivi. Le società di calcio, munite di propri talenti nell’ambito della propria rosa, di frequente (in virtù di scelte economiche ed esigenze di bilancio) preferiscono trattare e cedere i propri assi ai club spagnoli che, forti del citato regime fiscale di favore, riescono ad acquistare i vari talenti anche a cifre esorbitanti, sproporzionate e fuori mercato. La società cedente, però, non tiene spesso conto che perdere un giocatore sotto contratto vuol dire abbassare il valore economico in un modo tale che difficilmente potrà essere recuperato dalla cifra del riscatto incassata (seppur sostanziosa).

La differenza
La diversità tra il calcio mercato italiano e quello spagnolo, quindi, risiede nella sostanziale differenza di imposizione fiscale che grava sugli stipendi milionari dei giocatori. In Spagna il fisco abbatte per i primi cinque anni il carico impositivo quasi al 50 per cento mentre in Italia la tassazione ordinaria viene ad essere applicata sull’intero ingaggio e senza distinzione tra residenti (quinquennali) e non. Come noto, nell’ambito del lavoro sportivo professionale, i redditi dei calciatori italiani, infatti, rientrano tra quelli di lavoro (subordinato) dipendente ed i compensi a quest’ultimi erogati sono compresi nella disciplina di cui all’articolo 49 del Tuir con conseguente determinazione dell’aliquota di imposta, per effetto dell’articolo 11 del Tuir, fino al 43 per cento (e senza alcuna deroga agevolativa).

L’off side dell’Irap
Per quanto riguarda, poi, il regime fiscale degli enti sportivi professionali italiani (organizzati nelle forme di società di capitali) essi, in quanto soggetti titolari di redditi di impresa, sono tenuti al pagamento dell’Ires (con aliquota pari al 27,5 per cento) e all’Irap (pari a 3,9 per cento).

L’asse Spagna-Inghilterra
Di privilegi tributari connessi al concetto della residenza, tuttavia, non ne gode soltanto la Spagna. L’Inghilterra, patria del football, sotto il profilo fiscale, infatti, sfruttando la diversificazione tra domicilio e residenza ordinaria, beneficia di un regime preferenziale concesso in favore dei lavoratori stranieri che svolgono la propria attività nel territorio inglese. A ciò si aggiunga la circostanza che le società del Regno Unito non sono tenute al pagamento dell’Irap. C’è da chiedersi, pertanto, se possono essere anche queste le ragioni per cui un blasonato club come il Manchester United ha concluso (in passato) un grosso ingaggio con Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, calciatore portoghese considerato l’erede naturale di Ronaldo e Ronaldinho? O, comunque, c’è da interrogarsi (anche in virtù delle più volte ricordate regole fiscali spagnole) se, invece, è del tutto casuale (e dovuto a soluzioni tattico calcistiche) che il Real Madrid possa offrire al Manchester United la "modesta" cifra di 61 milioni di euro per accaparrarsi il predetto campione lusitano.
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