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Attualità

Bruxelles spegne le lampade cinesi

Il Consiglio dell’Unione europea conferma i dazi sulle importazioni di lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali

lampade cinesi
L'organo comunitario continua la propria campagna di regolamentazione e di tutela delle attività commerciali svolte nel territorio dell’Unione europea. Oggetto dell’intervento sono state le importazioni di lampade fluorescenti provenienti dalla Repubblica popolare cinese. Un evidente segno che i prodotti cinesi importati, ormai, non riguardano soltanto i settori tradizionali quale il tessile ma anche quelli a maggior contenuto tecnologico. Il procedimento in commento è stato avviato a seguito della denuncia presentata dal Community Federation of Lighting Industry of Compact Fluorescent Lamps Integrated per conto degli stessi produttori che costituiscono più del 25 per cento della produzione comunitaria complessiva di lampade Cfl-i. L’inchiesta ha riguardato il periodo compreso fra il 1° luglio 2005 ed il 30 giugno 2006.  

Il dumping e il pregiudizio

La misura sotto la lente dei palazzi a Bruxelles era stata già disciplinata con il regolamento Ce n. 1470 del 2001 con cui il Consiglio aveva deciso di istituire dazi antidumping nella misura massima del 66,1 per cento. A seguito denuncia presentata dall’Organizzazione dei produttori comunitari, il Consiglio Ue è stato chiamata a pronunciarsi in merito sia all’an che al quantum della misura già precedentemente decisa. Ovviamente la pronuncia sulla questione non è stata lasciata al caso visto che sono stati condotti studi speculari sia in riferimento all’esistenza del dumping che del pregiudizio. Per quanto riguarda il dumping, gli esperti designati dall’Unione europea hanno confrontato i prezzi all’esportazione dei produttori cinesi rispetto al valore normale delle stesse esportazioni le quali, a loro volta, sono state parametrate sulla scorta dei dati relativi ai produttori di un Paese terzo a economia di mercato (la Corea). L’istruttoria ha evidenziato la possibilità di un margine di dumping pari a circa il 50 per cento qualora le misura restrittive precedentemente decise non fossero confermate. Anche per quanto riguarda i dati sui pregiudizi arrecati all’industria comunitaria, i risultati ostano contro l’abolizione delle misure antidumping già attivate. In particolare lo studio del Consiglio Ue rivela la possibilità di gravi pregiudizi per l’industria comunitaria che possono derivare sia dai volumi delle esportazioni cinesi, sia dagli stessi ridotti prezzi praticabili dai produttori asiatici. Ovviamente questi pregiudizi possono ripercuotersi sia sulla situazione economica che su quella finanziaria delle diverse imprese comunitarie operanti nel settore.  

L’interesse della Comunità
In conformità all’articolo 21 del regolamento di base, il Consiglio Ue ha preso in esame se e per quanto tempo il mantenimento delle misure antidumping attualmente in vigore fosse nell’interesse della Comunità. Per risolvere la questione, l’Organo dell’Unione europea ha accuratamente ponderato i diversi interessi posti in gioco. In particolare sono state vagliate le esigenze dei produttori locali, dei fornitori, degli operatori commerciali e, soprattutto, quelle dei consumatori finali. Sulla scorta di tali studi, il Consiglio Ue ha concluso sostenendo che, soprattutto per i produttori comunitari, sussiste l’interesse al mantenimento delle misure per il breve periodo, ovvero entro un anno. Dopo tale periodo, precisa il Consiglio nel suo report finale, "i probabili effetti negativi che potrebbero ripercuotersi sui consumatori e sugli altri operatori del settore, risulterebbero sproporzionati rispetto ai benefici che i produttori comunitari possono trarre dall’inasprimento delle stesse misure restrittive".

Le conclusioni e l’attuazione del procedimento
Alla luce delle indagini, degli studi e delle ricerche condotte in merito al dumping, al pregiudizio, al nesso di causalità e all’interesse dei diversi soggetti interessati, il Consiglio dell’Unione Europea ha concluso la sua attività ispettiva ritenendo "opportuno applicare il dazio antidumping del 66,1 per cento sulle importazioni originarie dalla Repubblica popolare cinese". In aggiunta al citato provvedimento cautelativo, la Commissione Ue ha deciso di applicare gli stessi dazi antidumping anche per le importazioni dei medesimi prodotti provenienti da Vietnam, Pakistan e Filippine. A fondamento di quest’ultimo provvedimento, il Consiglio Ue evidenziava le modalità operative adottate dagli stessi produttori cinesi che, per eludere le misure imposte dal dazio, provvedevano a spedire i prodotti in esame non direttamente in Europa, ma facendoli transitare dai Paesi stranieri appena citati.
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