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Attualità

Cessione di credito d'imposta per conseguire un indebito rimborso

Pareri nn. 36 e 37 deliberati il 14 ottobre 2005

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Un'operazione di cessione di un credito tributario ad una società precedentemente posta in stato di liquidazione - poi appositamente revocato - appartenente al medesimo gruppo della società titolare del credito di imposta, seguita dalla cessione dell'integrale partecipazione nella prima società ad un istituto di credito appartenente ad altro gruppo e destinata a consentire successivamente l'utilizzazione in compensazione del credito di imposta nell'ambito del gruppo bancario che ha acquisito l'integrale partecipazione nella società cessionaria del credito tributario, appare non sorretta da valide ragioni economiche e rivolta all'indebita percezione di un rimborso di imposta con aggiramento di norme tributarie, in quanto finalizzata a far circolare un credito di imposta "spendibile" in compensazione al di fuori del gruppo societario nel quale esso è sorto, in difformità da quanto consentito dalle norme di legge e attraverso il compimento di atti negoziali che, in assenza del predetto risvolto tributario vantaggioso, non avrebbero ragione di essere attuati.

Si può così massimizzare un'articolata operazione di cessione di credito d'imposta che viene proposta da due grosse Spa, le quali, manifestando insoddisfazione per il parere negativo ricevuto in prima battuta dall'Agenzia delle entrate, con l'interpello che si commenta fanno appello al Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive.
La separata risposta resa alle società interpellanti è preceduta dalla trattazione congiunta della fattispecie.

Al caso esposto trova piena applicazione il dettato normativo recato dall'articolo 37-bis del Dpr 600/73, il quale prevede che atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro posti in essere nell'ambito di riorganizzazioni societarie e di altre specifiche operazioni tassativamente individuate, privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi o divieti posti dall'ordinamento tributario al fine di conseguire riduzioni d'imposta o indebiti rimborsi, pur rimanendo validi tra le parti e nei confronti di altri soggetti terzi, sono inopponibili all'Amministrazione finanziaria che ne può, così, disconoscere i vantaggi tributari conseguiti.
La verifica e consistenza dell'elusività va ricercata nella realizzazione di almeno una delle operazioni previste dal comma 3 dello stesso articolo 37-bis: operazioni straordinarie d'impresa, nazionali e transfrontaliere, distribuzioni di riserve diverse da quelle formate e transfrontaliere, distribuzione di riserve diverse da quelle formate con utili, cessioni di crediti e di eccedenze d'imposta, operazioni aventi per oggetto beni e rapporti sottoposti alla disciplina dei capital gain, nonché - a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera e), del Dlgs n. 344 del 12 dicembre 2003 (istitutivo dell'Ires) - classificazioni di bilancio, aventi a oggetto i beni e i rapporti che danno luogo a capital gain (articolo 67, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del Tuir) e cessioni di beni effettuate tra soggetti ammessi al regime del consolidato nazionale).

Come più volte ribadito dalla direzione centrale Normativa e Contenzioso nei pareri resi in prima istanza, un'operazione viene qualificata elusiva da quattro condizioni di coreferenza:

  • comportamenti (intesi come serie di atti, fatti e negozi posti in essere anche successivamente nel tempo) che, nel loro ambito, comportano l'utilizzo di una o più delle operazioni indicate al terzo comma dello stesso articolo 37-bis
  • comportamenti diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento
  • comportamenti tesi a perseguire un risparmio d'imposta disapprovato dal sistema
  • comportamenti privi di valide ragioni economiche.

Come si è accennato in precedenti occasioni, il Comitato consultivo ha elaborato il proprio orientamento affermando che, ai fini dell'opponibilità all'Amministrazione finanziaria, la valida ragione economica debba intendersi come imputabile esclusivamente al soggetto interpellante, il quale, nell'ambito dell'ordinaria attività dell'impresa, ha facoltà di porre in essere tutti quegli atti, fatti o negozi cui si riferisce la citata disposizione che siano in concreto suscettibili di una oggettiva apprezzabilità economico-gestionale in accordo con la richiesta originariamente formulata a livello intracomunitario dall'articolo 11 della direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 23 luglio 1990, n. 434, e riempiendo così di contenuto tale concetto.

Nel caso che si commenta, in adesione alla normativa di riferimento, l'Agenzia delle entrate ha ritenuto che l'operazione presenti profili di elusività, in quanto, in assenza di valide ragioni economiche, essa appare finalizzata a ottenere rimborsi indebiti attraverso l'aggiramento degli articoli 43-bis e 43-ter del Dpr 602/73.
In particolare, l'articolo 43-ter consente di trasferire l'eccedenza d'imposta esclusivamente a una società appartenente allo stesso gruppo societario stabilendo che "le eccedenze dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta locale sui redditi (ora IRES) risultanti dalla dichiarazione dei redditi delle società o enti appartenenti ad un gruppo possono essere cedute, in tutto o in parte, a una o più società o all'ente dello stesso gruppo".

La possibilità di trasferire un'eccedenza d'imposta a un soggetto non appartenente al gruppo è, dunque, prevista dall'articolo 43-bis del detto Dpr 602/73 che ammette le "cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi".
Tale operazione, tuttavia, può risultare meno favorevole dal punto di vista finanziario, in quanto la società cessionaria non può utilizzare il credito ceduto in compensazione, ma può attenderne esclusivamente il rimborso.
Per ovviare a tale limitazione, il contribuente istante intende trasferire il credito a un terzo gruppo, facendolo "circolare", mediante un'operazione di cessione delle partecipazioni, insieme alla società che lo contiene.

In base a tale considerazione, l'Agenzia delle entrate ravvisa l'elusività - si è detto - nell'aggiramento del citato articolo 43-ter, il quale ammette il trasferimento dell'eccedenza di imposta soltanto all'interno dei gruppi in cui le stesse nascono e non anche nei confronti di terze economie.
L'operazione ha, infatti, come unico obiettivo quello di consentire al cessionario delle partecipazioni la possibilità di far circolare il credito vantato dalla società ceduta all'interno del gruppo di appartenenza e, quindi, di utilizzarlo in compensazione. Essa, in altre parole, consente di ottenere un vantaggio economico-finanziario, espresso dalla immediata "riscossione" del credito utilizzato in compensazione, che la semplice cessione extra-gruppo del credito chiesto a rimborso non avrebbe consentito di ottenere.

Il parere dell'Agenzia delle entrate viene dal contribuente confutato come infondato nelle motivazioni che rendono inapplicabile alla problematica l'articolo 37-bis del Dpr 600/73.
In particolare, l'affermazione secondo la quale l'articolo 43-ter del Dpr 602/73 ammetterebbe il trasferimento delle eccedenze d'imposta soltanto all'interno dei gruppi in cui le stesse nascono e non anche nei confronti di terze economie non sarebbe - ad avviso della società postulante - sorretta dal dato testuale della norma, la quale si limita ad affermare che "le eccedenze dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta locale sui redditi risultanti dalle dichiarazioni dei redditi delle società o enti appartenenti ad un gruppo possono essere cedute, in tutto o in parte, a una o più società o all'ente dello stesso gruppo, senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 69 e 70 del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440".

Il dettato normativo, confortato dall'articolo 29 della relazione governativa al Ddl 30 settembre 1995, A.S. 2157, che ha introdotto la disciplina in commento (in cui si legge che "la norma in esame consente la cessione di dette eccedenze, risultanti dalle dichiarazioni, anche senza l'osservanza delle formalità previste dagli articoli 69 e 70 del RD 18 novembre 1923, n. 2440, qualora la cessione sia effettuata dall'ente o società controllante nei confronti delle controllate ovvero da ogni società controllata nei confronti dell'ente o società controllante o in quelle di altre società controllate appartenenti allo stesso gruppo"), lascerebbe presumere che la società cessionaria possa utilizzare le eccedenze ricevute per tutti gli scopi previsti dalla norma, fra i quali vi sarebbe il trasferimento del credito ad altra società appartenente al consolidato fiscale configurabile alla data del trasferimento.

La lettura delle dichiarazioni legittimerebbe, dunque, la conclusione che l'esistenza del rapporto di controllo è richiesta solamente alla data della cessione e non in occasione dei successivi utilizzi dell'eccedenza, e che l'impiego della procedura di cui all'articolo 43-ter non consente di ottenere alcun vantaggio economico finanziario rispetto alla procedura di cui all'articolo 43-bis, dato che, nel caso di specie, l'anticipo di sei mesi nel soddisfacimento del credito sarebbe ampiamente compensato dalla rinuncia agli interessi.

Per quanto riguarda il requisito delle valide ragioni economiche - ritenuto comunque sussistente dall'Agenzia delle entrate - il contribuente, nella prospettazione al Comitato, manifesta come improcrastinabile l'esigenza di riscuotere immediatamente il proprio credito per alleggerire il proprio rapporto d'indebitamento bancario, divenuto ormai eccessivo.

Le valutazioni del Comitato consultivo prendono abbrivio dalla decodificazione della norma antielusiva o, meglio, dai presupposti che caratterizzano il fenomeno elusivo per chiarire che la sussistenza delle valide ragioni economiche non può essere soppesata in una prospettiva unilaterale meramente economico-finanziaria, che risulta sempre dotata per propria fisiologia di utilità economica, ma deve essere condotta in una logica di oggettiva ragionevolezza, nella quale gli atti negoziali oggetto di valutazione possono manifestarsi nella loro congruità funzionale con l'accertamento di eventuali risparmi d'imposta o rimborsi a essi connessi al punto che, come notoriamente sostenuto in più di una pronuncia, si debba ritenere elusiva un'operazione destinata a realizzare effetti giuridico-economici tipici non degli atti negoziali prospettati, ma di altri atti o negozi giuridici, fiscalmente più onerosi (in particolare, se il compimento degli atti negoziali risulti scarsamente congruo o irragionevole ove ipoteticamente privato del risultato tributario vantaggioso che da esso può in concreto derivare).

Parimenti, un rimborso è da considerarsi indebito non solo quando venga acclarata l'assenza sul piano patrimoniale della situazione soggettiva legittimamente, ma anche nel caso in cui ne venga disconosciuta, in applicazione di una specifica disciplina legislativa, la spettanza, se non condizionandola a forme e modalità di restituzione che ne delimitano l'applicazione.
In tale logica è evidente - sostiene il Comitato corroborando la tesi dell'Agenzia delle entrate - la percezione di un rimborso non dovuto senza necessità di pindarici riferimenti a implicazioni economico- finanziarie di ricaduta.

Da quanto precisato, deriva che la marginalizzazione della compensazione alla sola ipotesi di cessione di eccedenza di imposte infra-gruppo, cui fa riferimento l'agenzia delle Entrate nel proprio parere, viene dal Comitato consultivo ritenuta normativamente fondata nel disposto dell'articolo 5 del Dpr 542/99 (Regolamento di delegificazione recante "modificazioni alle disposizioni relative alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi, dell'IRAP e dell'IVA"), che ha anche introdotto modifiche testuali nel citato articolo 43-ter del Dpr 602/73, secondo il quale "le eccedenze d'imposta possono essere utilizzate in compensazione dal cessionario anche agli effetti del DLGS 9 luglio 1997, n. 241, a partire dall'inizio del periodo d'imposta successivo a quello con riferimento al quale l'eccedenza si genera in capo al soggetto cedente".

Nella fattispecie in esame, il Comitato, avendo ravvisato che il credito d'imposta, in fase iniziale ceduto a una società in liquidazione e priva di elementi patrimoniali attivi, verrebbe assorbito dall'acquirente facendolo circolare così al di fuori del gruppo societario nel quale è sorto in compensazione (fruendo, così, indebitamente del sistema di utilizzazione in compensazione per crediti d'imposta oggetto di cessione extragruppo), legittima la conclusione che l'operazione sia preordinata a beneficiare di un rimborso indebito mediante aggiramento di norme di legge e attraverso il compimento di atti negoziali (la cessione di un rilevante credito d'imposta a una società già da anni posta in liquidazione, la cessione integrale a un istituto di credito della partecipazione in detta società) non sostenuti da valide ragioni economiche, in quanto, in assenza del predetto risvolto tributario favorevole, privi di ragionevolezza.

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