Il potere di acquisire documenti e informazioni necessari per la decisione della causa - attribuito al giudice tributario dall'articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 - non ha la funzione di sopperire al mancato assolvimento dell'onere probatorio delle parti; tuttavia, quando la situazione probatoria impedisce la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata, la Commissione tributaria deve procedere d'ufficio a tale acquisizione.
Con questa motivazione, la Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 11485 del 30 maggio 2005, torna ad esprimersi sulla portata delle disposizioni contenute nell'articolo 7 del Dlgs 546/92.
Nello specifico, il giudice di secondo grado, ritenendo incompleta la documentazione probatoria prodotta dall'Amministrazione finanziaria circa la disponibilità, da parte del contribuente, di cospicui fondi all'estero, aveva accolto il ricorso del contribuente.
Di diverso avviso, però, i giudici della suprema Corte che, accogliendo le doglianze dell'Amministrazione finanziaria, hanno cassato la sentenza di secondo grado - con rinvio della causa ad altra sezione - e invitato il giudice di merito a esercitare i poteri istruttori di cui all'articolo 7 citato.
L'articolo 7 del Dlgs 546/1992, infatti, conferisce al giudice tributario il potere di esercitare "tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta" (comma 1), nonché quando occorra "acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità", il potere di "richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica" (comma 2), e infine il potere "di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia" (comma 3).
Vengono esclusi, invece, come mezzi di prova sia il giuramento (decisorio, suppletorio ed estimativo) sia la testimonianza.
Così come formulato, il citato articolo 7 - che ha sostituito la disciplina dell'abrogato articolo 35 del Dpr 26 ottobre 1972, n. 636 - attribuisce al giudice tributario poteri istruttori, la cui portata viene considerata ben più ampia di quella attribuita al giudice civile, dall'articolo 115, comma 1, del codice di procedura civile.
Tant'è che parte della dottrina ha osservato come il giudizio tributario sia disciplinato dal principio dispositivo in ordine all'allegazione dei fatti, ma governato dal principio inquisitorio in merito alla prova degli stessi.
I giudici di legittimità in più occasioni hanno cercato di individuare esattamente l'ambito di esercizio dei poteri istruttori del giudice tributario; infatti, hanno precisato che le Commissioni tributarie non possono, mediante l'esercizio dei poteri istruttori a esse conferiti dall'articolo 7 del Dlgs 546/92, sostituire integralmente l'onere incombente in via principale sull'Amministrazione di provare i fatti costitutivi della pretesa fiscale (cfr. Cass. sentenza n. 15214 del 24 novembre 2000), o acquisire d'ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del contribuente, salvo il caso in cui l'onere probatorio sia impossibile o molto difficile da esercitarsi (cfr. Cass. sentenza n. 1701 del 7 febbraio 2001).
I giudici di piazza Cavour, con la pronuncia in esame, hanno stabilito che i poteri istruttori non possono essere esercitati dai magistrati tributari in forma di supplenza dell'attività dell'Amministrazione, supportando, con quei poteri, fatti che di per sé sono sforniti di prova: altrimenti, il giudice tributario rischierebbe di trasformarsi in organo attivo dell'Amministrazione finanziaria, perdendo irrimediabilmente la sua terzietà.
Tale principio, peraltro, è già stato fatto proprio dalla suprema Corte che, intervenendo sulla portata dell'articolo 7 del Dlgs 546/92, ha statuito che "i poteri di ufficio vanno usati prudentemente e discrezionalmente; essi non hanno la funzione di rimediare a deficienze probatorie delle parti; le parti non possono dolersi circa l'uso (discrezionale) che le Commissioni fanno di tali poteri; ma quando la situazione probatoria è tale che non possa pronunciarsi una sentenza ragionevolmente motivata senza acquisire di ufficio alcune prove, è scorretto il rifiuto da parte del giudice tributario di utilizzare i poteri di acquisizione della prova a sensi del ridetto art. 7" (cfr. Cass. sentenza n. 7678 del 25 maggio 2002).
Nel caso di specie, l'Amministrazione aveva prodotto in giudizio l'informativa della Polizia valutaria sulla cui base era stato svolto l'accertamento mediante presunzioni; l'informativa non precisava, tuttavia, quale fosse lo specifico istituto bancario presso il quale il conto o i conti intestati al contribuente fossero intrattenuti, né quali fossero le coordinate bancarie del conto o dei conti medesimi.
Ma queste informazioni, precisa la Cassazione, se ritenute - come sembra che siano state in effetti ritenute - rilevanti dalla Commissione tributaria ai fini della valutazione probatoria della informativa della Polizia valutaria, ben potevano essere acquisite mediante l'esercizio di quei poteri che alla Commissione sono attribuiti dall'articolo 7 del Dlgs 546/92.
Per la Corte di cassazione, l'utilizzo dell'ampia gamma di poteri per acquisire le informazioni, ritenute rilevanti, circa le coordinate dei conti correnti di cui all'informativa di Polizia valutaria posta alla base dell'accertamento impugnato e la identificazione dell'istituto bancario ove erano intrattenuti i conti correnti stessi, non avrebbe avuto il significato di sostituzione dell'Amministrazione nell'assolvimento dell'onere probatorio.
Infatti, per la Cassazione, il giudice tributario - nell'ambito dell'esercizio del potere istruttorio - deve, in primo luogo, procedere alla verifica dell'attività posta in essere dall'Amministrazione finanziaria così come dedotta e motivata nell'atto impositivo; in secondo luogo, il giudice deve accertare i fatti impeditivi, modificati ed estintivi indicati dal ricorrente nel ricorso unitamente a quei fatti che possono essere sollevati d'ufficio.
Durante lo svolgimento di tutte le attività processuali che permetteranno al giudice tributario di giungere a un provvedimento decisorio ragionevolmente motivato, lo stesso ha la facoltà (anzi in alcuni casi - come in questo che si commenta - ha il dovere) di avvalersi - in via discrezionale e quindi non sindacabile - di tutti quei poteri istruttori che riterrà più utili alla ricerca della verità dei fatti.
Ciò deve avvenire, ammonisce la Cassazione, sempre nel rispetto del principio di terzietà del giudice nonché del principio generale dell'onus probandi, in base al quale, alla fine del processo tributario (che è un processo documentale che si esaurisce in un'unica udienza), deve risultare vincente la parte che prova le proprie tesi e soccombente quella che non vi riesce.
Chiarito l'ambito di applicazione del potere istruttorio del giudice
L'acquisizione di prove documentali deve avvenire sempre nel rispetto del principio di terzietà
