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Attualità

Commercio di beni falsificati,
dall’Ocse i numeri dell’Italia

Il calo delle vendite provocato dai mercati della contraffazione nel Paese si traduce in minori introiti per lo Stato in relazione a Iva, Ires, Irpef e anche contributi previdenziali

Secondo l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, il commercio di beni falsi è sì una piaga per l’economia mondiale ma, in particolare, flagella quella italiana con conseguenti notevoli costi, molto vicini all’1-2% del Pil nazionale, in termini di mancate vendite. È, in sintesi, il succo dello studio del 20 giugno pubblicato sul sito dell’Ocse e finalizzato ad aiutare i governi a risolvere i problemi derivanti da misure di contrasto insufficienti, che consentono il dilagare del commercio di beni contraffatti, in gran parte gestito dal crimine organizzato.
 
Lo studio, effettuato su quasi mezzo milione di sequestri doganali in tutto il mondo nel periodo 2011-2013, rivela che i brand più colpiti da questo fenomeno sono quelli statunitensi, francesi e italiani. Questi ultimi ancora più esposti al pericolo rispetto agli altri, in quanto il nostro Paese possiede una maggiore produzione di beni pregiati, protetti da leggi sulla proprietà intellettuale e sui marchi di fabbrica.
 
In sostanza, dall’analisi emerge l’esatta misura dell’impatto di tale commercio illegale sull’economia italiana. Una misura pesante, se si pensa che in Italia, nel 2013, le importazioni di beni falsi, provenienti soprattutto da Cina, Hong Kong e Turchia, superavano i 10 miliardi di euro, ossia il 3% delle importazioni totali, provocando mancate vendite a grossisti e negozianti per circa 7 miliardi di euro, mancato gettito fiscale e la perdita di 87mila posti di lavoro. Un prezzo troppo caro per Stato, aziende e consumatori che consapevolmente o inconsapevolmente fanno la loro parte. Ciò che risalta, infatti, è la percentuale di mercato “consenziente”: secondo l’Ocse, circa la metà delle merci contraffatte introdotte nel nostro Paese viene acquistata da persone consapevoli di comprare falsi.
 
Un po’ di numeri
Tanto premesso, dall’indagine risulta che la vendita di prodotti manifatturieri nostrani falsificati, in Italia e nel mondo, nel 2013, ha raggiunto i 35,6 miliardi di euro (4,9% delle vendite totali).
Il settore del commercio più colpito dal fenomeno della pirateria, in termini di euro, è sicuramente quello dei prodotti elettronici ad alta tecnologia, elettrici e ottici. Seguono abbigliamento, calzature, cuoio e beni correlati e prodotti alimentari Ma, nel periodo preso in considerazione, la scure si è abbattuta particolarmente sul settore dell’orologeria e della gioielleria.
 
In termini di consapevolezza, viene alla luce che i beni in questione sono stati “rifilati” a cittadini ignari, convinti di acquistare merci autentiche, a seconda della categoria merceologica di riferimento. In pratica, i gioielli falsi sono stati comprati per lo più consapevolmente, gli alimenti inconsciamente e il costo pagato ingiustamente dai consumatori nel 2013, nella convinzione di acquistare prodotti originali, ammonta a quasi 2 miliardi di euro.
 
Sul fronte dei danni a grossisti e commercianti al dettaglio italiani, l’analisi dell’Ocse calcola in 6,9 miliardi di euro il volume delle mancate vendite, pari al 2,7% del totale dello stesso anno.
Per le aziende, la violazione dei diritti di proprietà intellettuale si ferma a 25,1 miliardi (il 3,1% delle vendite totali).
 
Il calo delle cessioni ha avuto come conseguenza la riduzione della domanda di manodopera: nel 2013, si sono persi oltre 23mila posti di lavoro nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio; più di 64mila nell’industria. Complessivamente, quindi, sono sfumate almeno 87mila occupazioni (il 2% dei dipendenti a tempo pieno).
 
C’è, infine, e non è da poco, il danno all’Erario, che si traduce in un minor gettito Iva, Irpef, Ires e contributi previdenziali, pari a quasi 10 miliardi di euro.
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