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Attualità

Deducibile l'attività promozionale verso clienti effettivi funzionale alla produzione attuale di ricavi

Parere n. 12 deliberato il 5 maggio 2005

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Il parere viene reso in risposta a un interpello formulato dal contribuente per conoscere se debbano essere considerate inerenti all'attività esercitata ovvero siano da qualificarsi come rappresentanza talune spese sostenute da un'agenzia di viaggi che, al fine di intraprendere anche l'attività di procacciamento di affari a favore di talune aziende, intenderebbe stipulare diverse tipologie di contratti.
Riferisce, infatti, l'istante che prioritariamente sarà legata alle aziende interlocutrici da un contratto di intermediazione commerciale e che i corrispettivi dell'attività di procacciamento d'affari saranno rappresentati da una percentuale sulle vendite effettuate.
Secondariamente, la società intratterrà rapporti negoziali con alcune agenzie di viaggio russe - alle quali verserà una percentuale dei propri ricavi - che dovranno individuare in loco i clienti, nonché fornire altre tipologie di servizi.
Infine, verrà sottoscritto un contratto con il cliente russo.

In dettaglio l'attività prenderebbe origine dalla presentazione all'ambasciata italiana di Mosca della documentazione occorrente per l'ottenimento del visto per il cliente russo, e si concretizzerebbe, poi, nell'accoglienza del medesimo presso un albergo, nella messa a disposizione di un servizio di bus, nella cura delle attività necessarie alle spedizioni della merce acquistata in Russia.
Ciò premesso l'interpellante ritiene che sia i costi di pernottamento in hotel e di trasporto dei clienti sia le spese per l'ottenimento del visto, rientrino tra le spese gestionali di cui all'articolo 109, comma 5, del Tuir (il quale, nel presupposto che i componenti negativi si trovino in rapporto di immediata correlazione con l'attività generatrice di ricavi imponibili ossia in rapporto di causa ad effetto nell'ambito della produzione del reddito d'impresa, prevede che "le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi"), adducendo a sostegno della propria tesi le risoluzioni n. 148/E del 17 settembre 1998 e n. 137/E dell'8 settembre 2000.

Le spese di rappresentanza - secondo quanto si legge nelle pronunce dell'Amministrazione - sono sostenute dall'impresa al fine di promuovere o consolidare il prestigio della propria immagine, non sono direttamente correlate al conseguimento di ricavi e si caratterizzano per la gratuità ossia per la mancanza di corrispettivo, non sussistendo un rapporto sinallagmatico che giustifichi una specifica controprestazione a carico dei destinatari.
L'affermazione costituisce il principale parametro interpretativo, ma non esclusivo, della norma, che va applicata tenendo sempre presente qual è concretamente lo scopo del costo aziendale e prescindendo da una discriminazione fondata sul momento realizzativo (in quanto "sarebbe irragionevole attribuire un più favorevole regime fiscale a costi che manifestano immediatamente, in termini di business, un ritorno positivo ma modesto, rispetto a costi che, in proiezione futura, potrebbero rivelarsi addirittura più fertili").
In tale ottica appare, dunque, ragionevole concludere - accedendo alla più recente dottrina - che, se il costo è essenzialmente sostenuto per promuovere l'immagine dell'impresa, esso costituisce spesa di rappresentanza, perché l'inerenza che esso manifesta appare dimessa rispetto a un costo abbinato con criterio diretto al processo produttivo e che non può escludersi la piena deducibilità relativamente a spese sostenute in funzione di una specifica (seppure alternativa rispetto alle ordinarie tecniche di vendita) strategia commerciale e dirette a promuovere il prestigio dell'impresa solo in via secondaria e subordinata.

Nel caso in esame, alla luce della sentenza della Corte di cassazione n. 7803 dell'8 giugno 2000 ("in materia di imposte sui redditi, rientrano fra le spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo a prospettive di incremento delle vendite, mentre ne restano escluse le spese sostenute per incrementare le vendite") e del parere 1/2001 (in cui si afferma che le spese di viaggio e ospitalità di clienti invitati a partecipare a una fiera mercato nella quale sono esposti e venduti i prodotti trattati da una società non costituiscono spese di rappresentanza, né spese di pubblicità e propaganda quando, per le specifiche caratteristiche delle manifestazioni e dei prodotti trattati e per l'organizzazione degli inviti, mirino a conseguire, secondo ragionevole previsione, la normale conclusione di contratti di vendita di consistenza significativa con una spesa inferiore a quella inerente alle forme tradizionali della loro acquisizione (rete di vendita propria, rappresentanti di commercio, eccetera), sussisterebbe - e in tal senso il contribuente auspica che il Comitato si pronunci - un legame immediato con i ricavi per il fatto che l'interpellante lucra la differenza tra i proventi dell'intermediazione e i costi dei servizi che offre ai clienti russi.

Il Comitato consultivo esprime il parere che le spese sostenute dall'interpellante, essendo stata sufficientemente dimostrata la loro correlazione con i ricavi, rientrano nella nozione di spese gestionali disciplinate dal comma 5 dell'articolo 109 del Tuir e, come tali, debbano essere interamente deducibili.

La pronuncia rappresenta una conferma dell'orientamento assunto dall'Organo consultivo.
Fin dalla prima pronuncia (parere n. 21/98), rilevante ai fini della fattispecie che si analizza, il Comitato ha voluto uscire, in ossequio ai criteri normofilattici che precludono l'accettazione di una rigida affermazione della competenza per categorie (spese di pubblicità - spese di rappresentanza) di non facile delimitazione, per la mancanza di elementi discriminanti tra l'una e l'altra che possano assurgere a pacifica tipizzazione, al di fuori della settorialità preconizzata dal legislatore dell'articolo 21 della legge n. 413/91. L'Organo ha, infatti, sostenuto che, sebbene la formulazione letterale sembri confermare la competenza alla qualificazione alternativa delle spese sostenute dal contribuente tra quelle di pubblicità e di propaganda oppure tra quelle di rappresentanza, è ovvio che non si può intendere il dettato normativo come un'alternativa chiusa, nel senso che è pur possibile ritenere che le spese non si inquadrino in alcuna delle citate classi di riferimento ma non siano affatto deducibili ovvero siano interamente deducibili, in quanto specificamente afferenti ai ricavi.

L'affermazione, reiterata anche in successivi pareri degni di menzione (parere n. 24/1999, n. 1/2001, n. 11/2003 e, da ultimo, n. 19/2004), testimonia - lo si ribadisce - la volontà del Comitato di uscire dalla sclerotizzazione interpretativa, fondata sui criteri della corrispettività ovvero della gratuità delle prestazioni e assunte a criterio quasi esclusivo che uniforma la distinzione tra spese di pubblicità (e propaganda) e spese di rappresentanza, per accogliere l'orientamento giurisprudenziale espresso nella sentenza della Cassazione n. 7803 dell'8 giugno 2000 e , ancor prima, dalla Corte di giustizia CEE in una sentenza (17 novembre 1993, n. 68) poco evocata negli interventi amministrativi e nella giurisprudenza di merito.
Superando il concetto di gratuità, posto a indice di qualificazione delle spese, la Corte ha precisato che l'inerenza di una spesa non esige altro requisito se non quello che detta spesa possa apparire oggettivamente preordinata alla produzione di reddito (o del suo aumento), indipendentemente dalla sua efficacia concreta e, quindi, anche dal fatto che l'effetto benefico - che l'imprenditore vorrebbe certamente immediato - possa, invece, verificarsi a distanza di tempo.

In tale ottica, è evidente che si giunge a considerare come inerenti all'attività dell'impresa, e dunque deducibili, tutti i costi, anticipatori e prodromici - in quanto strumentali al consolidamento e all'ampliamento del mercato - connessi agli atti finalizzati a porre le premesse indispensabili per lo svolgimento o il rafforzamento di una data attività economica che costituiscono parte integrante dell'attività imprenditoriale.
In altre parole, l'inerenza - e quindi l'inevitabilità di un costo o di un onere - va riconosciuta per il solo fatto che tale costo (o onere) si pone in una scelta di convenienza per l'imprenditore che lo sostiene nella finalità di conseguire il maggiore risultato economico, mentre, viceversa, essa non è ravvisabile allorquando il sostenimento è motivato da finalità extra-aziendali.
Il riconoscimento che nella realtà possano avere luogo tecniche di vendita caratterizzate da un legame stringente con i ricavi, non può indurre l'Organo a enunciazioni aprioristiche ma deve guidare l'analisi interpretativa a un esame logico che tenga conto, prioritariamente, dell'esistenza dell'intensità della relazione che intercorre tra spese e attività o beni da cui derivano ricavi (nel caso in cui sussista una relazione immediata e diretta la spesa costituisce senz'altro un costo ordinariamente e interamente deducibile) e, solo ove tale relazione non sussista, passi a esaminare se la spesa medesima possa essere inquadrata nella nozione di spesa di pubblicità o di spesa di rappresentanza ovvero, qualora essa non rientri affatto nell'una o nell'altra categoria, si debba ritenere interamente deducibile (parere n. 11/2003).

Nel caso in commento, posto che l'interpellante svolge un'attività di intermediazione consistente nella ricerca e nella segnalazione di possibili contraenti, la stretta inerenza non può essere demandata a mere enunciazioni di stile, ma richiede una dimostrazione concreta, che l'interpellante non si esime dall'esibire.
Sono proprio i dati circostanziali che permettono al Comitato di discernere e, dunque, di inquadrare correttamente le spese in ragione delle finalità che motivano l'assunzione dell'onere.
Il fatto che, in base alla previsione contrattuale, talune spese (che rimangono a carico della società istante) sono sostenute a fronte di ricavi, mentre altre (quelle "rifatturate" al cliente russo) sono sostenute senza produzione di ricavi, rende ragionevolmente fondata la conclusione che l'attività promozionale sia indirizzata non a un pubblico indifferenziato bensì a clienti effettivi e, dunque, funzionale alla produzione attuale di ricavi.

Relativamente, infine, la disciplina Iva applicabile alle prestazioni di intermediazione - ovvero la conferma, una volta riconosciuta la inerenza di tali spese all'attività promozionale, della deducibilità dell'Iva indicata nelle fatture degli alberghi acquisite dall'istante in nome e per conto proprio (in quanto la società ritiene che le provvigioni che percepirà costituiranno corrispettivi non imponibili ai sensi dell'articolo 9, n. 7, del Dpr n. 633/72, perché al momento delle fatturazioni sarà certa la destinazione all'estero di beni che formeranno oggetto delle vendite intermediate) ovvero la deducibilità limitata al 50 per cento per i costi relativi ai carburanti occorrenti per i trasporti effettuati con proprie autovetture - il Comitato consultivo non è legittimato a pronunciarsi.
La questione, infatti, costituisce materia di interpello ordinario e, come tale, è stata oggetto di pronuncia, ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 212/2000, della direzione regionale delle Entrate competente, che ha dichiarato l'inammissibilità del quesito per difetto delle obiettive condizioni d'incertezza sull'interpretazione delle norma (con risoluzione n. 420248 del 30 giugno 1980 l'Amministrazione finanziaria ha chiarito che le prestazioni di intermediazione possono godere del titolo di non imponibilità di cui all'articolo 9, n. 7, del Dpr n. 633/72 qualora siano direttamente riferibili a beni che, all'atto dell'effettuazione delle prestazioni, abbiano già ricevuto una delle destinazioni doganali contemplate dalla stessa disposizione).

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