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Attualità

Diritto processuale tributario Aspetti formali e questioni pregiudiziali (1)

Le parti, l'obbligo di assistenza tecnica e la procura ad litem

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Lo studio degli atti processuali assuefa a una precisa metodologia d'analisi, per cui si giunge a porre un'immediata e quasi incondizionata attenzione a tutti gli aspetti formali e alle questioni pregiudiziali degli atti, prima ancora di addentrarsi nell'analisi sostanziale della materia controversa.

Per la dottrina, le parti nel processo sono rispettivamente il proponente la domanda e il resistente alla stessa e sono, in definitiva, i destinatari dei provvedimenti del giudice.
Tale definizione, che abbraccia un criterio formale, prescinde sia dalla legittimatio ad causam, che afferisce alla titolarità del diritto, alla legittimazione attiva e passiva, sia dalla legittimatio ad processum che, invece, attiene ai presupposti processuali, che vanno verificati anteriormente alla legittimatio ad causam, per cui è data la facoltà nel procedimento di proporre e/o resistere alla domanda (ad esempio, non avrà la legittimatio ad processum l'incapace o l'interdetto); tale concetto che trova corrispondenza con l'articolo 75 del c.p.c. sulla capacità processuale.

L'articolo 10 del Dlgs n. 546/1992 propone una definizione delle parti processuali composita: da un lato, per la parte privata, si richiama un criterio meramente formale individuando la stessa, tout court, nel ricorrente, senza aver cura d'indagarne l'effettiva legittimazione ad agire (legittimatio ad causam), mentre, dall'altro, per l'ufficio, si fa riferimento alla concreta legittimazione passiva, rintracciabile nella paternità degli atti impugnati o richiesti o secondo le attribuzioni sul rapporto controverso, non tenendo conto che, anche senza alcuna legittimazione, l'ufficio potrà avere comunque dalla pronuncia del giudice delle ripercussioni sia positive (quali, ad esempio, la vittoria delle spese di liti) sia negative.

La scelta del legislatore è, d'altronde, coerente con la natura impugnatoria del processo tributario, per cui la parte necessariamente convenuta deve essere l'Autorità che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato, dovendosi altrimenti ritenere inammissibile il ricorso proposto contro la parte senza legittimazione passiva.
L'evidenza di quanto assunto, concernente l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti dell'ufficio incompetente, è riscontrabile nel dato normativo: l'articolo 10, combinato con l'articolo 18, comma 2, lettera c), del Dlgs n. 546/1992; in particolare, la giurisprudenza di merito, sempre più dimentica dell'antico favor fisci, sembrerebbe, però, accordare una sorta di scusabilità all'errore del contribuente attribuendo, invece, un ulteriore e non previsto dovere agli uffici di trasmissione degli atti.

Siffatta ricostruzione, che tende a sminuire ogni vizio della vocatio in ius, trova i suoi puntelli in letture forzate dell'articolo 10 dello Statuto del contribuente (norma che invita a improntare i reciproci rapporti tra Amministrazione e cittadino a canoni di buona fede e di sincera collaborazione) e nella considerazione che l'Agenzia delle entrate, nei confronti del contribuente, si presenta quale organo unitario, a prescindere dalle diramazioni o dalle suddivisioni interne di competenza.
Tale lettura, nata in grandi città, dove spesso è ammissibile una certa confusione nell'individuazione dell'ufficio di competenza, è, però, da respingersi, visto che in vero gli atti riferiscono, in modo assai chiaro, l'ufficio emittente e anche relativamente alle istanze di rimborso; la Cassazione, nella sentenza n. 19605/2005, ha ribadito come non possa essere derogata la competenza dell'ufficio stabilita secondo il domicilio fiscale del contribuente, per cui la domanda di rimborso, presentata a ufficio non competente, è inidonea a far decorrere i termini per la formazione del silenzio rifiuto.

Va, altresì, osservato che una lettura troppo garante degli interessi difensivi del singolo cittadino farebbe ricadere indebiti ed eccessivi oneri sull'Agenzia delle entrate, preposta alla cura generale dei primari e collettivi interessi erariali, senza nascondere che una simile interpretazione, volta a scusare l'errore nell'individuazione dell'ufficio competente e quindi chiamato in giudizio, potrebbe indurre il contribuente in malafede a operare delle strategie processuali atte a rendere più gravosa e meno efficiente la difesa degli uffici. Diverso è, invece, il caso in cui l'ufficio incompetente assuma, comunque, con la propria costituzione, parte nel giudizio accettando la discussione nel merito della controversia configurandosi in tale caso una sanatoria del vizio della vocativo in ius.

Le parti private, provviste, normalmente, di una legittimazione processuale diretta o rappresentativa, non possono, però, in genere esercitare direttamente le proprie facoltà in giudizio, dovendo far ricorso a un rappresentante processuale.
L'atto con cui viene designato il rappresentante processuale, per mezzo del quale la parte sta in giudizio, è la procura cosiddetta ad litem.
L'analisi accurata di tale atto è essenziale per i molteplici risvolti che può avere nella fase di instaurazione del contenzioso, del dibattimento e anche per l'eventuale proposizione dell'impugnazione.

Il Dlgs n. 546/1996, dopo aver definito le parti all'articolo 10, stabilisce, con il combinato degli articoli 11 e 12, i limiti e le possibilità che hanno le stesse per stare in giudizio.
In particolare, l'articolo 12 dello stesso decreto legislativo pone l'obbligo dell'assistenza tecnica in giudizio, specificando, al comma 2, le categorie abilitate a tale compito.
Tale norma che, prima facie e con una disattenta lettura, sembrerebbe comprimere l'articolo 24 della Costituzione, che afferma l'inviolabilità del diritto alla difesa, è invero posta a effettiva tutela e garanzia del diritto del singolo e della collettività.

Tale disposto, infatti, oltre a essere suggerito dalle indubbie difficoltà cui andrebbe incontro la parte non abilitata, per il tecnicismo del processo tributario, e dalle riflessioni sul necessario distacco dalle passioni che deve avere chi tratta la controversia avanti il giudice, è, pure, di per sé garanzia del buon funzionamento del processo, non solo per il compito, a cui sono chiamati tutti i soggetti agenti nel processo, di collaborazione con il giudice nella ricerca della migliore interpretazione della legge e nella migliore comprensione dei fatti, ma, anche, perché tale obbligo può essere deflativo rispetto a tutte le controversie che verrebbero poste a solo scopo defatigatorio che, di conseguenza, ingolferebbero i meccanismi della giustizia processuale(1).

Il contribuente può stare in giudizio senza alcun ausilio solo nelle controversie "minori", con valore della controversia inferiore a 2.582,28 euro, determinato, ai sensi del comma 5, dell'articolo 12, Dlgs n. 546/1992(2), e nei ricorsi di cui all'articolo 10 del Dpr n. 787/1980, disposti contro i ruoli formati dai soppressi Centri di servizio, ai sensi dell'ultimo periodo contenuto nello stesso comma 5, può, comunque, essere dato ordine alla parte, qualora la complessità della materia lo renda suggeribile, di munirsi di assistenza tecnica (tale ordine, che implica da parte del giudice una valutazione di opportunità, non è reclamabile né impugnabile)(3).
Il contribuente, che abbia i requisiti di cui al comma 2 dell'articolo 12, del Dlgs n. 546/1992, potrà invece stare in giudizio personalmente, fatta salva, ovviamente, la facoltà di farsi assistere comunque.

La regola succitata, posta all'ultimo comma dell'articolo 12, opera anche nei casi in cui il soggetto abilitato partecipi al giudizio, non in nome proprio, ma quale rappresentante di un ente o di una società (Cassazione, sezione V, sentenza n. 13210/2001).
Non può, invece, prestare assistenza tecnica nei giudizi tributari il curatore fallimentare, qualsiasi qualifica rivesta. Tale incompatibilità, sebbene non espressamente riferita al giudizio tributario, è desumibile dall'articolo 31, comma 3, della legge fallimentare (regio decreto n. 267/1942) e dalla ratio sottesa alla norma.

Sempre in ragione di un effettivo diritto alla difesa del contribuente, l'articolo 40, comma 1, lettera b), del Dlgs n. 546/1992, prevede, ricalcando l'articolo 301 del c.p.c., in caso di morte, di radiazione o di sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati ai sensi dell'articolo 12 del Dlgs n. 546/1992, l'interruzione del processo. L'efficacia interruttiva della volontaria cancellazione dall'albo professionale, un tempo negata, è stata, invece, riconosciuta dalla sentenza n. 12294/2001 della Cassazione.

L'interruzione si ha, ipso iure, al momento in cui si è verificato l'evento; in considerazione della fase in cui si trovi il procedimento giurisdizionale, essa potrà essere dichiarata ex articolo 41, comma 1, del Dlgs n. 546/1992, con decreto del presidente della sezione o con ordinanza della commissione. Si ritiene, in assenza di disposizioni contrarie, applicabile la stessa norma anche ai giudizi in cui la nomina del difensore sia facoltativa(4). L'articolo 40 del Dlgs n. 546/1992, al comma 3, rimarcando la funzione di garanzia del contraddittorio, dispone che l'effetto interruttivo non si verifichi nel caso in cui l'evento sopraggiunga "dopo l'ultimo giorno per il deposito di memorie in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio o dopo la chiusura della discussione in pubblica". non essendoci in tal caso un vulnus al corretto contraddittorio ormai già esauritosi(5).

1 - continua. La seconda puntata sarà pubblicata martedì 21

NOTE:
1) Per quanti possano ritenere tale obbligo lesivo dei diritti dei soggetti più deboli, è bene, comunque, sottolineare che, anche nel processo tributario, è assicurata l'assistenza gratuita ex articoli 137, 138, 139 del Dpr n. 115/2002.

2) "Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato , in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste".

3) Ad esempio, si ritiene che le controversie aventi a oggetto operazioni catastali, pur avendo un rilievo impositivo solo mediato, necessitino di assistenza tecnica processuale avuto riguardo della particolare natura della controversia.

4) Tale norma, secondo quanto anche specificato dalla circolare 98/E del 23/4/1996, non troverebbe applicazione al giudizio promosso avanti alla Corte di cassazione.

5) Il processo potrà essere ripreso secondo quanto disposto dall'articolo 43 del Dlgs n. 546/1992. L'istanza di trattazione, nel caso di interruzione del processo, dovrà essere presentata entro sei mesi dal provvedimento che abbia dichiarato l'interruzione stessa. L'istanza dovrà contenere: l'indicazione degli estremi del procedimento, la causa interruttiva e la ragione che abbia determinato la riassunzione. Qualora non venga presentata alcuna istanza di riassunzione, il processo si estingue per inattività delle parti, ai sensi dell'articolo 45 del Dlgs n. 546/1992.

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