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Attualità

“Disabilità. Iniziamo dalle parole”,
online la pubblicazione dell’Agenzia

È necessario in primo luogo scegliere con consapevolezza e cura i termini da usare come segno di attenzione e rispetto per la persona di cui o con cui stiamo parlando

estratto dalla copertina della guida

Un percorso per riflettere sul delicato tema della disabilità, un vademecum per sensibilizzare le persone ad adottare nel luogo di lavoro un linguaggio consapevole per rimuovere ostacoli culturali, contrastare gli stereotipi e far posto alla cultura dell’inclusione e della valorizzazione delle capacità di cui ogni individuo è portatore nell’organizzazione. La pubblicazione “Disabilità. Iniziamo dalle parole”, realizzata dall’Agenzia delle entrate con il patrocinio del ministro per le Disabilità e disponibile da oggi sul sito istituzionale nella sezione “L’Agenzia per il sociale” e sul portale intranet, redatta in attuazione del Piano triennale di azioni positive 2021-2023 dell’Agenzia, prende le mosse dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, di cui proprio oggi si celebrano i 15 anni dell’approvazione, ed è finalizzata a sviluppare nuove consapevolezze e sensibilità riguardo alla disabilità.

L’obiettivo è sviluppare nuove consapevolezze e contribuire a contrastare gli ostacoli culturali e gli atteggiamenti ostili e stigmatizzanti che si muovono attorno alla disabilità” ha chiarito il direttore delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini nella prefazione della pubblicazione. Considerato, poi, che le misure di contenimento della pandemia hanno limitato i progetti interni volti all’inclusione dei colleghi con disabilità, “questa iniziativa vuole rappresentare dunque una ripartenza. Iniziando dalle parole, che sono la veste dei nostri pensieri”, ha concluso il direttore.

Si tratta di un importante passo verso le persone con disabilità, fatto di corretta informazione e comunicazione, di linguaggi appropriati e azioni da intraprendere in tutte le realtà lavorative. Particolare attenzione è indirizzata alle parole, che vanno veicolate in una sfera semantica inclusiva, partendo dal presupposto che la ricerca del linguaggio da usare deve accompagnarsi al quotidiano impegno a rimuovere le barriere non solo culturali, ma anche fisiche, economiche e sociali che impediscono alle persone di beneficiare delle stesse opportunità. “Alla base, c’è la volontà di rendere il nostro ambiente lavorativo sempre più positivo, inclusivo, partecipato ed efficiente, in grado di accogliere ogni diversità. Un luogo in cui ci si sente a proprio agio” – ha evidenziato il direttore Ruffini, che nell’organizzazione - “ritiene essenziale l’apporto di ciascuno”.

A  partire dal 1975, anno in cui il termine disabile fu utilizzato nella dichiarazione delle Nazioni unite sui diritti delle persone disabili, la pubblicazione dell’Agenzia ripercorre le tappe della normativa e l’evoluzione del tema sulla disabilità.

Sempre l’Onu proclama il 1981 “anno internazionale delle persone disabili”. Nel 1980, poi, l’Organizzazione mondiale della sanità, nel documento sulla “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Handicap” (International Classification of Impairment, Disabilities and Handicaps), distingue tra menomazione, disabilità ed handicap: una classificazione che vede la nozione di disabilità dunque collegata a una catena sequenziale che parte da una limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività per definire una condizione di svantaggio in ambito sociale per la persona. La persona disabile, in quanto “minorata”, è vista come un soggetto da proteggere, sostenere, aiutare in contesti prevalentemente assistenziali o sanitari.

Queste distinzioni sono risultate però problematiche nel tempo tanto che l’Oms, nel 2001, ha adottato un nuovo sistema classificatorio: la “Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute” (International Classification of Functioning). La disabilità viene vista come una complessa relazione tra condizioni di salute, fattori personali e ambientali. Ciascuno può trovarsi in un ambiente sfavorevole che limita le sue capacità funzionali e relazionali. Il nuovo approccio bio-psico-sociale alla disabilità sposta il focus dall’ambito medico-patologico a quello sociale in cui la persona può interfacciarsi, trovando ostacoli o facilitazioni. La disabilità non è più descritta come problema di un gruppo minoritario, ma un’esperienza che tutti nell’arco della vita possono sperimentare e l’ICF utilizza l’espressione persone con disabilità.

Il concetto nel 2006 è ripreso anche dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), in cui viene ribadito che la disabilità è legata al rapporto fra persona e ambiente. L’attenzione quindi è focalizzata sulla responsabilità collettiva: istituzioni e società civile sono chiamate a rimuovere o ridurre gli ostacoli tramite un impegno preciso.

Partendo dal fatto che, come indicato dalla Convenzione Onu nel 2006, è preferibile parlare di persona con disabilità, la pubblicazione dell’Agenzia evidenzia che negli anni successivi esperti, giornalisti, studiosi e attivisti impegnati per i diritti delle persone con disabilità, oltre ad associazioni e istituzioni, si sono interrogati su come trattare correttamente questi temi, fornendo importanti spunti di riflessione e indicazioni.

La stessa pubblicazione, quindi, prova a riportare alcuni loro suggerimenti, ricordando che in questo campo le parole, e le loro connotazioni, devono essere scelte con cura e attenzione.
Fra le indicazioni suggerite, si legge nel documento, mai identificare una persona con la sua disabilità, mai utilizzare il termine handicappato o invalido né parole che trasmettano l’idea della disabilità come “patologia”, eliminare il linguaggio compassionevole o pietistico, privilegiare un linguaggio schietto e libero.

Insomma una serie di suggerimenti che tengono conto dell’individuo e delle sue potenzialità per la diffusione di una cultura che non veda più “diversa” la persona con disabilità, ma che piuttosto favorisca la sua inclusione. Non esiste un modo migliore univoco e valido in tutte le circostanze per parlare di disabilità, ma l’invito è una scelta consapevole delle parole, che come ponti possono contribuire a promuovere relazioni positive fondate sul reciproco rispetto e costruire una realtà in cui ogni persona si senta valorizzata e libera di esprimere pienamente e autenticamente la propria identità.

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