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Attualità

Erronea applicazione dell'Iva e sue conseguenze fiscali - 1

Il principio della detrazione: termini e condizioni, la rivalsa, le note di variazione

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Considerazioni introduttive
La detrazione costituisce uno dei tasselli fondamentali su cui si basa la disciplina dell'Iva. Essa consente a un operatore, che riveste la qualifica di soggetto passivo d'imposta, di poter recuperare il tributo a lui addebitato in via di rivalsa dal cedente o prestatore, permettendo allo stesso di non rimanere "inciso" dall'imposta da esso pagata, a fronte di operazioni imponibili effettuate.
Nel nostro ordinamento, la disciplina della detrazione è contenuta negli articoli 19, 19-bis, 19-bis1 e 19-bis2, dopo le sostanziali modifiche apportate al decreto Iva, con effetto dal 1° gennaio 1998, dal decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 313. Tale decreto è stato emanato a seguito della delega contenuta nell'articolo 3, comma 66, della legge 662 del 1996, che ha imposto una sostanziale revisione della detrazione Iva prima vigente, per adeguarla alla normativa comunitaria, dopo che la Commissione della Comunità europea, ai sensi dell'articolo 169 del Trattato di Roma, aveva notificato all'Italia parere motivato quale atto preliminare al deferimento davanti alla Corte di giustizia, per violazione della Sesta direttiva comunitaria n. 77/388/Cee.
Tuttavia, alcune limitazioni oggettive e soggettive, contenute anche nell'attuale legislazione nazionale, non consentono la detrazione totale per alcuni beni o servizi acquistati ovvero riducono la possibilità della loro detrazione. Questo fa sì che l'operatore nazionale talvolta diventa "consumatore finale" del bene o del servizio acquistato nell'esercizio della sua attività(1).
In definitiva, attraverso l'istituto della detrazione si tende a realizzare il principio della "neutralità" dell'imposta, in forza del quale l'Iva che il contribuente deve versare all'Erario risulta dalla differenza tra l'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate e l'ammontare dell'imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione.
Con il presente lavoro, si cerca di analizzare gli effetti che derivano da una erronea applicazione dell'Iva e della legittimità della detrazione della stessa. L'analisi è effettuata attraverso un excursus normativo, di prassi e di giurisprudenza che hanno interessato la suddetta materia, tentando di mettere in evidenza le finalità più significative dello strumento normativo e ciò anche sotto l'aspetto sanzionatorio.

Il principio della detrazione: linee generali
Ai sensi dell'articolo 19, primo comma, per determinare l'ammontare del tributo dovuto all'Erario, il soggetto passivo, detrae l'imposta che gli è stata addebitata in via di rivalsa o che da lui è dovuta o che è stata dallo stesso assolta in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, dell'arte o della professione.
L'imposta è detraibile solo se:

  • afferente ad operazioni effettuate o che saranno effettuate in periodi di imposta successivi o che si ritiene di effettuare in seguito
  • inerente all'esercizio delle attività svolte, nel senso che il bene o il servizio acquistato deve essere congiunto e connesso alla attività del soggetto passivo(2)
  • assolta a seguito di importazioni fatte (o semplicemente dovuta se l'importatore si avvale del pagamento differito in dogana)
  • addebitata sulle fatture di acquisto rilasciate dai fornitori dei beni e dei servizi
  • dovuta, nel senso che l'esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle imposte corrispondenti a un'operazione soggetta all'Iva o versate in quanto dovute, e non si estende all'imposta che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in fattura(3).

Per poter esercitare il diritto alla detrazione dell'Iva è inoltre necessario che:

  • il contribuente rivesta la qualifica di soggetto passivo di imposta
  • sia stato esercitato il diritto di rivalsa nei suoi confronti dal cedente o dal prestatore
  • l'imposta sia stata esposta separatamente in fattura, a titolo di rivalsa, e non semplicemente conglobata nel prezzo, a titolo di mera traslazione economica
  • il contribuente sia in possesso del documento d'acquisto, fattura o bolla doganale di importazione, come espressamente riconosciuto dalla Corte di giustizia Ce nella sentenza 29 aprile 2004 relativa al procedimento C-152/02
  • la fattura sia stata preventivamente annotata nel registro degli acquisti di cui al successivo articolo 25.

La circostanza che il soggetto passivo abbia o meno corrisposto materialmente l'Iva esposta in fattura o a lui addebitata in via di "rivalsa" non assume rilevanza ai fini dell'esercizio della detrazione.
Il diritto alla detrazione non è però illimitato, subisce delle limitazioni previste da specifiche disposizioni, le quali non lo ammettono se i beni e i servizi riguardano operazioni esenti o escluse dall'applicazione del tributo.

Termini e condizioni per la detrazione
Il diritto alla detrazione:

  • nasce nel momento in cui l'imposta diviene esigibile(4) previa registrazione della fattura o del documento di acquisto nell'apposito registro di cui al successivo articolo 25
  • può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione Iva relativa al secondo anno successivo a quello in cui lo stesso diritto è sorto
  • qualora la detrazione viene esercitata in un periodo successivo a quello in cui l'imposta è diventata esigibile, ai fini delle eventuali limitazioni alla detrazione stessa, valgono le condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo. Occorre, pertanto, apportare le opportune rettifiche in sede di primo impiego dei beni.

La rivalsa
In stretta correlazione con l'istituto della detrazione è il principio della rivalsa, disciplinato dal decreto istitutivo l'imposizione indiretta all'articolo 18.
La rivalsa è lo strumento che attua la traslazione dell'imposta e consente al contribuente, provvisoriamente inciso, di addebitare l'imposta a un altro soggetto passivo e così di seguito sino al consumatore finale, che è colui che sopporta definitivamente il tributo.
La disciplina impone l'obbligo al cedente del bene e al prestatore del servizio, di addebitare all'acquirente e al committente l'Iva e di trasferire così in avanti l'imposta, attuando i principi fondamentali del tributo e cioè quello della trasparenza (l'Iva viene esposta separatamente in fattura) e di imposta sui consumi (deve gravare sul consumatore finale, che ne è il soggetto inciso).
La rivalsa per il soggetto Iva è un dovere e un diritto: un dovere, in quanto la legge ne prevede espressamente l'obbligo e la nullità di ogni patto contrario; un diritto, in quanto il credito di rivalsa è assistito da un privilegio di natura generale o speciale a seconda che rifletta beni mobili o immobili. L'Iva deve essere addebitata al cessionario del bene o al committente del servizio, indipendentemente dal soggetto che paga materialmente il bene o il servizio.

Le note di variazione
Correlati con l'argomento, sono gli errori di fatturazione, disciplinati nel decreto istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto con l'articolo 26. L'emissione di una fattura errata, a prescindere dai motivi che hanno determinato tale inesattezza(5), ha generalmente, come corollario, il versamento del tributo all'Erario, da parte del cedente, e la detrazione, per il soggetto destinatario del documento contabile.
Esistono, però, regole diverse di intervento che seguono anche limiti temporali differenti, nel caso di variazioni dell'imponibile e dell'imposta riferite sia a eventi che modificano rapporti già conclusi, sia a errori commessi in sede di fatturazione, registrazione o liquidazione dell'imposta.
Le variazioni possono essere di due specie: in aumento o in diminuzione; le prime sono sempre obbligatorie e l'inosservanza è sanzionata come violazione, le seconde sono facoltative ed eseguite soltanto in casi ben determinati, in genere fondati su vizi originari sopravvenuti, su clausole contrattuali o per espressa volontà del legislatore, come nei casi di fallimento o procedure infruttuose.

Nelle ipotesi di fatture con aliquota Iva maggiore, quando cioè il cedente o il prestatore emettono fatture indicando un'aliquota Iva maggiore di quella dovuta, la Corte di cassazione, con la sentenza 13 marzo 2000, n. 2868(6), ha precluso il ricorso alla variazione in diminuzione ai sensi dell'articolo 26, dichiarando invece possibile ottenere il rimborso della maggiore imposta versata, avvalendosi dell'azione generale di rimborso di cui all'articolo 16 del Dpr n. 636 del 1972(7) con un'azione esperita da parte del cedente(8).
La decisione non ha mancato di sollevare obbiezioni, anche perché, secondo quanto espressamente previsto all'articolo 21, comma 7, Dpr 633/72, se viene emessa fattura con l'indicazione di una maggiore imposta, questa è dovuta per intero, ma la stessa può essere rettificata, appunto come previsto al 3 comma dell'articolo 26, ultimo periodo, in presenza di "inesattezze" della fatturazione.
Al riguardo, l'Amministrazione finanziaria si è sempre espressa per la possibilità di applicare la variazione in diminuzione entro un anno dalla effettuazione della operazione, attraverso una apposita nota di accredito emessa dalle ditte fornitrici ai sensi dell'articolo 26, terzo comma.
La stessa Corte di cassazione, con la sentenza 6 febbraio 2004, n. 2247, ha modificato il precedente orientamento, stabilendo che, qualora il contribuente abbia versato l'Iva calcolandola erroneamente sulla base di un'aliquota superiore a quella effettivamente dovuta, può emettere una nota di variazione Iva entro un anno dalla data di effettuazione dell'operazione, a norma del comma 3 dell'articolo 26.
Decorso tale termine, il contribuente può, comunque, chiedere il rimborso dell'imposta versata in eccesso ai sensi dell'articolo 21 del Dlgs n. 546 del 1992 ed, eventualmente, impugnare il silenzio - rifiuto dello stesso.

La procedura di cui all'articolo 26, comma 2, può essere utilizzata anche nell'ipotesi in cui il committente dei lavori non rivesta la qualità di soggetto d'imposta, sia, cioè, un privato o un ente non commerciale; in tali ipotesi, non opera il limite temporale di un anno dell'effettuazione dell'operazione, previsto dal terzo comma del richiamato articolo 26, in quanto "...la rettifica della fatturazione non si ricollega a variazioni negli elementi contrattuali né ad errori di fatturazione...".


1 - continua. La seconda puntata sarà pubblicata giovedì 23


NOTE:
1) R. Portale: Imposta sul valore aggiunto, ottava edizione, gennaio 2005, pag. 450.

2) Con risoluzione n. 244/E del 23 luglio 2002, deve essere individuato uno "stretto rapporto di strumentalità " tra l'esercizio dell'attività svolta dal soggetto passivo e l'utilizzo del bene o del servizio.

3) Cassazione n. 9247 del 10 giugno 2003.

4) Ovviamente va fatto riferimento all'articolo 6 del Dpr 633 del 1972.

5) Operazioni legittime o fraudolente.

6) In contrasto però con un precedente deliberato dello stesso Collegio del 25 novembre 1996, n. 10405.

7) Ora articolo 21 del Dlgs 546 del 1992.

8) Una interpretazione estensiva della pronuncia sembrerebbe portare alle medesime conclusioni anche in ipotesi di Iva non dovuta.

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