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Attualità

Erronea applicazione dell'Iva e sue conseguenze fiscali - 2

Gli orientamenti dell'Amministrazione finanziaria e le pronunce della Cassazione

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Iva erroneamente addebitata dal cedente in fattura: legittimità della detrazione
In merito al problema relativo alla "legittimità della detrazione, operata dal cessionario dell'Iva erroneamente addebitatagli dal cedente in fatture d'acquisto", il dubbio origina dalla corretta interpretazione della prima parte dell'articolo 19, ossia della disposizione in base alla quale risulta detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate "...l'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione...".
Va, d'altronde, sottolineato come il legislatore non abbia effettuato alcuno esplicito riferimento alla correttezza o meno dell'addebito.
I diversi orientamenti dell'Amministrazione finanziaria e le difformi pronunce della Cassazione rendono necessaria una breve esposizione sia delle risoluzioni ministeriali sia della giurisprudenza della suprema Corte, soprattutto perché da quest'ultima si rileva l'evoluzione e il consolidamento dell'indirizzo sfavorevole alla possibilità per il cessionario di portare in detrazione, ai sensi del primo comma dell'articolo 19, Dpr 633/72, l'imposta illegittimamente addebitata in fattura da parte del cedente o del soggetto che presta il servizio.
Sul tema, dottrina qualificata ha osservato che "per essere effettivamente e legittimamente detraibile, il tributo addebitato dal cedente o prestatore deve inderogabilmente esitare dalla puntuale interpretazione delle norme di riferimento, sesta Direttiva CEE, e, dunque, rappresentare un'imposta realmente dovuta, pena la contestazione, in capo al cessionario o committente, di una indebita detrazione"(9).
Si pone, semmai, il problema se il cessionario che non ha provveduto a regolarizzare la fattura incorra, oltre che nel recupero dell'imposta, anche nella sanzione ex articolo 6 del Dlgs 471/97. A parere di chi scrive, tale omissione va sempre sanzionata perché, nel caso di specie, non può essere invocato il principio della buona fede, di cui all'articolo 5 del Dlgs 472/97.

Le pronunce dell'Amministrazione favorevoli alla detrazione
Tra tutte, merita di essere citato la risoluzione prot. 36139 del 30/10/1976, che si è occupata di un caso di cessione d'azienda effettuata attraverso una serie di atti economici posti in essere in tempi diversi. L'operazione, concretizzata in singoli atti di trasferimento delle merci, dell'immobile, degli impianti e dei macchinari, è stata assoggettata a Iva. E' stato osservato che, essendo regolare sul piano formale, l'operato del contribuente non poteva essere censurato, per cui, avendo ricevuto fatture per beni acquisiti nell'esercizio d'impresa, aveva legittimamente esercitato il diritto a operare le detrazioni dell'Iva da lui assolta in via di rivalsa.

Ad analoga conclusione perviene la risoluzione prot. 334298 del 5/1/1982, che conclude nel senso che "...nel caso in cui sia stata emessa fattura, regolarmente registrata dal cessionario, con applicazione di un'aliquota superiore a quella dovuta e risultante anche nell'esemplare in possesso dell'emittente e la relativa imposta viene portata in detrazione, non è ravvisabile l'esercizio di indebita detrazione...infrazione che sussiste in tutti i casi in cui sia individuabile l'esercizio fraudolento o quanto meno illegittimo, di un inesistente diritto alla detrazione, come ad esempio nelle ipotesi di carenza dell'operazione, di mancato collegamento dell'acquisto con l'attività dell'impresa e di divieti previsti dalla legge per l'ammissione alla detrazione stessa...".

La medesima soluzione si trova nella risoluzione prot. 406888 del 28/1/1986, che ha precisato che il diritto alla detrazione può essere limitato solo in relazione a particolari operazioni oppure per l'acquisto di determinati beni (operazioni esenti) per cui "...affinché si possa parlare di indebita detrazione ...è necessario l'esercizio fraudolento o quanto meno illegittimo di un inesistente diritto alla detrazione (operazioni inesistenti, mancata inerenza dell'acquisto all'attività dell'impresa, divieto normativo per l'ammissione alla detrazione stessa)...".
In sintesi, l'Amministrazione finanziaria, con le note citate, in attuazione del principio della "neutralità" dell'imposta e fatto salvo l'intento fraudolento, ha legittimato la detrazione dell'imposta in conseguenza della sola esposizione della stessa sul documento contabile in possesso dell'acquirente, senza esaminare nel merito la questione e cioè a nulla rilevando la correttezza dell'esposizione del tributo.

Le pronunce dell'Amministrazione sfavorevoli alla detrazione
La risoluzione prot. 343376 del 7/12/1983, prendendo spunto da un'operazione di cessione di immobili che in realtà mascherava una cessione d'azienda, assoggettabile pertanto a imposta di registro, ha negato la detrazione dell'Iva pagata in sede di rivalsa dall'acquirente. Nel caso oggetto di esame, l'esclusione dal campo di applicazione dell'Iva della cessione dell'immobile determina, di riflesso, l'indebita detrazione per l'acquirente dell'imposta assolta.

Sulla stessa linea è la risoluzione prot. 355550 del 11/10/1985 che, sempre in relazione a una cessione di azienda frazionata attraverso una serie di atti economici effettuati in tempi diversi, ha concluso con la specifica che "...per poter effettuare la detrazione dell'imposta assolta in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio di imprese, arti o professioni non è sufficiente che l'imposta stessa sia distintamente indicata in fattura regolarmente registrata ma è anche necessario che l'operazione rientri nel campo di applicazione del tributo...".

Nel medesimo senso si è espressa l'Amministrazione anche con la circolare 35 del 27/3/1993 che, in sintesi, ha chiarito che "...per poter effettuare la detrazione dell'imposta, è necessario che l'operazione di acquisto rientri nel campo di applicazione del tributo...".

Le sopra esposte pronunce ministeriali coincidono con un consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce il diritto alla detrazione solo in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione, nella considerazione, quindi, che il tributo sia detraibile solo se rappresenta per il cedente o commissionario un'imposta realmente dovuta.

La giurisprudenza
Anche le pronunce della suprema Corte non sempre sono state uniformi; troviamo, infatti, sia decisioni a favore della detrazione sia contrarie. Al fine di meglio comprendere e analizzare la situazione in analisi, vediamo le sentenze più significative.

Le sentenze favorevoli alla detrazione
La sentenza n. 7689 del 23/6/1992 della Corte di cassazione, in relazione alla legittimità di un rimborso Iva su fatture emesse per risarcimento danno(10), ha precisato che ove sia "...esclusa l'applicabilità dell'art. 26 Dpr 633/72, resta applicabile l'art. 19 che ammette in detrazione l'imposta assolta o, comunque, dovuta dal contribuente o a lui addebita a titolo di rivalsa, senza che su tale regime influisca l'eventuale inassoggettabilità a Iva dell'operazione...". Nella medesima sentenza, la suprema Corte "...non pone limiti alla deducibilità in dipendenza di errori commessi (dal cedente) nell'addebito dell'imposta(11)...", consentendogli, dunque, "... in conformità ai principi che regolano la ripetizione dell'indebito,... di ottenerne il rimborso...".
In sintesi, i giudici nella suddetta pronuncia hanno legittimato l'alternatività della detrazione(12) dell'imposta con eventuale riconoscimento del rimborso(13), ove non fosse esperibile la procedura della nota di variazione(14) in diminuzione.

Analogamente, la pronuncia n. 1348 del 18/2/1999 della Corte di cassazione ha ammesso che l'imposta addebitata in rivalsa possa essere detratta dal cessionario nonostante l'erroneo assoggettamento a imposta dell'operazione da parte del cedente. In detta sentenza, è stato precisato che "...purché possa parlarsi di indebita detrazione è necessario l'esercizio fraudolento o quanto meno illegittimo di un insussistente diritto alla detrazione...". In pratica, si richiamano operazioni per le quali la norma ha previsto una esplicita sanzione, quali, ad esempio, le operazioni inesistenti, la non inerenza dell'acquisto all'attività dell'impresa oppure divieti normativi per l'ammissione della detrazione stessa.

In senso conforme è anche la sentenza n. 7152 del 25/5/2002 che, in un procedimento relativo alla verifica del requisito soggettivo per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, ha concluso che "...l'Iva addebitata in rivalsa dal cedente al cessionario per acquisti da questo realizzati nell'esercizio dell'impresa, può dal cessionario, che abbia ricevuto la relativa fattura ed assolto attualmente l'onere tributario dalla medesima risultante, essere validamente detratta pur quando l'operazione si riveli indebitamente assoggettata dal cedente all'imposta discussa...".

In pratica, con le pronunce sopra citate l'indirizzo della suprema Corte è quello di legittimare la detrazione dell'imposta in forza del sillogismo tributo pagato - tributo da detrarre, posto che l'unico soggetto che deve risultare inciso è il consumatore finale.
Dalle conclusioni di tale sentenze ne deriverebbe che, fatto salvo ovviamente i casi di operazioni fraudolente, o per le quali la norma ha escluso esplicitamente la detrazione, questa ultima è legittima ogni volta che il tributo evidenziato in fattura sia stato assolto dal cessionario che sia in possesso del documento contabile. Il recupero dell'imposta erroneamente applicata, pertanto, dovrebbe prioritariamente avere luogo attraverso gli strumenti che la legge tributaria consente, in primis, la detrazione: pertanto, nelle ipotesi in cui non operino limiti al suo esercizio, non può che essere la detrazione medesima garanzia della neutralità del tributo; perciò, gli errori commessi dal cedente nell'operare l'addebito non debbono in alcun modo pregiudicare la successiva detrazione dell'imposta da parte del cessionario(15).

Le sentenze sfavorevoli alla detrazione
Numerosissime sono le pronunce della suprema Corte di cassazione che convergono nel senso della indetraibilità del tributo esposto in maniera illegittima o, anche, semplicemente erronea.
Fra le tante, si cita la sentenza n. 12547 del 15/10/2001, che, nel disporre l'obbligo in capo al cedente di versare comunque all'erario l'Iva indicata in fattura, anche se trattasi di operazione esente erroneamente assoggetta a imposta o di operazione assoggettata ad aliquota superiore a quella dovuta, non ammette, però, in capo al cessionario il corrispondente diritto alla detrazione. La suprema Corte, in detta pronuncia, ha ribadito(16) che "...i tre rapporti che discendono dal compimento di un'operazione imponibile(17), pur essendo collegati, non interferiscono tra loro...".
In detta pronuncia, la Corte ha operato, quindi, una netta distinzione tra il rapporto che si costituisce tra autore della prestazione(18) e Fisco, e il rapporto tra quest'ultimo e destinatario della prestazione, ritenendo che il regime del primo "...non possa svolgere una sorta di effetto di irraggiamento sul secondo...". Da ciò discende, da un lato, l'obbligo per il cedente di pagare l'Iva(19) indicata in fattura, dall'altro, però, la Corte ha escluso che da tale obbligo derivi, come automatica conseguenza del principio della neutralità dell'imposta, il diritto del cessionario o committente alla detrazione.

Sulla medesima linea è la sentenza n. 13222 del 26/10/2001, in cui la suprema Corte, in un procedimento relativo a un accertamento basato su indagini bancari, ha escluso la detrazione dell'imposta illegittimamente addebitata dal cedente. In siffatta pronuncia, viene ripreso il principio della mancata correlazione tra "l'obbligo di pagare e pretesa di restituzione" derivante dal fatto che il committente/cessionario ha sopportato la rivalsa verso l'altro contraente di un'imposta da questi non dovuta.

Le medesime conclusioni sono riproposte dalla sentenza della suprema Corte, Sezioni unite, n. 13446 del 13/12/1991, che così specifica "...al fine di risolvere la questione sul se possa esperirsi dal soggetto Iva l'azione d'indebito verso l'Amministrazione, è opportuno ribadire che egli per legge(20) ha diritto ad ottenere la restituzione dal prestatore/cedente dell'imposta allo stesso versata a titolo di rivalsa(21), anche se il medesimo prestatore/cedente non abbia provveduto, entro il termine annuale, a norma dell'art. 26, a recuperare il maggior importo versato con successive registrazioni correttive, quindi in via di detrazione(22). Da questo stesso precedente si ricava, per altro, come siffatta omissione non precluda al cedente, soggetto passivo del rapporto tributario ed autore del pagamento in favore dell'erario, di ripetere dall'Amministrazione quanto versato senza titolo...".
In altri termini, nell'impostazione della citata sentenza delle Sezioni unite, in stretta attuazione dei principi del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, era esclusa la detraibilità dell'Iva ex articolo 19 del Dpr 633/1972, da parte del cessionario, pur se era consentita l'azione di ripetizione d'indebito nei confronti dell'Amministrazione da parte del cedente. La Corte di giustizia, infatti, nella sentenza 13/12/1989, in causa C 342/87, ha stabilito che "...l'esercizio del diritto di detrazione contemplato dalla sesta direttiva del Consiglio(23) non si estende all'imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata nella fattura...". In altre parole, viene esclusa la detraibilità dell'imposta erroneamente addebitata, mentre si lascia margine per l'azione di ripetizione dell'indebito da parte del cedente, previo, ovviamente rettifica delle inesattezze della fatturazione e registrazione.

Ad analoga conclusione giunge la sentenza n. 4419 del 26/3/2003 della Cassazione, che, in una vertenza in tema di acconti per provvigioni a seguito di intermediazione tra soggetti esteri e nazionali, ha concluso che "...il diritto alla detrazione, oltre che per la qualificazione dell'attività come direttamente strumentale alla mediazione internazionale ...non assoggettabile ad imposta ai sensi dell'art. 9.7 Dpr 633/72...doveva essere escluso...perché non è ammessa in ogni caso la detrazione dell'imposta pagata a monte per l'acquisto o importazioni di beni, o per la prestazioni di servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta...". In detta pronuncia, si richiama altresì la sentenza n. 6352 del 3/5/2002, con la quale è stato decretato che il diritto alla detrazione non sussiste quando l'Iva pagata a monte concerne beni o servizi acquistati per il compimento di operazioni non soggette a imposta. Si precisa, infatti, che ai fini della detrazione non è sufficiente che le operazioni attengano all'oggetto dell'impresa, ma è necessario che siano a loro volte assoggettabili a Iva.

Sul punto, è il caso di richiamare anche la sentenza n. 6419 del 22/4/2003, che, in tema di legittimazione attiva alla presentazione di una istanza di rimborso, riconosciuta al cedente, ha concluso che questo ultimo è obbligato, altresì, a restituire al cessionario la somma pagata all'Amministrazione stessa a titolo di rivalsa. Riprendendo il tema dell'autonomia dei rapporti che si instaurano tra cedente, cessionario e Amministrazione, tra di loro collegati ma non intersecati, per cui il cedente non può opporre al cessionario, che agisce in restituzione, l'avvenuto versamento dell'imposta, e il cessionario non può opporre all'Amministrazione finanziaria, che esclude la detrazione, che l'imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all'Amministrazione medesima e che solo il cedente ha titolo ad agire nei confronti dell'Amministrazione, in siffatta pronuncia è stato concluso che l'Amministrazione finanziaria, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario non può essere tenuta a rimborsare direttamente a questo ultimo quanto dallo stesso versato a titolo di rivalsa e, pertanto, è illegittima la detrazione dell'imposta.
Da ciò si ricava un principio molto interessante, vale a dire che il soggetto passivo dell'imposta/sostituto, per ottenere la restituzione dall'Amministrazione finanziaria di quanto deve rimborsare al sostituito, potrà comunque avanzare istanza per la recuperabilità dell'Iva versata in eccedenza. In pratica, la responsabilità di valutare la assoggettabilità di una operazione a Iva spetta al soggetto d'imposta, mentre la controparte deve adeguarsi, almeno nei rapporti con il Fisco, alle valutazioni del primo; e solo contro costui potrà promuovere un'azione di natura non tributaria, e perciò avanti al giudice ordinario, per ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato.

Ad analoghe conclusioni perviene la sentenza n. 6778 del 5/5/2003 che, nel ritenere che l'azione di ripetizione dell'Iva versata e non dovuta compete tanto al committente del servizio o dell'appalto quanto al prestatore o appaltatore, ha specificato che mentre il primo è tenuto a proporre la domanda di restituzione del tributo indebitamente pagato nei confronti del commissionario, risultando estraneo al rapporto con il Fisco, solo al secondo, in quanto soggetto passivo del rapporto tributario, compete la legittimazione ad agire per la ripetizione del tributo nei confronti dell'Amministrazione finanziaria(24). Postulato di questo principio è, quindi, l'asserzione che il cessionario, estraneo nel rapporto tra Amministrazione finanziaria e cedente, non può detrarre l'imposta assolta in una fattura errata.
L'esercizio del diritto di detrazione è, pertanto, limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti a un'operazione soggetta all'Iva, o versate in quanto dovute, e non si estende all'imposta che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in fattura(25).

Si richiamano, infine, le conclusioni cui sono addivenuti i supremi giudici con le Sentenze n. 11109 del 16/7/2003 e n. 1015 del 19/1/2005, che legittimano la detrazione dell'Iva solo in presenza di requisiti formali, quali ricevimento e conservazione del documento contabile, ma anche sostanziali, vale a dire che l'operazione sia stata legittimamente assoggettata al tributo e che trattasi, quindi, di operazioni inerenti l'esercizio di impresa, ma anche afferenti operazioni imponibili.
Evidente, quindi, il consolidarsi di un indirizzo giurisprudenziale in base al quale l'erronea indicazione in fattura, e conseguenti addebito e versamento all'erario, di un'Iva in tutto o in parte non dovuta, mentre impone al cedente/prestatore del servizio il pagamento dell'imposta, non attribuisce al cessionario o committente(26) il diritto alla detrazione, salva la possibilità, da esercitarsi nelle forme stabilite dal legislatore, di apportare le necessarie rettifiche, in modo che sia evitata ogni possibilità di danno all'erario.


2 - continua. La terza e ultima puntata sarà pubblicata lunedì 27; la prima è su FISCOoggi di martedì 21


NOTE:
9) A. Pelle: Iva enti locali

10) Operazione esclusa dalla base imponibile ai sensi dell'articolo 15 del Dpr 633/72.

11) Salvo le rettifiche di cui all'articolo 26 del Dpr 633/72.

12) Articolo 19 del Dpr 633/72.

13) Articolo 30 del Dpr 633/72.

14) Articolo 26 del Dpr 633/72.

15) Vd. quanto detto a proposito della irrogazione delle sanzioni al cessionario per omessa regolarizzazione delle fatture.

16) In senso conforme si cita, tra le altre, Cass. sent. n. 5427 del 28/4/2000.

17) Tra Fisco e cedente per il pagamento dell'imposta; tra cedente e cessionario per la rivalsa; tra Fisco e cessionario per la detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa

18) Ed emittente la fattura

19) Anche se non dovuta.

20) Articolo 26 del Dpr 633/72.

21) Conformi, tra le altre, Cass. sent. n. 3602/90 e n. 6808/88.

22) Cass. sent. n. 3602/90.

23) N. 77/388/Cee del 17/5/1977.

24) Cass. SS.UU. sent. n. 12590/91 e n. 13446/91.

25) Cass. sent. n. 9247 del 10/6/2003.

26) Che non siano consumatori finali, ma soggetti all'imposta.

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