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Attualità

Esplicita indicazione dei "giusti motivi"

La modifica dell'articolo 92, comma 2, c.p.c., è stata apportata dall'articolo 2 della legge 263/2005

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Il procedimento di progressivo adeguamento del processo tributario al processo civile, iniziato con il Dpr 636/1972(1), si è completato con la legge delega 413/1991 (articolo 30)(2) e i successivi decreti legislativi nn. 545 e 546 del 1992.
Innanzitutto, è stata inserita nell'articolo 1, comma 2, Dlgs 546/92, una norma generale di rinvio alle regole del processo civile: "I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile".

Come precisato nella circolare ministeriale n. 98/E del 23/4/1998, il rinvio è però subordinato a due condizioni:

  1. che nessuna norma del Dlgs 546/92 disciplini la fattispecie sia pure mediante interpretazione estensiva
  2. che la norma processualcivilistica, astrattamente applicabile alla fattispecie, sia compatibile con quelle del decreto medesimo.

Sull'accertamento del requisito della compatibilità, la circolare, riprendendo il principio enunciato dalle SS.UU. della Corte di cassazione(3), afferma che l'indagine deve tendere ad accertare se anche nel processo tributario possa configurarsi una situazione processuale avente le medesime caratteristiche di quella oggetto delle disposizioni richiamate, e, in secondo luogo, se la disciplina risultante sia o meno compatibile con le norme del processo tributario e dell'ordinamento tributario in generale. Il giudizio di compatibilità avrà esito positivo non solo quando non vi è contrasto assoluto tra le norme, ma anche quando l'applicazione della norma richiamata non comporti una disarmonia non giustificata.

Sulla possibilità d'applicare al processo tributario le norme del codice di procedura civile sulla responsabilità alle spese, si sottolinea come in tutti e due i giudizi si possa rintracciare una situazione processuale avente le medesime caratteristiche, in quanto i giudici, alla conclusione dei giudizi, con la sentenza, devono pronunciarsi circa la condanna alle spese.
Inoltre, non si rintraccia nessun contrasto assoluto tra le norme del Dlgs 546/92 e del codice di procedura civile sulle spese del giudizio, né l'applicazione delle norme di cui agli articoli 90 e seguenti c.p.c. può comportare alcuna disarmonia.
Anzi, il legislatore, stabilendo nell'articolo 15, comma 1, Dlgs 546/92, che "la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell'art. 92, secondo comma, codice di procedura civile" dimostra di aver introdotto anche nel processo tributario il principio del victus victori, richiamando implicitamente le citate norme di cui agli articoli 90 e seguenti del codice di procedura civile.

Il principio della condanna della parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio rappresenta un principio di rilevanza costituzionale.
La necessità di agire o di difendersi in giudizio non deve andare a danno di chi ha ragione, sopportandone i relativi costi.
La condanna della parte soccombente al pagamento delle spese di lite consente quindi la piena e completa attuazione del principio del diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione.
Tuttavia, tale regola è stata introdotta dal legislatore anche come uno dei mezzi per cercare di risolvere il problema dell'elevato contenzioso tributario, incentivando da un lato i contribuenti a non presentare ricorsi o appelli a solo scopo dilatorio, dall'altro stimolando l'Amministrazione finanziaria a operare con maggiore scrupolosità evitando di iniziare o proseguire contenziosi non fondati su validi elementi.

La regola della condanna alla refusione delle spese di lite a carico della parte soccombente trova tuttavia due deroghe.
A parte la prima di cui all'articolo 92, comma 1, c.p.c., secondo cui "il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'art. 88, essa ha causato all'altra parte", l'articolo 92, comma 2, c.p.c., così come riscritto dall'articolo 2 della legge n. 263 del 28 dicembre 2005, prevede che "se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti".
La novità rispetto alla precedente versione sta nel fatto che i giudici dovranno indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza "i giusti motivi" per i quali eventualmente decidano di compensare, parzialmente o per intero, le spese di lite.
Casi di soccombenza reciproca sono, ad esempio, il rigetto delle richieste di ambedue le parti, la rinuncia ad alcune domande, l'accoglimento di alcune domande o di alcuni capi della domanda.
Tuttavia, si dovrà guardare all'effettiva utilità delle domande accolte, condannando, seppur in parte, al pagamento delle spese del giudizio chi dalla sentenza ha ricevuto minore utilità o non ne ha ricevuta alcuna.

Riguardo al caso della ricorrenza di "giusti motivi" che possono giustificare la compensazione delle spese di lite, è necessario precisare che finora la giurisprudenza era stata unanime nel sostenere la tesi secondo cui i "giusti motivi" in considerazione dei quali si può addivenire a una compensazione delle spese di lite sfuggono, per loro stessa natura, a ogni enunciazione o catalogazione anche se soltanto esplicativa e l'indagine circa la loro ricorrenza, oltre che la relativa valutazione, sono rimesse al giudice di merito e al suo potere discrezionale.
Gli stessi poi non richiedevano di alcuna specifica motivazione.
Da ciò discendeva inoltre, che era incensurabile in sede di legittimità, salvo il caso in cui risultava violato il principio secondo cui le spese di lite non possono essere poste a carico, anche in minima parte, della parte totalmente vittoriosa o che la decisione del giudice di merito di compensare le spese di lite fosse accompagnata dall'indicazione di ragioni palesemente illogiche o tali da inficiare, per la loro inconsistenza o palese erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espresso sul punto(4).
Ad esempio, si consideri il caso in cui le Sezioni unite della Corte suprema hanno cassato, per erroneità della motivazione, una sentenza di merito che aveva compensato le spese del giudizio sull'assunto - contrario alla realtà al momento della decisione - che sulla questione oggetto della decisione esistesse un contrasto giurisprudenziale(5).

Tale orientamento era stato anche di recente confermato dalla Cassazione che, prendendo atto del contenuto dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 395 del 2004, resa in riferimento a una questione avente a suo presupposto il diritto vivente suddetto, ha affermato che le suesposte linea guida giurisprudenziali, elaborate nel corso di una sedimentata attività d'interpretazione, pongono in bilanciamento i valori costituzionali della difesa delle parti nel processo (articolo 24 Cost.) e la ragionevole durata di quest'ultimo (articolo 111, comma 2, ult. parte, Cost.) senza che - allo stato - sia possibile altra lettura costituzionalmente adeguata alle disposizioni di legge coinvolte, pena l'accrescimento delle impugnazione delle decisioni, con i conseguenti e immaginabili effetti inflattivi in ordine al numero dei processi - già particolarmente alto, fino a limiti di guardia - e i costi collettivi sempre più elevati(6).

Di fatto, tuttavia, la Corte si è sempre rifiutata di sindacare i giudizi dei singoli giudici di merito, sottolineando, come già detto, che l'unico limite cui sono sottoposti è quello di evitare che la parte vittoriosa debba sopportare le spese del giudizio e che non devono essere neppure specificati i "giusti motivi" che hanno determinato la loro decisione di compensare le spese del giudizio.
Nel processo tributario, l'uso di tale potere è prassi comune e corrente, considerando tra l'altro che, secondo consolidata giurisprudenza, tale pronuncia può fondarsi anche su valutazioni non giuridiche di opportunità o equità(7).

La modifica dell'articolo 92, comma 2, c.p.c., da parte dell'articolo 2, legge 28 dicembre 2005, n. 263, secondo cui i "giusti motivi" per i quali vengono compensate, in tutto o in parte, le spese di lite devono essere esplicitamente indicati nella motivazione della sentenza, è stata realizzata proprio con l'intento specifico di incidere sulla comoda e ormai consolidata prassi dei giudici di dichiarare compensate le spese del giudizio senza esplicitarne le ragioni ed evitare così che tale potere (attraverso anche il sindacato effettuato nei vari gradi di giudizio) venga esercitato anche in circostanze che non lo richiederebbero attraverso interpretazioni estensive e forvianti del concetto di "giusti motivi".
Tale modifica legislativa è certamente in grado di garantire una migliore attuazione del principio del victus victori e, come sottolineato dai primi commentatori, di incidere profondamente sul modus decidendi dei giudici tributari, i quali dovranno indicare esplicitamente in motivazione i "giusti motivi" per i quali decideranno di derogare al generale principio di condanna alla refusione delle spese di lite a carico della parte soccombente.

NOTE
1. L'articolo 39 del Dpr 636/72, tuttavia, stabiliva che "Al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie si applicano, in quanto compatibili con le norme del presente decreto e delle leggi che disciplinano le singole imposte, le norme contenute nel libro I del codice di procedura civile, con esclusione degli artt. da 61 a 67, dell'art. 68, primo e secondo comma, degli artt. da 90 a 97 [e dell'art. 128]. Per le attività degli impiegati di cui al primo comma dell'art. 13, valgono le disposizioni degli artt. 57 e 58 del codice di procedura civile concernenti le attività dei cancellieri".
Non si applicavano quindi al processo tributario le norme del codice di procedura civile in tema di "Responsabilità alle spese e per danni processuali", articoli da 90 a 97 del c.p.c. Non si applicava quindi il principio del victus victori.

2. L'articolo 30, comma 1, lettera i, ultima parte, legge 413/1991, afferma che "Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare... uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione della disciplina e l'organizzazione del contenzioso tributario, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri: ...regime delle spese processuali in base al principio della soccombenza".

3. Cfr. Corte di cassazione, SS.UU, 16/1/1986, n. 210.

4. Cfr. ex plurimis, Cass. 14/3/1995, n. 2949; 6/5/1998, n. 4575; 19/5/1998, n. 4997; 12/7/2000, n. 9271; 23/4/2001, n. 5976; 23/4/2001, n. 5988; 24/6/2003, n. 10009; 28/6/2003, n. 103085; 1/9/2003, n. 12744.

5. Cass. SS.UU. 15/1/1994, n. 9597.

6. Cfr. Cass. 22/4/2005, n. 8544.

7. Si possono considerare "giusti motivi" un contrasto giurisprudenziale, una dichiarazione d'incostituzionalità di una norma in corso di giudizio, la valutazione complessiva del comportamento delle parti. Cfr. Cass. 19/5/1979, 2885; 24/4/1987, n. 3911; 28/11/1998, n. 12108; 1/12/2003, n. 18352.

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