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Attualità

Falso in bilancio e principio del favor rei nella giurisprudenza comunitaria (1)

All'esame dei giudici di Lussemburgo la modifica della disciplina del reato di false comunicazioni sociali

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"Una direttiva comunitaria non può essere invocata in quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti degli imputati nell'ambito di procedimenti penali, poiché non può avere come effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati".
Così la Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza del 3 maggio 2005 (procedimenti riuniti C-387/02, C-391/02 e C-403/02) si è pronunciata sulle questioni pregiudiziali che i giudici nazionali del rinvio le avevano sottoposto, ai sensi dell'articolo 234 del Trattato comunitario, al fine di acquisire, quegli elementi interpretativi del diritto comunitario, che avrebbero consentito ai giudici medesimi di pronunciarsi sulla compatibilità o meno delle nuove norme sul falso in bilancio con il diritto comunitario nelle cause dinanzi a loro pendenti.

In linea generale, le questioni sollevate hanno riguardato:

  1. se l'articolo 6 della prima direttiva sul diritto societario si applichi non solo in caso di omessa pubblicazione di comunicazioni sociali, ma anche in caso di pubblicazione di false comunicazioni sociali
  2. se il rispetto dei criteri di effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni in caso di violazione di disposizioni comunitarie debba essere valutato con riferimento alla natura o al tipo della sanzione prevista astrattamente o con riferimento alla sua concreta applicabilità, tenuto conto delle caratteristiche strutturali dell'ordinamento giuridico cui afferisce
  3. se i principi che derivano dalla quarta e dalla settima direttiva sul diritto societario ostino a una disciplina nazionale che fissa soglie al di sotto delle quali le informazioni inesatte contenute nei conti annuali e nelle relazioni di gestione delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata sono irrilevanti.

Tali questioni, come detto, hanno posto all'esame della Corte la modifica della disciplina del reato di false comunicazioni sociali, che, nel restyling operato a seguito della riforma del diritto societario, restringe l'ambito di applicazione della sanzione penale solo ad alcune fattispecie considerate rilevanti.
Tuttavia, i giudici del Lussemburgo non sono entrati nel merito della presunta incompatibilità delle nuove fattispecie criminose e hanno limitato la pronuncia all'affermazione della superiorità del principio del favor rei(1), sancendone la precedenza applicativa sull'eventuale intervento finalizzato a sanare la difformità di una norma di diritto interno da una direttiva comunitaria.
A parere della Corte, infatti, il suddetto principio, che impone l'applicazione della sanzione più mite in presenza di successione di leggi penali nel tempo, va considerato quale principio cardine del diritto comunitario e, pertanto, vincolante anche per il giudice nazionale tenuto alla disapplicazione della normativa interna in contrasto(2).
Prima di analizzare le motivazioni che hanno spinto i giudici della Corte di giustizia a rigettare le questioni pregiudiziali sollevate dai giudici del rinvio, discostandosi sensibilmente, tra l'altro, dalle conclusioni presentate dall'Avvocato generale Juliane Kokott, appare opportuna una breve sintesi della disciplina delle false comunicazioni sociali, alla luce delle innovazioni apportate con la riforma.

Quadro normativo di riferimento
Il cosiddetto reato di falso in bilancio, definito invero dal legislatore "False comunicazioni sociali", avendo un oggetto materiale più ampio dei documenti di bilancio, trova la sua disciplina normativa negli articoli 2621 e 2622 del codice civile.
Come detto in precedenza, tale fattispecie criminosa è stata profondamente ridisegnata dal decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, che ha sostituito integralmente il titolo XI del libro V del Codice civile titolato "Disposizioni penali in materia di società e consorzi"(3).
Originariamente, l'articolo 2621 c.c. puniva con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a venti milioni, salvo che il fatto costituisse più grave reato, i promotori, i soci, i fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori che - nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali - esponevano fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società ovvero nascondevano in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime.
La nozione di "comunicazioni sociali" era stata interpretata dalla giurisprudenza ricomprendendo tutte le comunicazioni, scritte o orali, effettuate dai soggetti qualificati della società nell'esercizio delle funzioni e annoverando, oltre alle comunicazioni interne, ogni comunicazione esterna diretta ai soci, creditori o terzi interessati.

Proprio l'ampiezza dell'oggetto materiale del reato ha spinto il legislatore della riforma a razionalizzare le ipotesi di reato di false comunicazioni sociali sdoppiando il sistema sanzionatorio in due diverse previsioni, una di danno e l'altra di pericolo.
Al posto di un'unica ipotesi di reato (il vecchio testo dell'articolo 2621 c.c.), il legislatore delegato ha infatti previsto una fattispecie contravvenzionale e due ipotesi delittuose.
Così la contravvenzione di cui al novellato articolo 2621 c.c.(4), caratterizzata dall'assenza di un danno patrimoniale ai soci o ai creditori, prevede la punibilità, quali soggetti attivi del reato, dei soli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori (restano pertanto esclusi i soci fondatori e i promotori) per false comunicazioni sociali e solo a titolo di dolo specifico, ravvisabile nella finalità di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto.
In ordine all'oggetto materiale, si rileva che, in ipotesi di condotta criminosa commissiva (esposizione di fatti materiali, ancorché oggetto di valutazione, non rispondenti al vero), ferme le relazioni e il bilancio, "le altre comunicazioni sociali" sono solo quelle previste dalla legge, dirette ai soci e ai creditori, con esclusione, ad esempio, dei comunicati stampa o delle dichiarazioni orali in assemblea, delle lettere agli azionisti o creditori, delle comunicazioni societarie interne, eccetera.
Qualora, invece, si versasse in una condotta di tipo omissivo, il nascondimento dell'informazione assumerà rilevanza solo se la relativa comunicazione sia imposta dalla legge.
Di notevole importanza la previsione di ipotesi di non punibilità realizzate attraverso l'approntamento di un sistema di soglie quantitative legate sia alle variazioni del risultato economico di esercizio e di patrimonio netto, nonché a una tolleranza per variazioni derivanti da valutazioni estimative, se contenute entro un limite preciso. A tale, ultimo proposito, la richiesta materialità dei fatti sembra escludere, dall'ambito della punibilità, il falso nelle previsioni, nei progetti e nei piani finanziari futuri, riferendosi, esclusivamente a quelle valutazioni tecniche, di bilancio e ragionieristiche, tipiche delle funzioni proprie degli organi sociali.

Diversamente, l'articolo 2622(5) introduce una ipotesi delittuosa ascrivibile ai reati cosiddetti di danno e, nel caso di specie, richiede il determinarsi di un danno patrimoniale, per i soci o per i creditori.
In realtà, i reati punibili ai sensi della norma citata, aventi a oggetto le medesime comunicazioni del nuovo articolo 2621 c.c. sono due, a seconda che si tratti di società quotate o meno, e presentano differenze fondamentali.
In particolare, in caso di società non quotate, è prevista quale condizione di procedibilità la querela della persona offesa, mentre per le quotate, anche in considerazione della rilevanza dell'evento, il reato è perseguibile d'ufficio.
Diverse ancora sono le pene previste: reclusione da sei mesi a tre anni se il reato riguarda una società non quotata in borsa e da uno a quattro anni se riguarda una società quotata.


1 - continua. La seconda e ultima parte su FISCOoggi di domani, martedì 17 maggio


NOTE:
1) Nell'ordinamento italiano tale principio è contenuto nell'articolo 2 del codice penale intitolato "Successione di leggi penali" che così recita: "Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile".

2) Il principio statuito nel dispositivo della sentenza non è nuovo. Secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia, i diritti fondamentali, tra cui il principio del favor rei, costituiscono parte integrante del diritto di cui la stessa Corte garantisce l'osservanza e, per questo, è stato affermato in diverse pronunce (sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, e 7 gennaio 2004, causa C 60/02, X,) che una direttiva non può avere l'effetto, a prescindere dalla legge nazionale in vigore, di determinare o aggravare la responsabilità penale di un imputato.

3) Il decreto legislativo 61/2002 è stato emanato in attuazione dell'articolo 11 della legge delega al Governo per la riforma del diritto societario (legge 3 ottobre 2001, n. 366), rubricato "Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali".

4) Articolo 2621 c.c. False comunicazioni sociali
"Salvo quanto previsto dall'articolo 2622 , gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori , i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge , dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo a indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a un anno e sei mesi.
La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene.
La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta
".

5) Articolo 2622 c.c. False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori
"Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo a indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio.
La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta
".

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