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Attualità

La flat tax in a flat world

Da Bush a Rudy Giuliani, così l’America repubblicana scivola sull'aliquota unica

Soluzione a prima vista logica e scontata, in realtà il ricorso alla flat tax, evocata soprattutto durante le campagne elettorali, non è affatto così convincente e razionale. Lo testimonia il caso americano. Due dei maggiori leader repubblicani, prima Bush, l’attuale Presidente Usa, poi Rudolph Giuliani, candidato alla corsa per la Casa Bianca, sono scivolati sui dubbi che l’aliquota unica sembra sollevare quando la sua introduzione riguarda Paesi né poveri, né in transizione ma Stati già solidi e con sistemi e servizi sociali strutturati da tempo. Come da copione oramai, all’approssimarsi delle scadenze elettorali la flat tax riguadagna spazio fiscale e terreno contabile all’interno delle agende politiche dei singoli candidati. Fenomeno che, indipendentemente dalla latitudine e dalle coordinate geografiche dei Paesi interessati, sembra sollecitare le attenzioni delle maggiori capitali mondiali, nessuna esclusa, a cominciare da Londra, Parigi e Madrid. A queste si devono poi aggiungere, per correttezza della cronaca, anche l’australiana Camberra, l’apparentemente meditativa Tokyo, e naturalmente Washington, da almeno un secolo laboratorio tecnico-strumentale e contenutistico di una lunga serie di politiche economiche, pubbliche e fiscali che, una volta lanciate entro i confini statunitensi, finiscono in seguito per rimbalzare inevitabilmente da un angolo all’altro del Pianeta, con vicende alterne per la verità, non sempre dall’esito scontato e soprattutto atteso come preannunciato.

Gli Usa al test della Flat Tax
Tornando agli Stati Uniti, proprio in queste settimane il tema della flat tax sembra accendere il dibattito, certo non come la questione irachena. Già nel 2000 l’allora candidato alla Casa Bianca, Gorge W Bush, lo aveva timidamente accennato, battendo successivamente in rapida ritirata sotto il peso dei numeri e dei dati, oltrechè delle analisi e dei giudizi sommari degli esperti che bollarono la ricetta dell’aliquota unica come semplicemente irricevibile. Di fronte alla muraglia dei tecnici contabili, Bush ripiegò su di un progetto a metà strada tra la flat tax e l’attuale progressività dell’imposta sui redditi, uno schema ancor oggi in alcune occasioni distrattamente accennato e che prevede non il passaggio all’unicità dell’aliquota ma la riduzione a due soli scaglioni. Anche in questo caso, l’impatto sulla semplificazione risulterebbe indubbio, ma al contempo il principio della progressività della tassazione ne uscirebbe decisamente leso, almeno secondo quanto stabilisce la legislazione fiscale ordinaria statunitense. Bush comunque non si è affatto arreso, tanto che lo scorso inverno mentre era in visita in Estonia non ha potuto trattenersi dall’intrattenere il pubblico in un lungo, interminabile elogio delle proprietà e delle qualità economiche esibite nel corso dell’ultimo decennio dal partner baltico, riconducendo le ottime performance realizzate all’introduzione d’un modello perfetto di flat tax.

Da Bush a Rudy
Per effetto di una inspiegabile corrispondenza, l’attuale candidato repubblicano alla Presidenza, in realtà uno degli aspiranti tra i molti ancora in corsa, ovvero Rudolph Giuliani, anche detto Rudy, sembra oramai pronto per ingaggiare un suo slalom personale con la flat tax, proprio come già sperimentato dall’attuale inquilino della Casa Binaca, George Bush. In pratica, la primavera scorsa, dopo aver incassato l’appoggio e la sponsorizzazione del miliardario Steve Forbes, Rudy ha fatto il suo ingresso ufficiale nella corsa all’investitura presidenziale in campo repubblicano richiamando, anche se non in maniera perentoria, il suo impegno nel sostenere la riforma del fisco Usa in direzione dell’adozione della flat tax. Evento che lasciò stupiti in molti, dato che Giuliani non soltanto appartiene all’ala meno conservatrice e più sbilanciata sui capitoli del Welfare e dei servizi pubblici piuttosto che sulla bandiera della zero-tax, ma già nel lontano 1996, era stato proprio Rudy a criticare la proposta avanzata da Forbes, allora in corsa per le presidenziali, di aprire la strada alla flat tax all’interno del codice tributario statunitense, idea che Rudy aveva all’epoca bollato come piuttosto lontana dal senso reale del Paese. E così ecco che Giuliani ha dovuto in parte mutare il suo approccio alla flat tax, che da soluzione annunciata di tutti i mali fiscali del Paese è rientrata nel rango delle ricette possibili, anche se, ha chiarito Rudy " I don’t think a flat tax is realistic change for America ". Ovvero, "Non credo che la flat tax sia una soluzione realistica". Affermazione che ha rovesciato sul candidato una pioggia di critiche così riassumibili: come si fa a proporre ricette e soluzioni presentandosi come candidato alla Presidenza degli Stati Uniti etichettandole subito dopo come sostanzialmente "non realistiche"?. Chissà il quarto round tra Rudy e la flat tax quale esito avrà.
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