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Attualità

Il football britannico, vero marziano per il pianeta Fisco?

Dal 1990 a oggi ammontano a sei i miliardi di sterline che hanno lasciato i bilanci delle società e accolti dal Fisco di Sua Maestà

In realtà si tratta di una somma affatto trionfante, viste le dimensioni del pianeta football, e questo anche se la taglia media, relativa al gettito fiscale annuale trainato e originato dal calcio britannico, risulta essere più che duplicata rispetto ai primi Anni ’90. Il football, o soccer, come il rugby, il tennis, il golf e il cricket, ebbero origine all’interno dei confini della Gran Bretagna Vittoriana. In particolare, però, il calcio fiorì seguendo da presso il business britannico e le comunità degli espatriati inglesi in transito in altri Paesi. Per esempio, in Italia la prima squadra di calcio fu il Genova, ovvero, cricket e football club, fondato da espatriati inglesi attivi e residenti nella città. In Argentina invece risale addirittura al 1867, come estensione locale del cricket team di Buenos Aires. Ma scivolando dalla storia, comunque appassionata, alla contabilità dell’industria calcistica, si stima che il football professionistico britannico abbia garantito un gettito all’Erario in termini di tasse e di imposte di circa 600 milioni di sterline, ben 900 milioni di euro, soltanto nella stagione 2003/2004. Negli ultimi sedici anni, in pratica dal 1990 ad oggi, sarebbero stati almeno sei i miliardi di sterline che hanno lasciato i bilanci e le dichiarazioni dei redditi delle società calcistiche e dei loro noti impiegati per essere accolti e ospitati dal Fisco di Sua Maestà. In realtà, si tratta di una somma affatto trionfante, viste le dimensioni del pianeta football, e questo anche se la taglia media, relativa al gettito fiscale annuale trainato e originato dal calcio britannico, risulta essere più che duplicata rispetto ai primi anni ’90.

Dalla visione macro alla sensibilità micro dell’azienda calcio britannica

Lo stipendio medio di un calciatore che milita nella massima serie britannica è oramai vicino alle 800 mila sterline, circa 1,2 milioni di euro. Si tratta di una somma davvero muscolare che, nel corso degli ultimi anni, è cresciuta seguendo delle traiettorie sussultorie ma sempre orientate in un’unica direzione, verso l’alto. Infatti, rispetto agli stipendi medi percepiti nel 2000, l’impennata dei salari dei professionisti britannici che affollano i campetti mitici della Premier League è stata del 65 per cento. Alla faccia dei trend economici generali e delle ripartenze periodiche dell’inflazione. E questo, nonostante i club più noti della Premiership, abbiano continuato a tagliare i capitoli di spesa riservati a stipendi e salari dei giocatori. Nel 2004, per esempio, la taglia delle tasche dei calciatori è stata talmente modesta da far registrare il tasso di crescita minore mai ricordato negli ultimi vent’anni. Naturalmente, parliamo di stipendi difficilmente comparabili ai cosiddetti redditi medi, in altre parole, si discute dello stipendio di veri e propri miliardari, stipendiati a loro volta da altrettanti miliardari, ovvero, i padroni dei rispettivi team. Insomma, una questione da miliardari.

I primati del Chelsea, dal rettangolo verde ai bilanci
Ad ogni modo i club continuano a produrre e a generare entrate e guadagni. Il Manchester United, per esempio, ha garantito 300 milioni di sterline d’incassi e vendite nella stagione 2004/05. E’ davvero una cifra elevata se si considera che le altre squadre londinesi, Chelsea incluso, hanno messo insieme complessivamente una cifra non superiore di molto nel medesimo periodo. In pratica, transitando dagli incassi ai salari, tutti i grandi club li hanno frenati e sono colti in frenata piena. La media però segna un lieve segno di crescita continua a causa, soprattutto nell’ultimo triennio, della generosità estesa esibita dal Chelsea di Roman Abramovich. Infatti, il capitolo degli stipendi distribuiti dal Chelsea nel 2004 ha centrato quota 115 milioni di sterline, una sorta di record nella storia del football mondiale. Anche considerando stipendi e trasferimenti, il professionismo calcistico inglese è giunto ben oltre il miliardo di sterline, che costituisce l’ennesimo primato. Però, allontanando di nuovo il Chelsea dalle tavole statistiche, in realtà il 2004 resterebbe entro le soglie di refrigerio contabile che sembra oramai dominare l’industria del football, almeno nel suo Paese d’origine.

Gli incassi della Premiership
In realtà i costi alti sia in termini di acquisto che sul versante degli stipendi continueranno a mantenersi elevati. Però, si sta radicando un nuovo senso di realismo che legherà la contabilità individuale ai livelli delle prestazioni. Questo significa che nel medesimo club il terzino sinistro potrebbe guadagnare milioni di sterline mentre quello di destra si dovrà accontentare di centinaia di migliaia di sterline, o viceversa. In pratica la geoeconomia del campo cambia e si arricchisce di differenze. Insomma, forse è l’epoca dell’incedere della Realeconomy anche nel football? Chissà, nel frattempo la massima serie del calcio professionistico inglese nel 2004 ha incassato oltre 1,3 miliardi di sterline. Una somma che, dato il numero degli zeri coinvolti, non sembra abitare sul pianeta del relativismo dei numeri. Peraltro, le stime per il 2005 e per il 2006 sono segnalate anch’esse in rapida e significativa crescita. Dunque i britannici, nonostante l’incedere della televisione a pagamento, non sembrano disposti a mandare in pensione gli stadi tradizionali del football.
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