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Attualità

Imposta fissa di registro per il socio che continua l'impresa

Se l'assegnazione d'azienda comprende beni immobili, sono dovute le ipocatastali in misura proporzionale

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Con la risoluzione n. 47/E del 3 aprile, l'Agenzia delle entrate ha risolto un dubbio ricorrente relativo all'esatto trattamento fiscale da riservare, sotto il profilo delle imposte indirette, al trasferimento di beni aziendali da una società di persone al suo unico socio superstite, propenso a continuare l'attività d'impresa.

Prima di analizzare la fattispecie concreta presentata all'attenzione della direzione centrale Normativa e Contenzioso, è opportuno ricordare che, ai sensi dell'articolo 2272 del codice civile, una delle cause di scioglimento delle società è costituita dal venir meno della pluralità dei soci qualora nel termine di sei mesi essa non sia ricostituita.

Il caso pratico oggetto dell'interpello da cui è scaturita la risoluzione in esame, coinvolge una società in accomandita semplice formata da due soci e avente nel proprio patrimonio sociale un fabbricato, strumentale all'attività d'impresa, di categoria A/10 (uffici e studi privati).
Poiché il socio accomandante ha deciso di recedere dalla società e, invece, l'accomandatario ha manifestato l'intenzione di proseguire l'attività, mantenendo i beni aziendali, tra cui il citato fabbricato, essi hanno posto all'attenzione dell'Agenzia il quesito relativo al corretto regime tributario del passaggio dei beni dalla società di persone all'impresa individuale dell'ex accomandatario.

Per inquadrare il problema nella giusta ottica, l'Agenzia ha preferito distinguere le tre modalità con cui si può in concreto realizzare l'operazione sociale sopra illustrata e, una volta esclusa l'applicabilità dell'imposta sul valore aggiunto, in quanto i beni restano nell'attività d'impresa, ha chiarito in quali termini vada loro applicata l'imposta di registro.

Il primo tipo di atto considerato è la liquidazione della quota sociale a seguito di recesso di uno dei due soci, con conseguente risoluzione parziale del contratto sociale.
In tal caso, il socio che ha esercitato la facoltà di recesso ha diritto alla liquidazione della quota in danaro (articolo 2289 c.c.) o, se specificamente convenuto dalle parti, mediante attribuzione di beni mobili o immobili.
L'assegnazione di danaro al socio uscente è soggetta all'imposta di registro in misura fissa, pari a 168 euro, in virtù del combinato disposto delle lettere d), n. 2, e a), n. 5, dell'articolo 4 della tariffa parte prima del Dpr 26 aprile 1986, n. 131.
Invece, l'attribuzione di beni in luogo della quota - se rientrante nell'ambito di applicazione dell'Iva - è soggetta a Iva e sconta l'imposta di registro in misura fissa, nel rispetto del principio di alternatività tra le due imposte; viceversa, sconta l'imposta di registro in misura proporzionale.
Infine, l'assegnazione di azienda o di ramo d'azienda non configura un'operazione soggetta a Iva ed è soggetta a imposta di registro in misura fissa; se, però, nel compendio aziendale sono ricompresi beni immobili, il loro trasferimento è assoggettato alle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale al valore degli immobili.

La seconda modalità esaminata è costituita dalla cessione di quota da parte di uno dei due soci all'altro, cessione che risulta soggetta alla tassa sui contratti di borsa (articolo 1, comma 3, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3278). Nella risoluzione in commento, è stato precisato che la cessione di quota non determina di per sé lo scioglimento della società, che, invece, è cagionato dal fatto che nei sei mesi successivi non si ricostituisce la pluralità dei soci, necessaria per l'esistenza stessa della società.
Inoltre, mentre la cessione di quota non influisce sul patrimonio sociale, che resta della medesima entità, il recesso lo fa diminuire, perché viene depauperato della quota che viene liquidata al socio uscente.
La cessione di quota non integra neanche gli estremi di una cessione d'azienda, perché la titolarità dei beni resta in capo alla società.
Pertanto, in questa fattispecie, non ci sono atti di disposizione patrimoniale tassabili perché i beni aziendali rimangono nella sfera proprietaria della società.

Il terzo tipo di operazione societaria considerata nella risoluzione n. 47/E è la continuazione dell'attività imprenditoriale in forma individuale da parte del socio superstite, conseguente allo scioglimento della società per mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi.
Ed è questa la fattispecie in cui si possono far rientrare gli atti posti in essere dagli interpellanti: in questo modo, si realizza una trasformazione della società in impresa individuale, che non è sicuramente una trasformazione in senso tecnico, perché una persona giuridica non può continuare il perseguimento dello scopo sociale attraverso una persona fisica, come affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 1593 del 6 febbraio 2002.
Quindi, anche l'Agenzia delle entrate, in linea con la citata sentenza della Suprema corte, ha ritenuto che, affinché l'impresa continui in forma individuale, siano comunque necessari lo scioglimento e la liquidazione della società.
In base all'articolo 2311 c.c., si dovrà effettuare la liquidazione sociale, a seguito della quale il patrimonio sociale residuo sarà assegnato al socio superstite, e, ai sensi dell'articolo 2312 c.c., sarà sancita l'estinzione della società.
L'assegnazione del patrimonio residuo al socio superstite, in quanto ultimo atto di amministrazione della società ex articolo 2282 c.c., sarà soggetta a imposta di registro in misura fissa (articolo 4, lettera d), della tariffa parte prima del citato Dpr n. 131/86, anche se coinvolgerà l'intero complesso dei beni aziendali, che saranno poi utilizzati dal socio superstite nella sua impresa individuale.

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