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Attualità

Imposta di successione, definibili le liti pendenti

Con l'avviso di liquidazione l'ufficio esercita la pretesa tributaria: va qualificato come atto di imposizione

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Con la sentenza del 10 febbraio 2006, n. 2962, la Corte di cassazione ha ulteriormente specificato l'ambito di applicazione dell'articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, concernente la chiusura delle liti fiscali pendenti.
Con la sentenza de qua, i giudici di legittimità hanno, infatti, ritenuto suscettibile di sanatoria, ai sensi del citato articolo 16, la controversia fiscale instaurata mediante impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione e di irrogazione di sanzioni.
Il parere contrario, espresso dall'Amministrazione finanziaria, si fonda sulla considerazione che l'avviso di liquidazione dell'imposta di successione non sarebbe sussumibile nella categoria degli "atti impositivi" di cui all'articolo 16, comma 3, lettera a), essendo finalizzato alla mera liquidazione e riscossione del tributo e degli accessori, calcolati senza lo svolgimento di attività accertativa o rettificativa.

La Corte ha motivato l'accoglimento del ricorso, proposto dal contribuente, argomentando in primis che l'avviso di liquidazione dell'imposta di successione, contenendo anche un provvedimento di irrogazione di sanzioni, rientra a pieno titolo fra gli atti che possono formare oggetto di controversie fiscali definibili in forma agevolata.
La Corte, in tal senso, si è già espressa con le sentenze n. 19507 del 2004 e n. 12147 del 2004.
Inoltre, i giudici di legittimità osservano che l'avviso di liquidazione dell'imposta di successione costituisce, nella fattispecie, l'unico atto con il quale l'Amministrazione esercita la pretesa tributaria. Esso, pertanto, deve considerarsi, a tutti gli effetti, atto impositivo e, come tale, rientrante nell'ambito applicativo della disposizione di cui all'articolo 16 della legge 289/2002.

Nel caso in esame, peraltro, il relictum accettato dagli eredi, con beneficio di inventario, non comprendeva alcun bene. L'ufficio aveva rettificato la denunzia presentata - incompleta ai sensi dell'articolo 32, comma 2, del Dlgs n. 346/1990 - perché non comprendente i beni alienati dal de cuius negli ultimi sei mesi di vita, provvedendo contestualmente alla liquidazione della maggiore imposta.
La Corte sottolinea che dal concetto normativo di lite pendente e quindi dalla possibilità di definizione agevolata, ai sensi dell'articolo 16, comma 3, lettera a), della legge n. 289/2002, devono escludersi solo le controversie aventi a oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, diversi, pertanto, da quello in esame.

La sentenza in commento può considerarsi espressiva di un orientamento giurisprudenziale volto a interpretare estensivamente la disposizione in discussione, dal momento che prospetta una soluzione, concernente l'imposta di successione, analoga a quella già espressa dalla medesima Cassazione con riferimento all'Invim e all'imposta di registro.
Sovvengono, a tal proposito, le sentenze del 21/2/2005, n. 3427, e del 22/2/2005, n. 3569.
Con tali pronunce, i giudici di legittimità hanno ritenuto, infatti, che, in tema di condono fiscale ex articolo 16 della legge n. 289 del 2002, la controversia avente a oggetto l'avviso di liquidazione con il quale l'ufficio abbia chiesto il pagamento dell'imposta di registro e dell'Invim, in relazione alla registrazione di una sentenza, rientra nell'ambito applicativo della norma citata, poiché il detto avviso, costituendo l'unico atto con il quale l'Amministrazione esercita la pretesa tributaria, deve essere qualificato, a prescindere dalla sua formale definizione, come atto di imposizione, ai sensi e per gli effetti di cui al comma 3, lettera a), del menzionato articolo 16.

Si osserva, peraltro, che è la stessa tecnica di redazione della norma in commento a legittimare la soluzione ermeneutica sopra citata.
Infatti, il legislatore del condono definisce per lite pendente quella "...avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione...".
La formula residuale "ogni altro atto" e il termine concettualmente ampio di "imposizione" indicano, chiaramente, la volontà di non circoscrivere l'applicazione del condono a un numero chiuso di atti nominati e, in particolare, ai soli avvisi di accertamento dai quali scaturisce una pretesa a un supplemento di imposta rispetto a quanto già versato.
Se così fosse, non avrebbe avuto senso contemplare, oltre agli avvisi di accertamento, anche ogni altro "atto di imposizione".

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