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Attualità

Inammissibilità della domanda per lacuna probatoria

Parere n. 39 deliberato il 14 ottobre 2005

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L'operazione societaria di cui si occupa il Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, nella pronuncia in commento, si desume con sufficiente chiarezza dalla rappresentazione resa dal contribuente, il quale mostra di assolvere pienamente all'onere narrativo ma non alla dovizia probatoria, che, essendo imposta dalla normativa regolamentare a pena di inammissibilità, non può, tuttavia, essere dall'organo medesimo accolta meramente in base a deduzioni di "due diligence" non comprovabili.
In occasioni di questo genere, il dilemma sulla natura della decisione da adottare viene risolto facendo appello al buon senso.

A otto anni dall'esordio dell'interpello previsto dall'articolo 21 della legge n. 413/91, la giurisprudenza beneficia di un orientamento fisiologicamente consolidato.
Quando l'esposizione descrittiva permette una possibilità di penetrabilità nel merito tale da far maturare, seppure "in nuce", un convincimento che potrà essere successivamente svezzato con i dovuti apporti circostanziali, il Comitato opta per l'attivazione di una fase dialettica con il contribuente attraverso la procedura istruttoria.
In tal caso, i termini perentori di silenzio-assenso, propri dell'interpello previsto dall'articolo 21 della legge n. 413/91, vengono interrotti in attesa che il contribuente, destinatario dell'informativa notificatagli dall'ufficio di segreteria, colmi la lacuna probatoria rilevata dal Consesso.
Viceversa, qualora la rappresentazione sia talmente essenziale da apparire quasi criptica ovvero le finalità non siano comprensibili se non con una nutrita dose di ipotesi (la qual cosa configgerebbe con il senso e la portata del parere da emettere), il Comitato propende per un giudizio rigorosamente cassatorio quale quello in argomento, limitandosi a evidenziare, in via del tutto incidentale, eventuali ragioni di merito che congiurerebbero anch'esse per una decisione in tal senso.

Senza andare troppo indietro nel tempo basti citare, come esempi eloquenti, le pronunce più recenti (parere n. 7/2004 e i pareri n. 10 e nn. 17-18/2005), con le quali il Comitato, appellandosi alla norma regolamentare dell'articolo 5, comma 2, del decreto ministeriale n. 194 del 13 giugno 1997, ha ritenuto inammissibili le richieste inficiate da una lacunosa e imprecisa rappresentazione della situazione giuridico-economica in essere, di quella che si sarebbe voluto realizzare, nonché dei fatti, atti e negozi giuridici dei quali l'operazione oggetto d'interpello dovrebbe essere costituita, delle finalità perseguite e dei riflessi di ordine tributario.

L'operazione prospettata è una scissione parziale non proporzionale.
La società istante, la cui compagine sociale è attualmente formata da due soci, ha svolto l'attività di falegnameria fino al 1999, anno in cui ha concesso in affitto a terzi la propria azienda e, successivamente, nel corso del 2003, ha ceduto l'azienda medesima e, da tale data, si è limitata a svolgere l'attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare.
Recentemente, tra i due soci sono emerse divergenze in ordine alla gestione futura della società, tali da pregiudicare la continuazione dello stesso rapporto societario, pur permanendo in capo ai due soci l'intenzione di proseguire nella gestione del patrimonio immobiliare di propria spettanza.
Pertanto, al fine di consentire agli stessi il proseguimento dell'attività di gestione degli immobili, viene prospettata un'operazione di scissione parziale non proporzionale, con la costituzione di una società beneficiaria in nome collettivo.
La predetta operazione di scissione sarebbe preceduta dalla donazione di una quota di partecipazione al capitale sociale (pari all'1 per cento) da parte dei soci ai rispettivi coniugi.
Tale donazione viene attuata per evitare che, a seguito della scissione medesima, si verifichi, sia nella società scissa che nella beneficiaria, la presenza di un socio unico, circostanza questa che integra una causa di scioglimento della società stessa, ai sensi dell'articolo 2272 del codice civile.

A seguito dell' operazione di scissione parziale non proporzionale si verificherebbe:

  • l'attribuzione alla società beneficiaria di nuova costituzione di un numero di unità immobiliari, che in base a una perizia asseverata, dovrebbero risultare di valore sostanzialmente equivalente alle unità immobiliari di spettanza della società scissa
  • l'assegnazione a uno dei rami familiari dell'intero capitale sociale della società beneficiaria
  • l'assegnazione al secondo ramo familiare dell'intero capitale sociale della società scissa.

La realizzazione della scissione consentirebbe a ciascun nucleo familiare di divenire titolare dell'intero capitale sociale di una delle due società e, conseguentemente, di avere la possibilità di determinare in piena autonomia le linee gestionali del proprio patrimonio, superando, così, le attuali divergenze esistenti tra i soci della società istante sull'attività commerciale di gestione immobiliare.

Ad avviso della società istante, attraverso l'operazione prospettata, non verrebbe conseguito alcun vantaggio fiscale indebito, in quanto l'operazione di scissione comporterebbe il passaggio degli immobili alla beneficiaria a valori storici e con attribuzione alla beneficiaria stessa di elementi patrimoniali. il cui valore corrente dovrà risultare equivalente a quello degli elementi patrimoniali rimasti nella società scissa.
Agendo nella maniera rappresentata non verrebbe effettuato alcun trasferimento di beni o valori da un ramo familiare all'altro e la prospettata operazione di scissione non sottrarrebbe gli immobili al regime di impresa cui sono attualmente soggetti, mantenendo, gli stessi, la relativa latenza d'imposta.

In rigorosa applicazione della normativa fiscale, va riconosciuto che la scissione di società è un'operazione di per sé fiscalmente neutrale, ancorché posta in essere con criterio non proporzionale, in conseguenza dell'abrogazione del comma 16 dell'articolo 123-bis del Tuir in vigore fino al 31/12/2003.
Perché l'operazione di scissione rientri nelle previsioni della norma antielusiva contenuta nell'articolo 37-bis del Dpr 600/73, è necessario che si verifichino simultaneamente tre condizioni: l'assenza di valide ragioni economiche, l'aggiramento di un obbligo o divieto previsto dall'ordinamento e il risparmio di imposta conseguente.
L'articolo 37-bis del Dpr 600/73 (accreditato nella letteratura in materia come clausola antielusiva a vocazione generale), al comma 1, prevede, infatti, che sono "inopponibili all'Amministrazione Finanziaria gli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni d'imposta o rimborsi altrimenti indebiti".
In coerenza con la detta previsione, il legislatore, nel successivo comma 2 del citato articolo, ha previsto che "l'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 9, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione".
Le operazioni di natura "sospetta" sono quelle indicate nel comma 3 dell'articolo 37-bis - tra esse figura, per l'appunto, la scissione societaria - e a esse si circoscrive la competenza attribuita al Comitato consultivo dalla normativa sul ruling antielusivo (articolo 21 della legge n. 413/91 e i regolamenti attuativi di cui ai decreti ministeriali n. 194 e n. 195 del 1997) come organo di secondo grado, chiamato in causa quando l'Agenzia delle entrate non fornisca nei termini (60 giorni) il proprio parere o, qualora provveda, non soddisfi le aspettative del contribuente.

Con il parere emesso, il Comitato consultivo mostra di privilegiare la sostanza rispetto alla forma, manifestando talune deduzioni nel merito che vengono circostanziate nelle motivazioni.
La risoluzione dei rapporti conflittuali all'interno della compagine societaria rappresentano, in linea generale, una ragione economica - alla luce di quanto riportato nella sentenza della Corte di giustizia Ce del 17 luglio 1997, n. C-28/95 e nella Norma di comportamento n. 147 dall'Associazione dottori commercialisti di Milano - apprezzabile nelle operazioni di scissione se funge da antidoto alla perdita di reddito da parte della società e sempre che sia rispondente agli interessi della società e non dei soci.

Nel caso di specie, tuttavia, la società istante, dal 2003, non esercita più un'attività industriale, limitandosi alla semplice gestione del patrimonio immobiliare, per cui lo scopo della scissione parziale e non proporzionale sembra essere non tanto quello della continuazione dell'attività, quanto piuttosto quello della divisione tra i soci del patrimonio sociale.
Le ragioni sottese alla scissione appaiono essere, quindi, dei soci e non della società, anche considerando il fatto che gli immobili che verrebbero ripartiti tra le due società (scissa e beneficiaria) appaiono di non rilevante valore economico e non idonei allo sviluppo di una particolare attività immobiliare, diversa da quella di mera gestione.

In accordo con la propria tesi interpretativa (il Comitato consultivo, nel parere n. 29/1999, aveva sostenuto che il fine della divisione dei beni sociali tra i soci è ordinariamente raggiungibile con la liquidazione della società e l'assegnazione dei beni ai soci stessi), trova asilo il sospetto che, in sede di liquidazione della società, gli immobili dalla stessa posseduti vengano ceduti a terzi o assegnati ai soci, con emersione e conseguente tassazione delle plusvalenze sui beni stessi (e in tal senso è opportuno evocare anche due recenti pareri, n. 10 e n. 18 del 2005.

L'operazione di scissione descritta, appare, quindi, volta a dividere il patrimonio immobiliare tra i due soci, senza procedere alla liquidazione della società, al fine di evitare la tassazione dei plusvalori insiti negli immobili della società (detto in inciso la predetta finalità è resa ancor più evidente dalla donazione dell'1 per cento del capitale sociale al coniuge di ciascuno dei due soci, donazione che verrebbe effettuata soltanto per evitare che, a seguito della scissione, le due società in nome collettivo (scissa e beneficiaria) restino con un unico socio e debbano conseguentemente sciogliersi).
La liquidazione comporterebbe, dunque, proprio quella tassazione delle plusvalenze sui beni immobili alla quale l'istante vorrebbe sottrarsi ponendo in essere una scissione parziale non proporzionale.

L'indebito risparmio di imposta che verrebbe conseguito con la prospettata operazione di scissione consiste, a parere della scrivente, nel rinvio dell'imposizione sulle plusvalenze latenti relative ai beni immobili posseduti dalla società, aggirando le disposizioni che prevedono la tassazione delle plusvalenze emerse in sede di liquidazione della società.

Per le considerazioni che precedono, il Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, a causa della lacuna probatoria, esprime parere nel senso di inammissibilità della domanda, evidenziando, nel contempo, che l'operazione di scissione, allo stato e nel merito, presenta profili di elusività, non essendo sorretta da valide ragioni economiche e consentendo un risparmio di imposta indebito, ottenuto attraverso un rinvio ingiustificato della tassazione.

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