Il quadro normativo e gli orientamenti giurisprudenziali
La condanna alle spese di giudizio costituisce un tradizionale principio civilistico contemplato negli articoli 91 e 97 del codice di rito. Esso rappresenta una specificazione del più generale principio della responsabilità e segue, generalmente, la soccombenza di una delle parti in giudizio(1), accolto, con notevole innovazione rispetto al previgente regime esistente in materia(2), anche nell'ambito del contenzioso tributario, nell'articolo 15 del Dlgs n. 546/1992, il quale prevede la condanna del soccombente al rimborso delle spese di giudizio, così come liquidate in sentenza e salva sempre la possibilità di compensazione totale o parziale, ai sensi del codice di rito civile nei casi di soccombenza reciproca o per altri giusti motivi.
Il codice prevede due distinte modalità - tra loro alternative - per l'assolvimento dell'obbligo di rimborso delle spese giudiziali:
- rimborso diretto, da parte della soccombente, delle spese sostenute dalla parte vittoriosa (articolo 91, comma1, cpc)
- a seguito di specifica richiesta da parte del difensore, distrazione in favore del legale della parte vittoriosa delle spese e degli onorari (articolo 93, comma 1, cpc "...Il difensore con procura può chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese, distragga in favore suo e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipate").
Più problematica è, invece, la questione nella seconda ipotesi, ossia nel caso in cui sia direttamente il legale distrattatario a ricevere il pagamento dalla parte soccombente.
In tal caso, il pagamento avverrebbe in via indiretta, non provenendo direttamente dal proprio cliente/committente, ma da un soggetto terzo.
Su tale quadro, la giurisprudenza di legittimità è stata in un primo momento orientata nel senso di escludere l'obbligo di ritenuta in presenza di un rapporto indiretto tra il soggetto che erogava il compenso e quello che lo riceveva, salvo poi mutare orientamento.
Infatti, la stessa Cassazione ha sostenuto che l'obbligo di prelievo della ritenuta alla fonte sussistesse anche al di fuori di un rapporto sinallagmatico riconoscendo, quindi, che l'obbligo di effettuazione della ritenuta esiste anche nella ipotesi in cui un terzo soggetto estraneo al rapporto cliente-legale eroghi il pagamento al legale(3).
Il caso affrontato nella risoluzione dell'Agenzia delle entrate
Con la risoluzione n. 106 del 19 settembre 2006, l'Agenzia delle entrate ha esaminato la questione relativa alla ritenuta effettuata ex articolo 25, Dpr n. 600/73, da una società - soccombente in un giudizio civile - sul compenso erogato all'avvocato difensore di se medesimo, ex articolo 86 cpc - controparte nel medesimo giudizio.
Secondo la risoluzione su citata "...le somme liquidate a titolo di rifusione delle spese di giudizio (comprensive degli onorari professionali) all'avvocato che ha agito in base all'art. 86 del c.p.c., mantengono la stessa qualificazione e lo stesso trattamento fiscale propri delle somme corrisposte normalmente dalla parte soccombente direttamente all'avvocato della parte vittoriosa che ha ottenuto dal giudice la distrazione delle spese processuali a suo diretto favore (...) La parte soccombente che paga i suddetti compensi professionali, nella sua qualità di sostituto d'imposta, deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto del 20%, ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. 600 del 1973"(4).
Infatti, non è possibile che la medesima persona possa assumere la veste di parte del giudizio e di avvocato fuori dall'ipotesi contemplata dall'articolo 86 del Codice di procedura civile. Diversamente, dovrebbe chiedere l'assistenza di un altro legale.
Né, tantomento, tale situazione è paragonabile a quella prevista dal comma 1 dell'articolo 82, cpc, che contempla la possibilità di stare in giudizio innanzi al Giudice di pace personalmente nelle cause il cui valore non ecceda i 516,46 euro. Queste due fattispecie si differenziano sia quanto ai presupposti che quanto agli effetti, sia dal punto di vista civile che fiscale.
A tal riguardo, la stessa Corte di cassazione ha statuito, circa la liquidazione degli onorari, che "...nei giudizi in cui è consentito alla parte la difesa personale (e cioè nel procedimento dinanzi al Giudice di pace, ex art. 82 c.p.c., ove il valore della lite sia inferiore al milione di lire, ovvero, senza limite né per il giudice adito né per valore, in caso di opposizione a sanzione amministrativa ex art. 23 della legge n. 689 del 1981), è onere della parte stessa, che riveste anche la qualità di avvocato, specificare a che titolo intenda partecipare al processo, poiché (a prescindere dal profilo fiscale), mentre la parte che sta in giudizio personalmente non può chiedere il rimborso delle spese vive sopportate, il legale, ove manifesti, appunto, l'intenzione di operare come difensore di sé medesimo ex art. 86 c.p.c., ha diritto alla liquidazione delle spese secondo la tariffa professionale"(5).
Dal punto di vista fiscale, invece, un eventuale rimborso spese effettuato alla parte vittoriosa che avesse agito come privato cittadino (ex articolo 82, comma 1, cpc) non avrebbe alcuna rilevanza reddituale per via della natura risarcitoria del rimborso.
La risoluzione 106/2006 ha, in ultimo, precisato, che "nel caso in cui l'avvocato esercita la professione come membro di uno studio professionale, le somme liquidate in sentenza per l'attività professionale resa e le relative ritenute, dovranno essere imputate all'associazione professionale".
NOTE
1. La condanna del soccombente alla rifusione delle spese di giudizio, pur essendo un principio a carattere generale, non ha comunque portata assoluta; non sempre alla soccombenza segue la condanna alle spese. Il giudice, infatti, talvolta può per giusti motivi (ex articolo 92, comma 2, cpc) compensare le spese tra tutte le parti in giudizio senza riguardo alla soccombenza. Altre deroghe a volte sono stabilite con apposite previsioni normative in presenza di fatti o elementi che giustifichino l'eccezione.
2. Si veda, a tal riguardo, l'articolo 39 del Dpr n. 636 del 26 ottobre 1972.
3. Quanto al primo orientamento, si veda Cassazione, sentenza n. 1774/1979; per l'orientamento consolidato, si vedano invece Cassazione, sentenze 7879/91 e 9332/96.
4. Tale orientamento è conforme a quanto riportato nella circolare n. 203/E del 6 dicembre 1994.
5. Cassazione, sentenza n. 12680/2004; in tal senso v anche Cassazione, sentenza n. 691/94.