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Attualità

L'ente ecclesiastico non è Onlus di diritto

Per accedere al trattamento tributario di favore vanno verificate le finalità perseguite

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Gli enti ecclesiastici costituiscono una vasta categoria, propria dell'ordinamento statale e non canonico, in cui rientrano una serie di istituti religiosi variamente denominati, costituenti espressione del vasto fenomeno associativo costituzionalmente riconosciuto e normato dagli articoli 18 e seguenti della Costituzione.
In particolare, l'articolo 19 riconosce la libertà di professare "la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume".
Si può considerare inoltre pacifica l'inclusione nel genus degli enti ecclesiastici, degli enti di culto acattolico, come è agevole desumere dal combinato disposto degli articoli 3 e 8 della nostra Carta, che scolpiscono rispettivamente il principio di uguaglianza e, come suo corollario, l'eguaglianza di tutte le confessioni religiose, che trova inoltre espressione nella libertà di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastanti con l'ordinamento giuridico italiano.

All'inquadramento nella tipologia degli enti ecclesiastici contribuisce il dettato normativo dell'articolo 2 della legge 20 maggio 1985, n. 222, che ricorre a requisiti soggettivi (appartenenza degli enti alla costituzione gerarchica della Chiesa, seminari, istituti religiosi), ovvero oggettivi (il riferimento è al riscontro, di volta in volta, sul fine di religione o di culto che deve caratterizzare gli enti, che è diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico).

L'articolo 16 della medesima legge individua l'ambito di applicazione delle attività di religione o di culto; la personalità giuridica è attribuita agli enti stessi tramite le procedure previste dagli articoli 1 e 22 della legge 222/85, rispettivamente riguardanti gli enti aventi fini di religione o di culto tout court e l'Istituto centrale e gli altri istituti per il sostentamento del clero; nel primo caso, il riconoscimento come persone giuridiche agli effetti civili avviene a mezzo di decreto del presidente della Repubblica, nel secondo tramite decreto del ministro dell'Interno.
Consequenziale al riconoscimento della personalità giuridica è la successiva iscrizione nel registro delle persone giuridiche, secondo i dettami dell'articolo 5.

Non poco problematico è risultato l'inquadramento giuridico degli enti ecclesiastici, da parte della dottrina e della giurisprudenza, che hanno ricondotto questi ultimi, ora agli enti pubblici, ora a quelli privati, e, talvolta, non disdegnando di contestare tale inquadramento, hanno ritenuto più opportuno farli rientrare in un tertium genus distinto dai precedenti, sulla scorta della loro peculiarità.

Chi propende per l'assimilazione agli enti privati fa leva sulla previsione dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, sulla discrezionalità propria del procedimento di riconoscimento, e sulla compatibilità tra esercizio di attività commerciale e attività lato sensu religiosa (sulle problematiche riguardanti la natura commerciale delle attività svolte da un ente ecclesiastico si rinvia alle considerazioni svolte in "Problematiche Ici - Ambito applicativo delle esenzioni tra orientamento giurisprudenziale e prospettive de iure condendo" su FISCOoggi del 22 giugno 2005).
Quanto ai parametri occorrenti all'individuazione della commercialità dell'attività svolta dagli enti ecclesiastici, ci si è riferiti talvolta alle previsioni contenute nello statuto dell'ente, in mancanza delle quali viene in soccorso il criterio fattuale, secondo il quale, anche in mancanza di previsioni statutarie, può essere individuata la natura commerciale dell'attività di fatto da questi esercitata.

L'adesione alla tesi della assimilazione agli enti pubblici trova fondamento, viceversa, nell'intervento dello Stato nel procedimento di riconoscimento della personalità giuridica e nell'interesse lato sensu pubblico allo svolgimento delle attività di religione o di culto.
La disposizione normativa di raccordo (tra l'inquadramento giuridico degli enti ecclesiastici e la disciplina fiscale) si può rinvenire nell'articolo 20 della Costituzione, ai sensi del quale "il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività", e quindi indiretta origine della normativa di favore prevista per i suddetti enti.
Al riguardo, l'articolo 7 della legge 121/85 equipara agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, includendovi le attività strumentali al raggiungimento di dette finalità, a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione.
Tale equiparazione, secondo quanto affermato in uno studio del Consiglio nazionale del notariato (n. 864 bis, approvato il 1° luglio 1999), è valida in base a una prima opzione ermeneutica, soltanto per gli enti ecclesiastici che siano regolamentati in base a leggi negoziate tra Stato e confessioni religiose o che abbiano almeno ottenuto il riconoscimento agli effetti civili; secondo una prospettiva interpretativa più ampia, invece, opera per tutti gli enti ecclesiastici, prescindendosi dal previo riconoscimento dello Stato.

Il richiamo alle attività di beneficenza ed istruzione comporta un approfondimento sulla portata dell'articolo 10 del Dlgs 460/97, il cui intento di rendere organica la disciplina tributaria concernente gli enti non commerciali e le Onlus emerge dal tenore letterale della rubrica "Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale".
Nel corpus della citata disposizione normativa del legislatore delegato, si procede a una sostanziale tripartizione delle tipologie di Onlus:

  1. nel comma 1, sono indicati gli enti che hanno facoltà di acquisire la qualifica di Onlus, a condizione che ricorrano le condizioni richieste espressamente dalla legge
  2. nel comma 8, sono elencati gli enti considerati Onlus di diritto, vale a dire gli organismi di volontariato di cui alla legge 266/91, le organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della legge 49/87 e le cooperative sociali e i consorzi di cui alla legge 381/91
  3. il comma 10, invece, adottando una tecnica di legiferazione opposta a quella del precedente comma 8, procede a una elencazione tassativa di quegli enti che non possono essere considerati in ogni caso Onlus, in essa includendo gli enti pubblici, le società commerciali diverse dalle cooperative, gli enti conferenti di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le associazioni di categoria.

Emblematica, risulta in questo contesto, la collocazione riservata dal legislatore agli enti ecclesiastici - inseriti nel comma 9 - che, nel rispetto di alcune condizioni, sono considerati Onlus, limitatamente all'esercizio delle attività elencate alla lettera a) del comma 1, tale previsione raccordandosi con l'equiparazione posta in essere dall'articolo 7 della legge 121/85 (infatti, tra le attività elencate alla lettera a) del comma 1, figurano quelle svolte nei settori della beneficenza e dell'istruzione).
Gli enti in questione possono accedere al regime tributario di favore previsto per le Onlus a condizione che nell'esercizio delle attività proprie della lettera a) del comma 1, secondo quanto esplicitato nella circolare ministeriale n. 168/98:

  • siano tenute separatamente le scritture contabili previste all'articolo 20-bis del Dpr 600/73
  • siano rispettati i requisiti statutari e i vincoli sostanziali imposti dall'articolo 10 del Dlgs 460/97, ferme restando le deroghe previste dal comma 7 dello stesso articolo 10, nonché l'onere della comunicazione prescritto dal successivo articolo 11.

Gli enti ecclesiastici, quindi, non possono essere considerati Onlus di diritto, come è agevole desumere dalla mancata inclusione degli stessi nell'elenco, da ritenere tassativo, di cui al comma 8, in ossequio alla ratio legis secondo la quale la qualifica di ente ecclesiastico non può da sola essere condizione sufficiente ad ammettere che l'ente operi nel settore della solidarietà sociale, assecondando l'orientamento il quale, non dando rilevanza alla qualificazione giuridica dell'ente, si sofferma sulle finalità dallo stesso perseguite, nel rispetto delle altre condizioni previste dalla legge.

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