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Attualità

Nuovi rimedi a vecchi mali: il sequestro preventivo per equivalente

Dalla Procura di Trento, la prima applicazione della norma innovativa. Intervista al Pm Paolo Storari

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Sequestro preventivo per equivalente: la Procura di Trento applica per la prima volta in Italia l'articolo 11 della legge 146/2006, per combattere un reato tributario vecchio quanto il mondo, l'interposizione fittizia di società di comodo con sede in Liechtenstein. Dal Pm Paolo Storari, la ricostruzione della logica di un provvedimento che, dal gennaio 2007, ha aperto la strada a una nuova strategia investigativa, ha riportato all'Erario circa 5 milioni di euro di evasione fiscale e ha fatto concludere i processi a costo zero per lo Stato.

 

 

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Il punto di riferimento costante è sempre il titolo II del Dlgs 74/2000, la base normativa è questa. Su questa base ho creduto possibile edificare un castello giudiziario che ha nell'articolo 322-ter del Codice penale (confisca, ndr) la colonna portante, mentre nell'articolo 11 delle legge 146/2006 (ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente, ndr) un pilastro fondamentale per poter costruire inchieste di respiro internazionale, oltre i confini italiani. Da ultimo, si è aggiunto dal primo gennaio 2008, l'articolo 1, comma 143, della Finanziaria; ma poi dirò il perché questa norma è un supporto fragile al quale è meglio non appoggiarsi, almeno da qui a un anno. E' chiaro, stiamo parlando di reati tributari e di uno strumento legislativo, il sequestro preventivo per equivalente, che - questa è la mia speranza - può rompere in maniera decisa e decisiva le frodi fiscali in campo Iva. Dure a morire, complice il Liechtenstein.

Partiamo dalla fine: allo stato attuale quante inchieste su frodi fiscali vedono l'applicazione del sequestro preventivo da parte della Procura di Trento?
La Procura di Trento ha applicato finora la misura cautelare dell'articolo 11 in sei casi differenti per i reati transnazionali previsti dall'articolo 3 della stessa legge.

Quando nasce il primo caso?
Il primo caso nasce con il mio provvedimento di richiesta di sequestro preventivo al Gip del 18 gennaio 2007. L'innesco è venuto dalla Procura di Bolzano che fa arrivare sulla mia scrivania una segnalazione a carico di un noto imprenditore trentino. Sulla scia di questo primo caso eclatante, che ha fatto notizia sia per l'innovatività dell'applicazione normativa sia per gli importi sequestrati (e poi effettivamente recuperati dal fisco), abbiamo messo in piedi un filone investigativo che oggi riguarda anche grandi imprenditori del settore auto e del settore carni macchiatisi di una tipica frode Iva carosello.
Ma lasciamo stare casi giudiziari ancora in corso e torniamo al capostipite di questo genere di inchieste. Quello del gennaio 2007 era un caso di frode fiscale secca. In quelle circostanze, o applicavo l'articolo 3 della legge 146/2006 oppure non avrei potuto fare nient'altro. Ecco l'importanza della legge 146. Grazie all'articolo 3, ho potuto definire i contorni e i contenuti di un reato tributario transnazionale che si dispiegava in più Paesi europei secondo quattro schemi differenti.
Primo schema: ricavi allocati in Liechtenstein. Un soggetto, fornitore italiano, non vende direttamente a cliente tedesco ma a un altro soggetto, società in Liechtenstein, creata ad hoc da fornitore italiano. La prima vendita frutta ricavi irrisori: il fisco italiano tassa solo questi ricavi.
Secondo schema: commissioni allocate in Liechtenstein. Fornitore italiano vende direttamente a cliente tedesco, quasi sotto costo. Cliente tedesco riceve però poi una fattura da società in Liechtenstein per provvigioni dovute a intermediazione in realtà inesistenti. Ancora una volta, reddito imponibile sottratto al fisco italiano e allocato in Liechtenstein.
Terzo schema: operazioni inesistenti. Analogo al precedente solo che ora muta la causale della (falsa) fattura. Società in Liechtenstein non fattura più costi per intermediazione ma per operazioni di trasformazione. In ogni caso, intermediazioni o trasformazioni che siano, si tratta di operazioni mai effettuate. Ancora una volta, nessuna ragione commerciale, solo ragioni in frode alla legge.
Quarto schema: aggiungi un posto a tavola… Si perché, mentre fornitore italiano continua ad allocare la parte rilevante dei suoi ricavi in Liechtenstein, un altro "amico del giro", società svizzera partecipa al banchetto. A che pro un quarto soggetto? Ovvio, l'ingresso in campo di società svizzera garantisce che il gioco diventi sempre più difficile da scoprire per l'Amministrazione finanziaria. E la sua intermediazione non alza il prezzo di vendita: cliente tedesco continua a pagare la merce sempre a meno rispetto al prezzo medio di mercato.

Il punto sulle rogatorie internazionali. Lei appena ricevuta segnalazione dalla Procura di Bolzano avvia una rogatoria in Germania. Immaginiamo che ci sia stata una piena collaborazione istituzionale ma, in particolare, nei suoi colleghi tedeschi ha trovato una omogenea definizione del caso come un caso di "reato transnazionale"?
No, in Germania ho seguito il filo delle fatture per commissione (schema 2), non potendo far nulla direttamente con il Liechtenstein. Però attenzione, le rogatorie in Germania le ho fatte semplicemente come richiesta di assistenza giudiziaria al di là del fatto che io stessi seguendo le tracce di un reato transnazionale. Rispetto agli organi giudiziari tedeschi ho seguito le vie ordinarie. Non ho avuto bisogno neanche di informarmi se poi la Germania avesse effettivamente ratificato la Convezione Onu (Convenzione e Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale adottati dall'Assemblea generale il 15/11/2000 e il 31/5/2001. La legge 146/2006 è la ratifica in Italia di questi protocolli, ndr).

Il gruppo che metteva in atto la frode è stato ricondotto senza particolare difficoltà alla definizione di gruppo criminale ex art 3…, ma ha dovuto individuare per quello stesso gruppo anche un carattere di "stabile organizzazione"?
No, il concetto di non-estemporaneità del gruppo criminale non significa che lo stesso gruppo debba essere una "stabile organizzazione". Il gruppo criminale non è necessario che sia "stabile" nel senso proprio di chi si occupa di fiscalità internazionale. I gruppi possono avere anche una struttura minimale. L'importante è che i fatti reato compiuti non siano estemporanei. Gli organi inquirenti devono dunque individuare uno "stabile" - questo sì - duraturo, preciso progetto criminoso.

L'articolo 3 della legge 146 quali punti di contatto ha, se ne ha, con il 416 c.p. nel momento in cui si dà, e nell'uno e nell'altro, una definizione del fatto che più soggetti si associano per delinquere?
Qui si pone il problema se la definizione di gruppo criminale data dall'articolo 3 sia sovrapponibile, e in quali termini, al nostro 416. Secondo me, sì; esiste questa sovrapponibilità. Nei casi di reati fiscali transnazionali di cui parliamo avrei potuto contestare ai soggetti indagati anche il 416. Ma ho preferito rimanere un passo indietro e lasciare che la possibile contestazione strumentale dell'associazione a delinquere ex 416 rimanesse una eventualità remota nel caso - come dire - di mancata collaborazione con la giustizia da parte dei soggetti imputati. Ma questo è un discorso di strategia investigativa…
Una strategia che, al di là del consenso pubblico raggiunto, ha fruttato anche una inequivocabile adesione alla pretesa fiscale. Guardi che nel caso da cui abbiamo preso le mosse, il soggetto interessato ha pagato tutto, dopo aver ammesso che il "suo giochetto fiscale" lo avevamo smontato pezzo per pezzo, e che non c'era più nulla a cui aggrapparsi. Il processo di cui parliamo iniziato con il provvedimento del gennaio 2007 e conclusosi appena un anno dopo è costato zero allo Stato mentre lo Stato ha incassato 1,2 milioni di euro.

Quale portata temporale ha la legge 146/2006?
Abbiamo applicato l'articolo 11 della legge 146/2006 solo in riferimento ai fatti reato commessi dopo l'aprile 2006. Ciò vuol dire che io prendo solo gli articoli 2 (dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti, Dlgs 74/2000, ndr) consumati con riferimento all'annualità 2005. Praticamente coloro che parano i loro affari sporchi dietro il meccanismo fraudolento delle "cartiere" devono essere presi in considerazione per la dichiarazione presentata nel 2006. Per ciò che di fraudolento hanno commesso negli anni precedenti non possono essere chiamati a rispondere in base all'articolo 11 della 146.

In realtà, allo stato attuale la confisca preventiva per equivalente potrebbe anche applicarsi retroattivamente al 2006, giusto?
Esatto, proprio da Trento, su mia stessa sollecitazione, il Gup Corrado Pascucci (anche giudice della Ct di secondo grado, ndr) ha sollevato una questione di costituzionalità in merito all'articolo 1, comma 143, della legge 244/2007. Lo dicevamo in apertura: il comma 143 della Finanziaria 2008 è un pilastro fragile per chi volesse edificare un castello probatorio al fine di applicare, anche in modo retroattivo, la confisca preventiva per equivalente.

Per concludere, vediamo perché?
L'articolo 1, comma 143, estende la confisca per equivalente a (quasi) tutti i reati tributari. Sappiamo che la confisca è una misura di sicurezza (articolo 236, comma 1, n. 2, cp, ndr) e, in quanto tale, può essere applicata retroattivamente. Oggi, in teoria come Pubblico ministero avrei la facoltà di richiedere la confisca del saldo di c/c di un soggetto per, ad esempio, una dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti, da lui commessa anteriormente al 1° gennaio 2008, cioè prima dell'entrata in vigore della Finanziaria 2008.
Ma qui il punto è tecnico. La confisca (anche per equivalente) è una misura di sicurezza oppure può ricadere nel novero della vera e propria "pena"? L'Europa risponde in un modo, l'Italia in un altro.
La Corte europea dei diritti dell'uomo qualifica come "pena" anche tutte quelle misure cautelari di sicurezza che non solo limitano la libertà dell'individuo ma che vanno a incidere pesantemente anche sul suo patrimonio. Per la Corte europea, quindi, a differenza del legislatore italiano, la confisca preventiva di beni di cui il reo abbia disponibilità è una pena.
La stessa Corte suprema italiana, con la sentenza 41936/2005 a sezioni unite, ha ritenuto che la confisca per equivalente "costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti viene ad assumere un carattere eminentemente sanzionatorio". E quindi, anche per la dottrina e la giurisprudenza italiana, la confisca per equivalente dovrebbe essere intesa come una pena.
Se poi pensiamo all'articolo 7 della Cedu (Convenzione europea diritti dell'uomo, recepita nel nostro ordinamento con la legge 848/1955, ndr) "non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è commesso", ritengo che l'articolo 1, comma 143, della Finanziaria 2008 sia incostituzionale. Io sarei di orientamento europeo. Dunque, applicherei la confisca ex articolo 1, comma 143, solo per le violazioni degli articoli 2-10 del Dlgs 74/2000 commesse dal 1° gennaio 2008 in poi.
Ma serve una pronuncia della Corte costituzionale - che, secondo me, arriverà entro un anno - perché il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma Cedu. L'unico che può farlo è, secondo l'articolo 117 della Costituzione, il giudice delle leggi.

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