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Attualità

Ocse e fisco, agli erari centrali il 62 per cento del gettito

I 3/5 delle somme riscosse sono trattenute, in media, nelle disponibilità nazionali e soltanto il 13 per cento in quelle territoriali

Differente il caso degli Stati federali, nei quali gli equilibri tra le quote mutano. Infatti le attribuzioni in favore dei governi locali crescono mediamente fino al 29 per cento, con il primato della Germania dove soltanto il 30 per cento delle imposte e tasse riscosse rimane allo Stato centrale. Non muta in modo significativo all’interno dei Paesi Ocse, nonostante la decisa sterzata in direzione d’una più marcata decentralizzazione dei servizi, la quota di gettito che deriva dalla riscossione d’imposte, tasse e tributi che, in media, annualmente si congeda dagli erari nazionali centrali per avviarsi a rimpinguare i bilanci delle Amministrazioni locali e territoriali, ovvero regioni, comuni, province, contee o dipartimenti. Una mappa soggetta a decise variazioni a seconda del Paese di riferimento e del modello istituzionale che ne fissa l’infrastruttura amministrativa e ne disegna la ripartizione dei poteri, in particolare nel caso degli Stati federali.

La vocazione per il centralismo del gettito: primato neozelandese
A questo riguardo, osservando le tavole statistiche elaborate dagli esperti dell’Ocse e riferibili al 2006, risulta che nel caso del gruppo di Paesi non rientranti nella categoria degli Stati federali, le attribuzioni di gettito indirizzate dal centro in direzione di enti, organismi ed autorità locali permangono sostanzialmente ancorate in media al di sopra della soglia, oramai storica, del 60 per cento del gettito complessivo, al 62 per cento per l’esattezza, senza discostarsi quindi per un valore percentuale significativo dal 65per cento registrato nel 1985. Tra i Paesi maggiormente resistenti ad attribuire quote di gettito ai governi locali il podio spetta alla Nuova Zelanda, peraltro non riconducibile alla lista degli Stati federali Ocse, il cui erario centrale trattiene annualmente il 94 per cento delle imposte e delle tasse riscosse, indirizzando in pratica sui bilanci delle Amministrazioni locali un modesto 5,6 per cento. Ad Oslo il secondo posto, con l’erario centrale nelle cui disponibilità permane fino all’87,4 per cento del gettito totale. All’Irlanda invece, dove le Amministrazioni centrali assorbono l’86 per cento del gettito mentre ai governi locali è attribuito soltanto il 2,1 per cento, spetta la chiusura del podio.

Se gli Stati federali aprono i cordoni della borsa ai governi territoriali
Ma è a Berlino che il fisco parla locale. Sul versante opposto della graduatoria, è la Germania ad ostentare la maggiore predisposizione ad attribuzioni di quote rilevanti di gettito dal centro alla periferia. In pratica, soltanto il 30 per cento dell’intero ammontare permane stabile nelle disponibilità dell’erario centrale mentre il 22 per cento è attribuito ai diversi Lander e l’8per cento agli enti locali. Non a caso l’Amministrazione tedesca declina il fisco secondo l’alfabeto contabile federale. La seconda piazza è presidiata dal Belgio, anch’esso uno Stato federale, dove l’erario centrale gestisce il 31,7 per cento delle entrate fiscali annuali, trasferendo ai governi locali il 24 per cento e ai comuni il 5,1 per cento. A coronamento del primato del federalismo nella graduatoria della contabilità più generosa nei riguardi degli erari locali si rileva come la terza posizione, nonostante le polemiche recenti che hanno contrapposto diversi cantoni in relazione a questioni di bilancio, è saldamente occupata dalla Svizzera. A Berna infatti trova alloggio e residenza il 35 per cento del gettito annuale riscosso dal fisco elvetico. Una singolare eccezione al divario distributivo tra centro e periferia attuato in base all’origine federale o meno del Paese di riferimento è invece costituita dalla Spagna, dove l’assetto istituzionale fondato su di un regionalismo potenziato e dotato d’ampi poteri, ha determinato negli anni un assottigliarsi progressivo delle quote di gettito che permangono nelle disponibilità dell’erario centrale, tanto da ridursi di ben 10 punti percentuali nel periodo 1985-2006, transitando dal 47 per cento ad un più modesto 37 per cento dell’intero ammontare delle entrate fiscali annuali. Si tratta, in questo caso, d’una sorta di rivoluzione contabile e istituzionale all’interno d’un Paese che, per secoli e fino ad anni recenti, è stato in Europa il depositario d’un centralismo assoluto e raramente assoggettabile a compromessi con la periferia e con le Amministrazioni territoriali.
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