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Attualità

La pex incrocia la disciplina sulle società di comodo

Il correttivo Ires rinvia a un intervento interpretativo dell'Agenzia delle Entrate

Il primo dicembre è stato pubblicato, nel supplemento n. 197/L alla Gazzetta Ufficiale, n. 280, il decreto legislativo n. 247/2005, cosiddetto "correttivo Ires". La relazione illustrativa, che accompagna il decreto, rinvia a un successivo intervento interpretativo, da parte dell'Agenzia delle Entrate, per risolvere, in via definitiva, i problemi di coordinamento tra le norme che regolano l'istituto della participation exemption e quelle relative alle società non operative, sorti a seguito delle modifiche apportate al Testo unico delle imposte sui redditi dal decreto legislativo n. 344 del 2003, che ha introdotto l'imposta sul reddito delle società.

Tale intervento dovrà chiarire, in particolare, il trattamento da riservare alle partecipazioni esenti, di cui all'articolo 87 del Tuir, nell'ambito delle regole previste dalla disciplina sulle "società di comodo".

Prima di analizzare in dettaglio i termini della questione, pare opportuno richiamare, brevemente, tale disciplina.
La normativa sulle società "senza impresa", inserita nell'ordinamento con l'intento di porre fine ai fenomeni di costituzione di società a scopi meramente elusivi, è stata introdotta dall'articolo 30 della legge n. 724 del 1994, come modificato, dapprima dall'articolo 27 del decreto legge n. 41 del 23 febbraio 1995, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, e poi dall'articolo 3, comma 37, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Sulla base del disposto del comma 1 del citato articolo 30, la disciplina si applica alle società di capitali, alle società di persone, con esclusione della società semplice, alle società e gli enti di ogni tipo non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato. Tali soggetti si considerano, salvo prova contraria, non operativi se conseguono un ammontare complessivo di ricavi inferiore a un importo forfetario determinato in misura percentuale sul valore medio triennale di alcune attività patrimoniali, risultanti dal bilancio ovvero, per i soggetti non obbligati alla sua redazione, dalle scritture contabili.

Il raffronto, per determinare l'operatività, tra i ricavi effettivamente conseguiti e quelli presunti, avviene sulla base di precise regole, individuate dalla circolare del ministero delle Finanze n. 48 del 1997.
Per quanto riguarda i primi, si fa riferimento ai ricavi in senso stretto, aumentati degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico. I ricavi presunti, invece, sono pari alla somma dell'1 per cento delle partecipazioni (escluse le azioni proprie) aumentato del valore dei crediti non commerciali; del 4 per cento degli immobili costituenti immobilizzazioni e delle navi; del 15 per cento del valore delle altre immobilizzazioni.
Nel caso in cui la società, in base alla verifica predetta, sia considerata non operativa, il reddito analiticamente determinato secondo le regole ordinarie deve essere integrato, in sede di dichiarazione dei redditi, fino a concorrenza del valore del reddito minimo, determinato in misura almeno pari alla somma di alcuni importi; in particolare: lo 0,75 per cento del valore delle partecipazioni; il 3 per cento del valore degli immobili costituenti immobilizzazioni e delle navi; il 12 per cento del valore delle altre immobilizzazioni. In caso contrario, l'Amministrazione finanziaria può rettificare la dichiarazione secondo le normali procedure di accertamento.

Il problema di coordinamento, di cui si tratta in questa sede, nasce dal rinvio normativo utilizzato dalla disciplina sulle "società di comodo" per individuare le partecipazioni societarie rilevanti ai fini del calcolo del reddito minimo e dei ricavi presunti.
In particolare, il comma 1, lettera a), dell'articolo 30(1) sopra citato, fa riferimento all'"1 per cento al valore dei beni indicati nell'articolo 53, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie...".

La formulazione dell'articolo 53, comma 1, lettera c), a cui fa riferimento l'articolo 30 in esame, era la seguente: "i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazione in società ed enti indicati nelle lettere a), b) e d) del comma 1 dell'articolo 87, comprese quelle non rappresentate da titoli, nonché di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano tra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa".
Senonchè, tale disposizione è stata trasfusa, dal Dlgs n. 344 del 2003, nell'articolo 85, comma 1, lettera c), che, nella sua nuova formulazione, fa riferimento ai "... corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio e' diretta l'attività dell'impresa ...".

Dalla lettura combinata dei predetti articoli, sembrerebbe evidente la non inclusione delle partecipazioni esenti nel calcolo del reddito minimo e dei ricavi presunti, essendo esplicitamente escluse, dall'articolo 85, comma 1, lettera c), le partecipazioni che soddisfano i requisiti per l'applicazione della participation exemption, di cui all'articolo 87 del Tuir.
In senso opposto a un'interpretazione letterale delle norme citate, si è espressa la VI commissione Finanze, che ha richiesto, al punto 2, lettera c), del parere sullo schema di decreto correttivo, di confermare la rilevanza delle partecipazioni esenti ai fini dell'applicazione del regime delle società di comodo.
L'orientamento della commissione parlamentare si giustifica con la mancanza di ragioni logico-sistematiche a sostegno dell'esclusione; sono diverse, infatti, le considerazioni che ostano a un'interpretazione strettamente letterale.

Si rileva, innanzitutto, come le partecipazioni che si qualificano per l'esenzione producano dividendi soggetti al medesimo regime fiscale di quelli prodotti da partecipazioni che non soddisfano le condizioni dell'articolo 87 del Tuir. L'incidenza dei dividendi percepiti da una società sul reddito di periodo è la stessa, a prescindere dal fatto che la partecipazione generatrice si qualifichi o meno per l'esenzione. Non vi sarebbe, di conseguenza, una ragione logica nell'escludere le partecipazioni esenti dal calcolo dei ricavi presunti e del reddito minimo forfetario(2).
Inoltre, se tali partecipazioni fossero escluse, si incentiverebbe la costituzione di società al solo scopo di detenere partecipazioni totalmente esenti, eludendo il regime di parziale imponibilità dei capital gains, previsto per le persone fisiche.
Contro un'interpretazione letterale si è espressa anche Assonime, nella circolare n. 38 del 6 luglio, secondo cui il regime di esenzione costituisce semplicemente un meccanismo di eliminazione della doppia imposizione, che non modifica la tradizionale ripartizione tra immobilizzazioni e circolante cui la norma sulle società non operative fa evidentemente riferimento.

Va segnalato, infine, come le istruzioni al modello Unico 2005 abbiano mantenuto l'originario ambito applicativo della legge n. 724 del 1994 con riferimento alle obbligazioni e agli altri titoli in serie o di massa, sconfessando l'interpretazione letterale delle norme. Infatti, nell'articolo 85 del Tuir riformato, le obbligazioni e i titoli citati trovano collocazione alla lettera e) del comma 1, e non più nella lettera c), come nel vecchio articolo 53. L'Amministrazione, in tal caso, ha chiarito nelle istruzioni al modello che nel rigo RF73 deve essere riportato il valore dei beni indicati tanto nella lettera c) quanto nella lettera e), superando così il tenore letterale della norma.
Di certo, l'introduzione della disciplina sulla participation exemption non ha mutato l'originario intendimento del legislatore, che, nelle norme volte a fronteggiare la formazione delle società di comodo, ha voluto scoraggiare la strumentalizzazione della personalità giuridica, per cui nessuna ragione giustificherebbe un cambio di rotta nel passaggio dall'Irpeg all'Ires.


NOTE:
1) Il comma 1, lettera a), dell'articolo 30 disciplina il calcolo dei ricavi presunti; il problema si pone, però, anche per il calcolo del reddito "minimo", in quanto il comma 3, lettera a), dell'articolo 30 citato richiama il comma 1, lettera a), dello stesso articolo.

2) Un'altra questione interpretativa legata al coordinamento tra la disciplina della pex e quella sulle società di comodo, su cui non ci soffermeremo in questa sede, è il trattamento da attribuire alle plusvalenze esenti realizzate, ai fini del calcolo del reddito effettivo. Nella determinazione di quest'ultimo, infatti, le istruzioni al modello Unico 2005 precisano che il reddito determinato analiticamente deve essere aumentato degli importi che non concorrono a formare il reddito imponibile, per effetto di specifiche disposizioni agevolative. Non è chiaro, però, se tra tali disposizioni vi rientrino anche le plusvalenze realizzate ai sensi dell'articolo 87 del Tuir. Va rilevato che il problema investe allo stesso modo la quota non imponibile dei dividendi percepiti, indipendentemente dal tipo di partecipazione che li ha generati.

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