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Attualità

Una presunzione a prova di tribunale

I rapporti con l’ammissione al concordato preventivo nella giurisprudenza di merito e di legittimità

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Premessa
L'articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr n. 600/73, così come integrato dall'articolo 62-sexies del Dl n. 331/93, convertito con legge n. 427/93, consente di recuperare a tassazione i maggiori redditi che emergano sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ovvero a seguito dell'accertamento di gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e quelli verosimilmente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell'attività svolta.
In particolare, tale incongruenza potrà essere rilevata laddove una società, invece di ottenere un margine di guadagno, risulti vendere notevolmente sottocosto, conseguendo ricavi addirittura inferiori al costo sostenuto per l'acquisto dei materiali, arrivando a praticare vere e proprie "svendite", con comportamento in contrasto con i criteri di ragionevolezza ed economicità a cui si informa (rectius: si dovrebbe informare) ogni attività commerciale.

Ammissione al concordato preventivo e suoi eventuali effetti preclusivi
Potrebbe tale atteggiamento antieconomico rivelare, in realtà, una situazione di difficoltà aziendale, poi confermata da una domanda di ammissione al concordato preventivo?
La Ctp di Firenze, in una sua decisione (n. 106/2003) ha ritenuto di rispondere in maniera affermativa, sostenendo che fossero fondate le eccezioni già sollevate dal ricorrente in merito alla non sussistenza degli elementi di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni utilizzate dall'ufficio, e, concordando con la considerazione che la vendita sottocosto sarebbe stata determinata dal fatto che le vendite erano state effettuate con criteri di liquidazione, proprio in vista della domanda di concordato preventivo che sarebbe stata avanzata di lì a poco, causa il notevole indebitamento con le banche e i fornitori.

Pertanto, secondo una tale tesi, l'insolvenza della società può costituire la giustificazione razionale che impedisce la presunzione di maggiori ricavi, dato che la sproporzione tra costo del venduto e ricavi dichiarati sarebbe, in realtà, solo apparente, in quanto dovuta ai diversi criteri di valutazione adottati con riferimento alle rimanenze iniziali rispetto alle rimanenze finali.
Quindi, al recupero per occultamento di ricavi si frapporrebbe, come "ostacolo insuperabile", l'ammissione alla procedura di concordato preventivo.

Tale tesi è stata, del resto, confermata anche da una successiva sentenza della Ctr della Toscana (la n. 32/29/05, depositata il 4/4/2005), secondo la quale " se è pur vero che in casi eccezionali può essere consentito che l'accertamento dell'Ufficio si discosti dai risultati del procedimento di concordato preventivo, è necessario non sottacere che per giungere alla ammissione della procedura occorre dimostrare al Tribunale l'esistenza di vari presupposti, fra i quali la dimostrazione dello stato di insolvenza (art. 160 L.F.), le cause che hanno determinato l'insolvenza stessa e le ragioni della proposta di concordato...".
Quindi, ad avviso della Ctr "devesi ritenere che il superamento degli sbarramenti che la legge frappone per arrivare alla omologazione di un concordato preventivo, consentano, astrattamente, ma anche concretamente di accertare che non avvenga soprattutto un occultamento di ricavi o atre ingenti irregolarità...".

La Ctr, con la citata sentenza, ha, dunque, ritenuto le presunzioni sulle quali si fondavano gli accertamenti impugnati "prive di significato" , in quanto in contrasto con la motivazione del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo e con la sentenza di omologazione.
Non sarebbe legittimo, pertanto, presumere maggiori ricavi sulla base dell'antieconomicità della gestione dell'impresa, quando proprio lo stato di difficoltà certificato dalla sentenza di omologazione fornisce la giustificazione ragionevole ai minori ricavi dichiarati dalla società.
In sostanza, secondo i giudici, l'ammissione al concordato preventivo costituisce una presunzione assoluta di ragionevolezza della situazione economica e reddituale dichiarata.

Possibilità di accertamento
In realtà, a ben vedere, così non può essere. La ratio la base dell'ammissione al concordato e quella che consente l'accertamento analitico-induttivo, ex articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr n. 600/73, sono completamente diverse. Compito del commissario liquidatore non è, infatti, scovare materia imponibile, ma permettere ai creditori e al tribunale un giudizio circa il rapporto tra disponibilità e fabbisogno, come emerge da una rappresentazione contabilmente corretta.
Ma proprio quella contabilità formalmente regolare può essere invece smentita, sul piano fiscale (e non civilistico), dall'Amministrazione finanziaria, ex articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr n. 600/73, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Del resto, come confermato anche dalla Cassazione, con sentenza n. 8552/1992, quanto accertato in sede di concordato non riflette necessariamente la reale corrispondenza della situazione economica indicata.

In una fattispecie similare, relativa a un trasferimento di immobili, la Corte ha giustamente evidenziato che "nel trasferimento di immobili disposto in esecuzione di concordato fallimentare…non vi si rinviene né l'autenticità del prezzo pagato, poiché questo è fissato dalle parti e non dal giudice, né la presumibile corrispondenza di questo al prezzo di mercato, poiché il controllo del giudice è finalizzato ad accertare la convenienza del concordato per i creditori e non la corrispondenza del prezzo di vendita al valore di mercato. Pertanto tale fattispecie non può essere compresa, né mediante interpretazione estensiva né in via di applicazione analogica, tra le ipotesi per le quali il citato art. 42 predetermina la base imponibile, con la conseguenza che risulta legittima la rettifica da parte dell'ufficio del registro dei valori finali degli immobili indicati nel decreto del giudice fallimentare".

Questo per quanto riguarda la infondatezza e la inesistenza di una insuperabile presunzione assoluta di economicità derivante dall'ammissione al concordato preventivo.

Antieconomicità e onere della prova
Con la sentenza prima citata, quindi, la Ctr della Toscana ha in realtà aggirato il chiaro e consolidato orientamento della Suprema corte, secondo la quale, invece, "anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, è possibile il ricorso ad un accertamento analitico-induttivo, qualora la contabilità stessa sia complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri di ragionevolezza: così Cass. 23.10.2000, n. 13976. Parimenti, pur di fronte ad una contabilità regolarmente tenuta, è possibile accertare ricavi superiori a quelli dichiarati, se la percentuale di ricarico applicata dal contribuente è inferiore a quella mediamente applicata nel settore di appartenenza, fino a raggiungere livelli di abnormità e/o irragionevolezza (Cass. 29.11.2000, n. 15310); nello stesso senso Cass. 27.11.2000, n. 15266…".

La regola alla quale, infatti, si ispira chiunque svolga una attività economica è quella di ridurre i costi a parità di tutte le altre condizioni.
Pertanto, in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso, è sicuramente legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si nasconda una diversa realtà.
D'altra parte, l'onere del contribuente di motivare le scelte che non sono in linea con i criteri di gestione economica della propria attività, è simmetrico e reciproco all'obbligo di motivazione degli atti che grava sull'Amministrazione finanziaria (Cassazione, sentenza n. 1821/2001).

A conferma di tale orientamento, da ultimo la sentenza della Corte di cassazione n. 14428/2005, con la quale è stato ribadito ancora una volta che "qualora il contribuente tenga un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia…il giudice di merito, per poter annullare l'accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l'antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie".

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