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Attualità

Prove di residenza

Per le holding estere ma controllate o amministrate da soggetti italiani, è introdotta la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato, salvo dimostrazione contraria

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Tra le misure di contrasto, rispondenti a una logica antielusiva, incluse nella "manovra-bis" di cui al decreto legge n. 223 del 2006, particolare rilevanza rivestono quelle contenute nei commi 13 e 14 dell'articolo 35, in materia di residenza fiscale, e nei commi 45 e 46 dell'articolo 37, in materia di ammortamento dei costi relativi a opere dell'ingegno e marchi d'impresa.
L'intervento normativo relativo alla residenza fiscale, prevedendo alcune ipotesi di inversione dell'onere della prova, si caratterizza per la sua natura procedimentale e processuale, l'altro per un allargamento della base imponibile in chiave antielusiva.

Esterovestizione
Con efficacia a decorrere dal periodo in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 223, sono aggiunti i commi 5-bis e 5-ter all'articolo 73 del Tuir.
Il primo di tali due commi fissa una presunzione relativa di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, del Codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 (cioè società ed enti commerciali residenti), al ricorrere di due condizioni, tra loro alternative:

  1. tali società ed enti sono a loro volta controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, del Codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano ("controllo di diritto")
  2. tali società ed enti sono amministrati da un Consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Il successivo comma 5-ter precisa che, ai fini della verifica della sussistenza del controllo, occorre fare riferimento alla situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all'articolo 5, comma 5, del Tuir.

E' evidente che tale modifica normativa è volta ad attrarre a tassazione in Italia sub-holding "esterovestite". Presunzioni relative di esterovestizione sono, alternativamente, due: il controllo, diretto o indiretto, della società o dell'ente estero da parte di soggetti residenti in Italia o l'amministrazione di tali società da un consiglio di amministrazione composto in prevalenza di consiglieri residenti in Italia.

Quali sono le ragioni sottostanti a tale intervento normativo?
In vigenza dell'Irpeg, i gruppi multinazionali operanti in Italia trovavano convenienza a costituire sub-holding all'estero, normalmente di diritto olandese o lussemburghese, al fine di realizzare in quelle giurisdizioni fiscali i passive incomes (cioè dividendi, interessi, royalties e plusvalenze) in esenzione d'imposta o, in alternativa, utilizzare tali giurisdizioni fiscali al fine di veicolare in altre giurisdizioni fiscali, quali i "paradisi fiscali", i predetti passive incomes.
Peculiarità di tale situazione è che i predetti redditi erano relativi a investimenti localizzati in Italia, i quali - in tal modo - finivano per generare, anziché redditi imponibili in Italia, redditi esenti all'estero, con possibilità di rimpatrio in Italia sempre esentasse(1).
Tuttavia, l'entrata in vigore dell'Ires rendeva meno conveniente porre in essere le predette pianificazioni fiscali, specialmente quelle generatrici di plusvalenze esenti.

Anche in sede Ocse, a seguito del rapporto del 1998, Harmful tax competion, al fine di contrastare artificiose delocalizzazioni in Stati o territori a fiscalità privilegiata o in Stati che non ostacolino i flussi reddituali verso gli Stati o territori a fiscalità privilegiata, è in discussione una proposta di modifica del modello Ocse in materia di residenza di società ed enti.
Attualmente, l'articolo 4 del modello Ocse rinvia alle regole interne degli Stati contraenti al fine di stabilire la residenza; tuttavia, in caso di conflitto tra Stati, la tie break rule prevede che si debba fare riferimento alla cosiddetta sede di direzione effettiva (place of effective management).
Ebbene, in sede Ocse, le discussioni vertono sostanzialmente su quali debbano essere i criteri per individuare la sede di direzione effettiva e sia il controllo indiretto da parte di un soggetto residente sia la composizione del consiglio di amministrazione acquisiscono rilevanza.

Alla luce delle predette riflessioni e ricordando la prevalenza della norma convenzionale su quella interna, può, perciò, concludersi che il problema della esterovestizione potrà essere compiutamente risolto solo allorché in sede Ocse si approvino le nuove regole in materia di residenza di società ed enti, ferma restando - in ogni caso - la necessità di rinegoziare le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni attualmente vigenti.
E', infine, evidente che, allorché l'esterovestizione avvenga in uno Stato con cui l'Italia non ha stipulato convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, trova diretta e immediata applicazione la novella legislativa sull'inversione dell'onere della prova.

Ammortamento beni immateriali
Il comma 45 dell'articolo 37 del decreto legge 223, mentre ha aumentato la misura dell'ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico da un massimo di un terzo del costo a un massimo del 50 per cento del costo, ha ridotto le quote di ammortamento relative al costo dei marchi d'impresa da un massimo del decimo del costo a un massimo del diciottesimo del costo.

L'efficacia di tali modifiche normative decorre dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto in esame, anche per le quote di ammortamento relative ai costi sostenuti nel corso dei periodi di imposta precedenti.
Tuttavia, con riferimento ai brevetti industriali, la disposizione modificativa si applica limitatamente ai brevetti registrati dalla data di entrata in vigore del decreto in esame ovvero nei cinque anni precedenti.

Quali le ragioni di tale novella legislativa?
Trattasi di ragioni di segno contrario: quella sulle opere dell'ingegno è volta a riconoscere fiscalmente una maggiore quota di ammortamento, mentre quella sui marchi d'impresa è volta a riconoscere una minore quota di ammortamento.
La novella legislativa va ricollegata con l'intervento normativo di cui al decreto legge 203/2005 operato alla fine dello scorso anno sulle quote di ammortamento dell'avviamento, la cui misura di ammortamento ai fini fiscali era stata dapprima portata da max 1/10 a max 1/20, per poi essere ridotta dalla legge 248/2005 di conversione a max 1/18 del valore iscritto nell'attivo del bilancio.

Come può agevolmente notarsi, a fronte di una concessione di una maggiore quota di ammortamento delle opere dell'ingegno, viene allineato il trattamento tributario delle quote di ammortamento dei marchi a quello dell'avviamento.
E ciò al fine di evitare possibili arbitraggi fiscali tra avviamento e marchi d'impresa. Infatti, in presenza di un avviamento dell'impresa in buona misura dipendente dal marchio, era evidente la convenienza che trovava il contribuente ad acquisire il marchio separatamente dall'azienda (splitting), in modo da poter dedurre nel più breve periodo di tempo il costo sostenuto e, quindi, abbattere la base imponibile.
Ebbene, la novella legislativa evita tali manovre in odore di elusione sul nascere.

NOTE
Un classico caso di pianificazione fiscale in forte odore di elusione fiscale era il conferimento transfrontaliero di partecipazioni gravide di plusvalenze latenti in regime di neutralità fiscale ai sensi della direttiva n. 90/434/Cee, la successiva vendita all'estero in regime di participation exemption e il rimpatrio in Italia dei conseguenti dividendi in regime di direttiva "madre-figlia" n. 90/435/Cee.

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