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Attualità

Il reddito di lavoro prodotto all’estero da un residente

Nel gennaio del 2001 è stata modificata, dal punto di vista fiscale, la normativa che disciplina questa particolare tipologia

Sono sempre più numerosi i cittadini italiani che svolgono una parte del percorso professionale oltre i confini territoriali. In questo contesto FiscoOggi, per aiutare il connazionale che vive e opera fuori dell’Italia a comprendere alcuni  aspetti di rilievo della normativa fiscale internazionale, pubblica un nuovo articolo di approfondimento. Nella quarta puntata  l’attenzione si focalizza sul trattamento tributario dei redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero da un soggetto residente.
A decorrere dal 1° gennaio 2001 è stata modificata la disciplina relativa ai redditi percepiti dai lavoratori dipendenti, fiscalmente residenti in Italia, per l’attività svolta all’estero. I predetti redditi sono imponibili in Italia anche nell’eventualità in cui l’attività lavorativa sia svolta all’estero con carattere di continuità ed esclusività. Infatti lo status di residenza fiscale in Italia determina l’imponibilità fiscale in detto Stato, in capo al contribuente, su tutti i redditi ovunque prodotti, e, nel Paese estero, soltanto sul reddito di lavoro dipendente. Inoltre la predetta imponibilità fiscale, nello Stato italiano così come all’estero, prescinde dalla circostanza che la retribuzione o parte di essa sia loro corrisposta dal sostituto di imposta italiano ovvero che alcuni fringe benefits siano loro erogati dalla società estera dove il dipendente è distaccato.
La tassazione nel Paese di provenienza
Soltanto nel caso in cui il lavoratore soggiorni per meno di 183 giorni nel Paese estero, sia residente nel Paese di provenienza e le remunerazioni siano pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente nello Stato estero (e l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato estero), egli sarà tassato nel Paese di provenienza. Negli altri casi entrambi gli Stati hanno solitamente una competenza concorrente alla tassazione del reddito. A seconda che vi sia o meno una convenzione contro la doppia imposizione tra i due Stati, si possono avere le seguenti situazioni:
a) reddito conseguito in un Paese con cui l’Italia ha stipulato una convenzione contro la doppia imposizione
In tal caso i redditi conseguiti sono assoggettati a imposizione secondo la normativa interna e secondo le singole convenzioni contro le doppie imposizioni. Il contribuente avrà comunque la possibilità, nel caso in Italia sia previsto un trattamento a lui più favorevole, di avvalersi di tale trattamento anche in deroga agli accordi internazionali contro le doppie imposizioni;
b) reddito conseguito in un Paese con cui l’Italia non ha stipulato una convenzione contro la doppia imposizione
In questa seconda ipotesi, invece, il contribuente sarà assoggettato a doppia imposizione, salva la possibilità, poi, di ottenere un credito di imposta per le imposte pagate all’estero sui redditi derivanti da attività lavorativa svolta all’estero. Infatti, in tale ipotesi, mentre il Paese in cui viene svolta l’attività lavorativa avanzerà le proprie pretese impositive in relazione al principio di territorialità del reddito prodotto, l’Italia avanzerà le proprie pretese impositive in base al principio della tassazione del reddito mondiale (world-wide income).
Le retribuzioni convenzionali
A partire dal 2001, a seguito di una disposizione introdotta dall’articolo 36 del collegato alla Finanziaria per il 2000 (legge n. 342 del 21 novembre 2000), la determinazione dei redditi di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, è effettuata non più sulla base delle retribuzioni effettive ma di retribuzioni convenzionali. Le retribuzioni convenzionali sono stabilite annualmente con decreto del ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze e individuano, per ciascun settore economico e per ciascuna fascia retributiva, degli importi minimi e massimi mensili. In corrispondenza di questo "gap" è fissato l’importo convenzionale, definito annualmente. Le retribuzioni convenzionali si applicano soltanto al verificarsi delle seguenti condizioni:

- permanenza all’estero per più di 183 giorni;
- rapporto esclusivo di lavoro;
- rapporto di lavoro in via continuativa.
In assenza anche di una sola delle citate condizioni, trova applicazione la retribuzione effettiva. Nell’individuazione dell’importo "convenzionale" devono essere considerati i fringe benefits eventualmente elargiti dalla società italiana che ha effettuato il distacco del dipendente. In particolare, qualora il datore di lavoro italiano riconosca al proprio dipendente alcuni benefits, questi non subiscono alcuna tassazione poichè il loro ammontare viene ricompreso forfetariamente nella retribuzione convenzionale.
Le retribuzioni convenzionali ai fini previdenziali
Le retribuzioni convenzionali nuove per il "mondo fiscale" sono ben note in quello previdenziale. Infatti, sotto il profilo contributivo, sussiste la possibilità (laddove l’attività lavorativa venga svolta in Paesi Ue o altri Stati con cui siano stati stipulati accordi in materia di sicurezza sociale) di proseguire il mantenimento della copertura assicurativa in Italia, anche qualora l’attività venga svolta all’estero. Pertanto, i datori di lavoro possono continuare a versare i contributi previdenziali in Italia sulla base delle retribuzioni effettive corrisposte ai lavoratori dipendenti all’estero. Soltanto in mancanza di accordi bilaterali in materia di sicurezza sociale, invece, la contribuzione previdenziale andrà versata sia in Italia, ai sensi della legge 398 del 1997 che all’estero (se dovuta) in base alla normativa previdenziale locale. In particolare, in base alla citata legge n. 398 del 1987, la contribuzione previdenziale italiana andrà calcolata sulla base delle retribuzioni convenzionali.

Pertanto le retribuzioni convenzionali costituiscono la base di riferimento per la liquidazione delle prestazioni pensionistiche, delle prestazioni economiche di malattia e maternità nonché per il trattamento ordinario di disoccupazione per i lavoratori rimpatriati e sono prese a riferimento per i lavoratori operanti nei Paesi extracomunitari non legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale e, soltanto in via residuale, per i lavoratori occupati in Paesi con cui vigono accordi parziali, per le assicurazioni minori non contemplate dalle Convenzioni. Infine si ricorda che, anche ai fini previdenziali, i valori convenzionali individuati nelle tabelle sono divisibili in ragione di 26 giornate in caso di assunzioni, risoluzioni del rapporto di lavoro, trasferimenti da o per l’estero nel corso del mese.
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