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Attualità

La residenza fiscale

Il concetto, enunciato dall’articolo 2, comma 2 del Tuir, fa riferimento all’abituale e volontaria dimora di un soggetto in un determinato luogo

Sono sempre più numerosi i cittadini italiani che svolgono una parte del percorso professionale oltre i confini territoriali. In questo contesto FiscoOggi, per aiutare il connazionale che vive e opera fuori dell’Italia a comprendere alcuni aspetti di rilievo della normativa fiscale internazionale, da questo numero pubblica una serie di articoli di approfondimento. La prima puntata affronta il tema della residenza fiscale e delle sue implicazioni ai fini delle imposte sui redditi.
Al fine di individuare il corretto trattamento tributario applicabile ai redditi di un contribuente che si trasferisce all’estero, è importante stabilire se l'interessato, per effetto del trasferimento, risulti fiscalmente residente in Italia ovvero all’estero. Le imposte sui redditi, infatti, si applicano sia ai residenti che ai non residenti, ma la base imponibile per le due categorie di contribuenti è diversa.
La differenza tra residenti e non residenti ai fini Irpef
Con riferimento all’imposizione diretta, l’imposta sul reddito delle persone fisiche si applica sul reddito complessivo del soggetto, composto:
- per i residenti, da tutti i redditi posseduti (in Italia e all’estero, secondo il principio del world-wide income taxation);
- per i non residenti, soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, secondo il principio della territorialità.
E’ evidente, quindi, quanto sia importante stabilire se il soggetto risieda o meno in Italia. Nel primo caso, infatti, salvo le eccezioni stabilite dalle Convezioni bilaterali, sul reddito che produce all’estero, egli dovrà pagare le imposte, oltre che nel Paese estero, anche in Italia. Nel secondo caso, invece, pagherà le imposte in Italia soltanto sui redditi qui prodotti.
Quando un soggetto è residente in Italia
Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta (cioè 183 o 184 giorni, a seconda che l’anno sia o meno bisestile) siano in possesso di uno dei seguenti requisiti:
- iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente;
- domicilio nel territorio dello Stato ovvero il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi (articolo 43 del codice civile);
- residenza nel territorio dello Stato ovvero il luogo in cui la persona dimora abitualmente (articolo 43 del codice civile)
Il riferimento normativo
In particolare, il concetto di residenza fiscale è enunciato dall’articolo 2, comma 2, del Tuir. Con specifico riferimento all’iscrizione nelle anagrafi di residenza, l’articolo 2 della legge n. 1228 del 24 dicembre 1954, sancisce l’obbligo in capo a ogni cittadino di chiedere, per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, l’iscrizione all’anagrafe del Comune di dimora abituale. Si segnala, tuttavia, che l’assenza temporanea dal Comune di dimora abituale non produce effetti sul riconoscimento della residenza. L’anagrafe, infatti, si identifica con la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle persone, alle famiglie e alle convivenze che hanno fissato nel Comune il proprio domicilio, vale a dire la sede principale degli affari e interessi di un individuo. L’iscrizione all’anagrafe è, pertanto, un atto dovuto quando l’individuo ha il domicilio o la residenza in un determinato Comune. Tuttavia, anche se sussiste, per dettato normativo, il predetto obbligo esplicito di iscrizione all’anagrafe, non sembrano essere state previste sanzioni dirette a carico di chi non procede all’iscrizione presso l’anagrafe di residenza.
La nozione di domicilio
Per quanto riguarda il domicilio, si evidenzia che per la definizione di tale concetto è necessario fare riferimento a un elemento oggettivo, quale è la concentrazione degli affari e interessi, nonché a un elemento soggettivo, quale è l’intenzione di operare tale concentrazione in quel determinato luogo, manifestata espressamente, ovvero desumibile dallo stesso comportamento della persona secondo una comune valutazione sociale. Inoltre è bene precisare che i termini "affari e interessi" non devono essere intesi esclusivamente in senso economico, ma devono fare riferimento anche alle relazioni familiari e sociali.
I requisiti della residenza
Infine, con riferimento alla definizione della residenza, si segnala che tale concetto è determinato dall’abituale e volontaria dimora di un soggetto in un determinato luogo. Pertanto, anche ai fini della determinazione della residenza, è necessario riferirsi all’elemento oggettivo della permanenza in un luogo nonché a un ulteriore elemento soggettivo relativo all’intenzione soggettiva di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento di normali relazioni sociali dell’individuo. In ogni caso appare opportuno evidenziare come i predetti requisiti citati siano tra loro alternativi e non concorrenti, nel senso che è sufficiente il verificarsi di una sola delle condizioni per dar luogo alla residenza fiscale in Italia del soggetto. Inoltre, sempre all’articolo 2 del Tuir, il comma 2 bis recita: "si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministero delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale". Pertanto con questa ulteriore disposizione normativa, introdotta dall’articolo 10, comma 1, della legge 448 del 1998, è stato previsto il principio della cosiddetta "inversione dell’onere della prova", con la conseguenza che viene posto a carico del contribuente l’onere di provare l’effettiva residenza nel Paese a regime fiscale privilegiato.
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