Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Attualità

La responsabilità per l'applicazione dell'aliquota ridotta nel settore dell'edilizia - 1

Responsabilità del cessionario/cedente stabilite per legge e in via amministrativa Responsabilità in assenza di previsioni normative e amministrative

_250.jpg

Un problema di enorme importanza, sul quale non è possibile tralasciare di soffermare l'attenzione parlando di IVA nel settore dell'edilizia, riguarda l'individuazione dei soggetti responsabili di eventuali erronee applicazioni dell'aliquota ridotta a fattispecie fuori dell'ambito di operatività delle norme che regolano il settore.
A questo proposito occorre, in primo luogo, circoscrivere la valenza delle dichiarazioni di parte alle quali è stata spesso attribuita la prodigiosa capacità di esonerare da qualsiasi responsabilità in spregio alla normativa vigente.
Infatti, a chi opera nel settore dell'edilizia e nei settori a essa collegati capita spesso di ricevere dal proprio cessionario o committente dichiarazioni scritte nelle quali lo stesso "attesta" di avere diritto a fruire di un'aliquota ridotta, senza peraltro giustificarne i motivi.
Oppure, altrettanto frequentemente, si riscontrano situazioni diametralmente opposte dove il cedente o prestatore chiedono al proprio cliente il rilascio di "attestazioni " sulla sussistenza delle condizioni per fruire dell'aliquota ridotta nonché per fargli carico di ogni responsabilità connessa a eventuali contestazioni da parte dell'Amministrazione finanziaria sulla liceità del beneficio.
Formule e contenuti di queste "attestazioni" sono quanto mai vari: c'è chi intende assumersi qualsiasi responsabilità per le conseguenze legate alla richiesta oppure chi si limita a richiamare la norma agevolativa allegando alla domanda i più svariati documenti (copia fotostatica della carta d'identità o della patente, oppure del permesso di costruire o di attestazioni rilasciate dai Comuni), chi, ancora, ricicla vecchie dichiarazioni che spesso richiamano norme ormai decadute e c'è chi, nell'intento di riuscire a ottenere l'aliquota IVA ridotta, compone e combina nelle forme e nei modi più impensati dichiarazioni, fotocopie, certificazioni e leggi.
Questo mito, in realtà, deve essere necessariamente ridimensionato dato che "dichiarazioni" e "attestazioni" di parte non possono né diminuire né tantomeno eliminare i rischi connessi a un'erronea interpretazione della norma.
Semmai, in alcuni casi, possono esonerare da sanzione chi, in perfetta buona fede, convinto dei dati in esse contenuti, è stato indotto a un comportamento teoricamente lecito secondo le disposizioni vigenti, ma non corretto rispetto alla fattispecie concreta.
Occorre allora avere ben chiaro che nel complesso e articolato settore dell'edilizia la "dichiarazione" di parte è puntualmente codificata soltanto nella compravendita di unità immobiliari con caratteristiche non di lusso da parte dei soggetti cosiddetti "prima casa", mentre la "dichiarazione" necessaria per l'acquisto di beni diversi dalle materie prime e semilavorate rappresenta un espediente elaborato dall'Amministrazione finanziaria per rendere applicabile l'aliquota ridotta che, fin dall'origine, aveva creato grosse perplessità in sede di materiale applicazione.
Per il resto, pur in assenza di qualsivoglia previsione legale e amministrativa, le "dichiarazioni" solo in alcuni casi possono dimostrarsi fondamentali nel verificare la sussistenza dei requisiti che permettono l'applicazione dell'aliquota ridotta mentre in altre situazioni non possono avere alcuna validità, essendo in aperto contrasto con le norme vigenti.

1 La responsabilità del cessionario/cedente stabilite per legge
Da quanto finora detto le situazioni sicuramente più tranquille per il cedente sono quelle che si ricollegano all'acquisto per la "prima casa"; in tali fattispecie infatti è la legge stessa che attribuisce alla "dichiarazione" del cessionario la potestà di rendere operante la riduzione di aliquota.
Anzi, a ben vedere, questa "dichiarazione" richiamata ope legis non assolve primariamente alla funzione di trasferimento della responsabilità dal cedente al cessionario, bensì risulta condicio sine qua non per l'applicazione dell'aliquota ridotta.
Ciò significa che mancando detta "dichiarazione", ancorché siano presenti tutte le condizioni richieste per l'operatività della riduzione di aliquota, questa non può essere applicata.
La "dichiarazione" deve essere resa in sede di acquisto ovvero di contratto preliminare (per le transazioni soggette a IVA) e dovrà necessariamente rispettare la previsione normativa che richiede l'indicazione di tre condizioni:

  1. l'acquirente deve trasferire entro diciotto mesi dall'atto di acquisto la propria residenza nel Comune ove è ubicato l'immobile a meno che, ovviamente, ivi non già residente (art. 1, Tariffa 1, nota II-bis, comma 1, lettera a), D.P.R. 131/1986);
  2. l'acquirente non deve risultare titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso o abitazione di altra casa di abitazione nel Comune in cui è situato l'immobile da acquistare (art. 1, Tariffa 1, nota II-bis, comma 1, lettera b), D.P.R. 131/1986);
  3. l'acquirente non deve risultare titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione, ubicata in Italia, acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge usufruendo delle attuali o precedenti agevolazioni "prima casa " (art. 1, Tariffa 1, nota II-bis, comma 1, lettera c), D.P.R. 131/1986).

Il primo dei tre requisiti, come già detto, si presenta normativamente più articolato dato che l'agevolazione opera anche per altre fattispecie diverse dal caso in cui l'immobile sia ubicato nel Comune dove l'acquirente ha o intende stabilire la propria residenza.
La più volte citata nota II-bis stabilisce, infatti, che l'aliquota ridotta spetta anche quando l'immobile è ubicato nel Comune dove l'acquirente svolge la propria attività oppure nel Comune dove ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende l'acquirente, quando l'acquirente stesso si è trasferito all'estero per ragioni di lavoro ovvero, ovunque in Italia se l'acquirente, cittadino italiano emigrato all'estero, acquista l'immobile come prima casa.
Si ricorda, inoltre, che dal 10 dicembre 2000 per il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché quello dipendente dalle Forze di polizia a ordinamento civile non è più richiesto l'obbligo di stabilire la propria residenza nel Comune in cui è situato l'immobile.
Per le fattispecie appena richiamate la norma non richiede alcuna "attestazione" nell'atto (sia esso preliminare o rogito), di modo che l'applicazione dell'aliquota ridotta opera in modo oggettivo, per la sola presenza degli elementi richiesti riscontrabili anche a posteriori senza necessità di alcuna preventiva "dichiarazione" dell'acquirente.
Quest'ultima, se rilasciata, assumerà la funzione di agevolare il cedente nell'individuazione della presenza degli elementi richiesti per l'applicazione dell'aliquota ridotta, anche al fine di escludere la propria responsabilità.
Da quanto evidenziato consegue che l'eventuale falsità della dichiarazione non richiesta ope legis non può essere sanzionata in base alla particolare procedura stabilita dalla nota II-bis per le dichiarazioni mendaci, ma sarà oggetto di vaglio attraverso i normali canali di accertamento da parte dell'Ufficio delle Entrate (art. 1, Tariffa 1, nota II-bis, comma 4, D.P.R. 131/1986).
Su questo argomento è il caso di ricordare a quali sanzioni va incontro un contribuente in caso di dichiarazione mendace o quando vende la sua "prima casa" ed entro un anno non acquista un altro immobile da destinare ad abitazione principale.
Al riguardo si sottolinea come, con le modifiche introdotte in sede di conversione del D.L. 269/2003, il comma 5 dell'art. 41-bis (entrato in vigore il 26 novembre 2003) ha previsto importanti innovazioni relativamente alle sanzioni IVA per l'acquisto di un'abitazione con caratteristiche non di lusso fruendo senza titolo dell'agevolazione cosiddetta "prima casa" (aliquota IVA al 4% anziché 10%), del comma 4, Tariffa 1, nota II-bis, del D.P.R. 131/86.
Questo perché dall'1 aprile 1998, cioè da quando è entrato in vigore l'attuale sistema sanzionatorio (D.Lgs. 17 dicembre 1997, n. 472), l'IVA non versata era considerata una penalità e ciò permetteva all'acquirente di regolarizzare la propria posizione con l'Amministrazione versando, entro il termine per effettuare ricorso (60 giorni dalla notifica), un quarto della penalità/sanzione amministrativa, come indicato al comma 3 dell'art. 16 del D.Lgs. 472/1997.
Non solo: era discutibile anche l'applicazione degli interessi moratori, dato che l'art. 2, comma 3 del citato D.Lgs. 472/1997 stabilisce l'improduttività di interessi sulle somme irrogate a titolo di sanzione.

Diversamente, con la nuova versione del comma 4 della nota II-bis, possono recuperare "nei confronti degli acquirenti la differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30% della differenza medesima".
In sostanza, a seguito della ricordata modifica, l'ufficio notifica l'atto di contestazione, richiedendo le stesse somme previste nella precedente versione, tuttavia con l'importante differenza che la sanzione non è tutto l'importo richiesto, ma è costituita dal 30% dell'IVA dovuta. In questo modo il contribuente, se vorrà definire la controversia, dovrà saldare tutte le imposte non versate e un quarto della sola penalità/ sanzione amministrativa.
Sul punto, si deve rilevare la posizione dell'Agenzia delle Entrate secondo cui, le modifiche apportate alle sanzioni amministrative dovute per dichiarazioni mendaci o per il trasferimento o per il trasferimento prima del decorso del quinquennio, degli immobili acquistati con l'agevolazione cosiddetta "prima casa", non hanno natura innovativa.
Detto parere è contenuto nella circolare 21 giugno 2004, n. 28/E, dove si afferma che una corretta interpretazione logico sistematica nella precedente formulazione portava alle medesime conclusioni.
Peraltro, spiega l'Agenzia, "deve ritenersi che soltanto la maggiorazione del 30% della differenza aveva natura sanzionatoria, mentre l'importo determinato dalla differenza di aliquota rispondeva allo scopo di ripristinare l'effettiva entità dell'imposta dovuta dall'acquirente".
Questa la posizione attuale dell'Agenzia che è in stridente contrasto con quanto affermato dalla stessa Amministrazione in precedenti occasioni.
Inequivoca sul punto la circolare 2 marzo 1994, n. 1/E che in tema di sanzioni "prima casa" testualmente affermava: "è di chiara evidenza che nella nozione di penalità è da ricomprendere sia la differenza di imposta come sopra calcolata sia la maggiorazione del 30% applicata sulla differenza medesima".
Premesso tutto ciò, si sottolinea come la norma in questione che ha introdotto le modifiche alle sanzioni "prima casa", non possa avere natura interpretativa.
Questo perché secondo il comma 2, art. 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212 - "Statuto dei diritti del contribuente" - il ricorso a norme interpretative in materia tributaria è previsto solo in "casi eccezionali" e, soprattutto, il dettato normativo deve specificamente affermare che trattasi di una disposizione avente natura di "interpretazione autentica", situazioni queste non rinvenibili nel provvedimento in commento.
Nonostante il diverso avviso delle Entrate, appare evidente che la norma in esame ha natura innovativa e, pertanto, il 26 novembre 2003 costituisce lo spartiacque per l'applicazione delle nuove sanzioni.
Chiaro, in questo senso, l'art. 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il quale dispone che nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce violazione punibile (comma 2) e che, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole (cosiddetto principio del favor rei).
In termini pratici questo significa che le dichiarazioni di possedere i requisiti "prima casa" rese in sede di rogito che si dimostrano mendaci devono essere colpite con le sanzioni "vecchie" più favorevoli se la stipulazione dell'atto di vendita è avvenuto prima del 26 novembre 2003.
Diversamente, se la stipulazione dell'atto di vendita è avvenuto dopo l'entrata in vigore del provvedimento, le sanzioni che devono essere applicate sono quelle "nuove".
Parimenti le "vecchie" sanzioni si applicano a tutte quelle vendite di abitazioni "prima casa" entro il quinquennio il cui termine per l'acquisto di una nuova unità abitativa da destinare a propria abitazione principale sia scaduto infruttuosamente prima del 26 novembre 2003.
Un'ultima annotazione in tema di abitazione principale merita di essere di essere fatta richiamando i contenuti della risoluzione 16 marzo 2004, n. 44/E dove una Direzione Regionale aveva chiesto di conoscere se si verifichi la decadenza dall'agevolazione c.d. "prima casa" nell'ipotesi in cui un contribuente abbia alienato una casa di abitazione, acquistata fruendo del regime di favore, prima del decorso del quinquennio, qualora abbia acquistato entro un anno dall'alienazione un terreno su cui costruire la propria abitazione principale.
L'Agenzia ha ritenuto che "per non incorrere nella decadenza dal beneficio c. d. "prima casa", non è di per sé sufficiente l'acquisto entro un anno del terreno, richiedendosi a tal fine che entro l'anno dall'alienazione venga ad esistenza il fabbricato destinato ad abitazione principale. Non è necessario che il fabbricato sia ultimato: è sufficiente che lo stesso entro l'anno venga ad esistenza, cioè acquisti rilevanza dal punto di vista urbanistico; deve quindi esistere almeno un rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e deve essere stata completata la copertura (art. 2645-bis, comma 6, c.c.)".

2 La responsabilità del cessionario/cedente stabilite in via amministrativa
Si è già accennato che per le cessioni di beni diversi dalle materie prime e semilavorate l'Amministrazione finanziaria subordina l'applicazione dell'aliquota ridotta alla presenza di una "dichiarazione" di responsabilità resa al soggetto cedente da parte dell'acquirente circa l'effettiva destinazione d'uso dei beni stessi in costruzioni "agevolate".
La responsabilità assunta dall'acquirente, pertanto, vale solo con riferimento all'utilizzazione del bene in immobili agevolati e non ai fini di altri requisiti richiesti per l'applicazione dell'aliquota ridotta.
La soluzione adottata dal Ministero delle Finanze ha, in ogni caso, determinato altri tipi di problemi.
Il più significativo, senza dubbio, è legato all'applicazione di eventuali sanzioni quando, in presenza di tutti i requisiti oggettivi, il cedente ha applicato l'agevolazione ma non ha richiesto la "dichiarazione".
Tale comportamento omissivo del precetto posto dall'Amministrazione non trova, infatti, alcun riferimento normativo per cui è lecito chiedersi se il cedente possa essere soggetto a sanzione.
La risposta potrebbe essere negativa, trattandosi di un onere richiesto al fine di evitare l'impraticabilità della riduzione di aliquota per l'assoluta incertezza in cui opera il cedente in tali situazioni.
Mancando (e non poteva essere altrimenti, trattandosi di soluzione amministrativa) l'esplicita previsione "a pena di decadenza" (così come previsto per la "prima casa"), la presenza delle condizioni richieste, malgrado l'assenza della dichiarazione dell'acquirente, dovrebbe confortare la legittimità dell'applicazione dell'aliquota ridotta.
È fuori dubbio, per altro, che una risposta certa e definitiva a tale quesito è stata data soltanto con i DD.LLgs. 18 dicembre 1997 n. 471, n. 472 e n. 473, che hanno riformato il sistema sanzionatorio amministrativo e hanno introdotto il principio di legalità di cui si è fatto cenno in un precedente capitolo, il quale si sostanzia nel fatto che "nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione".
Dall'1 aprile 1998, data di entrata in vigore dei tre decreti, la mancanza della "dichiarazione" non determina, dunque, alcuna conseguenza, purché il cedente sia in grado di dimostrare a posteriori che il bene ceduto è stato impiegato per una costruzione o per un intervento assoggetto ad aliquota ridotta.
Ciò significa che la dichiarazione ha assunto un ruolo del tutto nuovo, ma in ogni caso la sua mancanza non produrrà automaticamente l'applicazione di sanzioni.

3 La responsabilità in assenza di previsioni normative e amministrative
Al di fuori delle due ipotesi appena commentate devono essere collocate tutte le fattispecie del settore edilizio che godono di un'aliquota ridotta, ma per le quali non è richiesta alcuna "dichiarazione".
Quest'ultima tuttavia ha trovato applicazione sia, come si è visto, per un'erronea valutazione dell'ambito in cui la "dichiarazione" può essere utilizzata, sia perché in alcuni casi essa è considerata l'unica possibilità per l'operatore di conoscere l'esatto ambito del proprio intervento.
La dichiarazione, in ogni caso, non esime i cedenti/appaltatori dall'effettuare i necessari riscontri tra quanto affermato dai propri clienti e le operazioni poste in essere.
La cosa, evidentemente, non sempre è agevole o materialmente possibile: si pensi, a titolo di esempio all'impresa che effettua delle prestazioni di servizi in base a dei contratti d'appalto a favore di un soggetto che dichiara di possedere i requisiti "prima casa", oppure all'impresa che effettua dei lavori di scavo per la realizzazione, secondo il proprietario del terreno, di un fabbricato rurale e, ancora, al caso dell'imbianchino chiamato a dipingere delle pareti a completamento, in base alle affermazioni del committente, di un intervento di recupero.
Nelle ipotesi appena prospettate e mutuate tra le tante che la realtà del settore quotidianamente propone, appare chiaro che, con la normale diligenza, gli operatori non sono assolutamente in grado di appurare la veridicità delle affermazioni fatte dai propri committenti.
Non è pensabile, infatti, che un'impresa di costruzioni, prima di applicare l'aliquota ridotta a un privato che afferma di avere i requisiti "prima casa", compia delle indagini nelle conservatorie di tutta Italia, per verificare tale affermazione, oppure che l'impresa o l'imbianchino cui sono stati commissionati, rispettivamente, i lavori di scavo o quelli di tinteggiatura, visitino quotidianamente il cantiere per verificare che l'immobile realizzato mantenga le caratteristiche per godere dell'aliquota ridotta.
Se così fosse, tali operatori dovrebbero svolgere delle vere e proprie attività investigative che, evidentemente, sono e devono restare esclusivo appannaggio dell'Amministrazione finanziaria.
Ma allora - questo è il punto - di fronte alle "dichiarazioni" rilasciate dal proprio cliente qual è il comportamento che deve adottare il cedente/appaltatore perché non sia successivamente oggetto di censura da parte dell'Amministrazione finanziaria?
Alla luce dei vigenti principi sanzionatori si può affermare che l'operatore chiamato a effettuare la cessione di beni o la prestazione di servizi ad aliquota ridotta è sempre responsabile per l'aliquota applicata (cfr. art. 5, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), a meno che non sia in grado di dimostrare, in caso di contestazioni da parte dell'Amministrazione finanziaria, che la scelta operata è stata determinata da obiettive condizioni di incertezza normativa (si badi, incertezza normativa e non scarsa conoscenza della stessa) oppure perché il proprio cliente ha occultato, falsificato o, in ogni caso, compiuto atti che lo hanno indotto all'errore.
Nel contesto appena delineato, dunque, acquista fondamentale rilevanza per l'esclusione della responsabilità, la dimostrazione della buona fede dell'autore dell'illecito amministrativo tributario.
La buona fede, per gli illeciti di cui si discute, può far venire meno la responsabilità, quando il fatto obiettivo della violazione sia stato determinato da una situazione non ricollegabile alla volontà del soggetto, il quale dimostri di aver svolto tutto l'interessamento possibile per uniformare la propria condotta alle disposizioni di legge, senza riuscirvi per motivi a lui non imputabili.
In generale, per l'esclusione della responsabilità si richiedono, come già detto, due requisiti: che la mancata conoscenza dell'illiceità del fatto discenda non dalla mera ignoranza della legge, ma da una circostanza esterna, idonea a indurre in errore il soggetto convincendolo della liceità del suo comportamento, e che tale errore sia incolpevole.
Per esempio, nel settore dell'edilizia potrebbe verificarsi una simile fattispecie quando il committente esibisce al commissionario dei documenti (permesso di costruire, denuncia di inizio attività) all'apparenza del tutto regolari e, in quanto tali, idonei a convincere il commissionario stesso della verità dei dati in essi contenuti.
Qualora, in un momento successivo, l'Amministrazione finanziaria accerti la difformità totale o parziale della suddetta documentazione rispetto alla situazione reale, artatamente predisposta al fine di usufruire dell'aliquota ridotta, il commissionario potrà invocare a sua discolpa la buona fede, essendo stato indotto in errore dal comportamento illecito del committente e avendo agito nella convinzione della liceità della propria condotta.
In altri casi l'errore sulla liceità del proprio comportamento può derivare anche da un provvedimento dell'autorità che induca al convincimento che una certa condotta sia consentita e legittima.
Si pensi, sempre per ciò che riguarda strettamente il settore edile, al caso di una concessione amministrativa illegittima oppure di un'attestazione rilasciata dal Comune competente, nelle quali si affermi, in violazione delle disposizioni in materia urbanistica ed edilizia, che un determinato intervento edilizio consiste in un'opera di ristrutturazione quando, in realtà, si tratta di lavori di demolizione e costruzione (l'esempio è stato ripreso da un episodio realmente accaduto che è stato oggetto di ben tre risoluzioni ministeriali: 1 marzo 1993, n. 531543; 6 ottobre 1992, n. 531543; 7 marzo 1992, n. 501040).
In base a queste riflessioni (confermate anche dalla circolare 13 luglio 1998, n. 180/E "il fattore discriminante è quindi costituito dalla causa dell'errore medesimo. Se esso dipende da imprudenza, diligenza o imperizia, non rileva ai fini dell'esclusione della responsabilità, ma se il trasgressore ha osservato la normale diligenza nella ricostruzione della realtà, l'errore in cui è incorso esclude la colpa richiesta alla precedente art. 5. Per contro - si ribadisce - l'errore evitabile con l'uso dell'ordinaria diligenza, quella cioè che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente, non influisce sulla punibilità") è evidente, che per formarsi un autonomo convincimento e per dimostrare a posteriori la propria buona fede e diligenza, l'operatore non solo deve esigere una "dichiarazione" dal proprio cliente, nella quale quest'ultimo attesti la sussistenza di determinati requisiti non altrimenti conoscibili, ma deve pretendere anche una copia di tutti quei documenti quali concessioni edilizie, asseverazioni di professionisti, denunce di inizio attività e di quant'altro sia utile ad avallare le richieste e le affermazioni che gli vengono rese.
Data l'estrema complessità del settore edilizio che, come si è avuto modo di vedere nei precedenti capitoli, si presenta estremamente frammentato con soluzioni differenziate a seconda dei soggetti, degli immobili e del tipo di operazione poste in essere, "dichiarazione" e documentazione da chiedere e conservare variano per forme e contenuti per cui si ritiene opportuno, a questo punto, predisporre l'analisi di ogni singola fattispecie assoggettata ad aliquota IVA ridotta che permetta all'operatore di comprendere meglio quali comportamenti e misure adottare per assecondare, laddove sia possibile, le richieste dei propri clienti.

1 - continua. La seconda parte su FISCOoggi di venerdì 3 giugno


Tratto da: IVA IN EDILIZIA - GUIDA PRATICA ALLE ALIQUOTE RIDOTTE
edizioni "Il Sole 24ORE"

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/attualita/articolo/responsabilita-lapplicazione-dellaliquota-ridotta-nel-settore