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Attualità

Retroattività non sostenibile
per il “nuovo redditometro”

Poco condivisibile anche la tesi della violazione della privacy. Il Dm del 2012, infatti, non dispone né disciplina la raccolta di informazioni da parte dell’Agenzia

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Il tema della possibile retroattività del “nuovo redditometro” è tornato al centro del dibattito con l’emanazione di alcune recenti pronunce di Commissioni tributarie provinciali (su tutte le sentenze n. 74/2013 della Ctp di Reggio Emilia e n. 41/2013 della Ctp di Rimini). In alcuni casi, peraltro, sono state sollevate anche censure in ordine a presunte violazioni della privacy, ricollegabili all’entrata in vigore del Dm 24 dicembre 2012, il decreto che ha individuato il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva, sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito.
 
Trattandosi di sentenze, è evidente che queste non sono idonee a produrre effetti al di là dei singoli casi che hanno preso in esame. E’, dunque, improprio parlare di “annullamento” del Dm da parte dei giudici. Tuttavia, l’interesse suscitato presso gli operatori del settore induce a formulare alcune riflessioni, partendo da un dato indiscutibile: la norma.
 
Il legislatore è intervenuto, con l’articolo 22 del Dl n. 78/2010, sull’articolo 38 del Dpr 600/1973, sostituendo i commi da quarto a ottavo “al fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio”. A ben vedere, e come più volte sottolineato, il nuovo redditometro non costituisce tanto un “adeguamento”, quanto lo strumento attuativo di una profonda innovazione, introdotta per legge sull’istituto dell’accertamento sintetico, al fine di renderlo più efficiente, dotarlo di maggiori garanzie per il contribuente e tener conto del mutato contesto socio-economico.
 
Nell’introdurre questa novità, il legislatore ne ha tuttavia espressamente - e contestualmente - individuato l’effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Che l’applicazione della metodologia esclusivamente a partire dall’anno di imposta 2009 rappresenti una ben precisa volontà legislativa lo dimostra anche la mancanza, nel nuovo redditometro, di una disposizione simile a quella prevista dall’articolo 5, comma 3, ultimo periodo, del Dm del 1992. Quest’ultima espressamente prevedeva la possibilità per il contribuente di richiedere, qualora l’accertamento non fosse divenuto definitivo, che il reddito venisse rideterminato sulla base dei nuovi criteri. L’assenza di un’analoga previsione nel decreto ministeriale del 2012 non può, quindi, non far riflettere in merito all’ambito temporale di applicazione delle modifiche introdotte nel 2010.
 
Ma al di là del dato letterale, c’è un’ulteriore considerazione che depone per l’irretroattività del nuovo redditometro. La metodologia adottata dal legislatore del 2010 è ormai ben nota. È comunque utile sottolineare come, con il nuovo strumento, si sia cercato di valorizzare il patrimonio informativo a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, “fotografando”, nel modo più preciso possibile, la realtà riconducibile al contribuente. Da qui, la difficoltà di ricondurre a una “unicità” due metodologie profondamente differenti: l’una basata su manifestazioni di spesa, l’altra sulla mera disponibilità di determinati beni.
Un esempio, per quanto semplice, può forse meglio chiarire il concetto. Si consideri un contribuente per il quale venga riscontrato, quale unico elemento rilevante ai fini della determinazione sintetica del reddito, la disponibilità di un autoveicolo di potenza pari a 150 kw, sostanzialmente assimilabile a una potenza pari a 24 “cavalli fiscali”. Nel caso di applicazione del vecchio redditometro, al possesso di tale bene indice corrisponderebbe, secondo la tabella allegata al vecchio Dm, un “importo” di 5.160,50 euro, che, moltiplicato a sua volta per il coefficiente “8”, fa ottenere un “valore” pari a 41.284 euro. Valore che non “misura” la spesa annua ricollegabile al possesso dell’autovettura, né quella relativa alla sua acquisizione (che rileva autonomamente pro-quota quale incremento patrimoniale), ma fornisce direttamente la dimensione sintetica del reddito complessivo.
Applicando il nuovo redditometro, invece, l’autovettura comporterebbe una determinazione induttiva di spesa pari a circa 6.500 euro (somma ottenuta ipotizzando, per semplicità, un contribuente, persona sola con meno di 35 anni, residente nel centro Italia, e tenendo conto della sola spesa per il “bollo”). È del tutto evidente come questo importo – che stima per l’appunto una spesa - non è comparabile con quello desumibile dall’applicazione del vecchio redditometro.
 
Anche per questa ragione non appaiono corrette le ipotesi di un’analogia con la possibilità di un utilizzo retroattivo degli studi di settore “evoluti” e di quelli “integrati”. Infatti, il presupposto per un’applicazione retroattiva dello strumento di accertamento è comunque rappresentato dall’esistenza di una metodologia analoga, che consenta di ritenere sostanzialmente comparabili le procedure adottate (cfr per gli studi di settore, da ultimo, la circolare n. 30/E dell’11 luglio 2012).
 
Tra “vecchio” e “nuovo” redditometro emerge invece una sostanziale disomogeneità, sia nell’approccio metodologico sia nella base dati di riferimento, che non consente di operare una comparazione ai fini di una applicazione retroattiva.
 
Infine, meritano alcune riflessioni anche le censure mosse in tema di presunta violazione della privacy. In realtà, il Dm del 2012 non dispone né disciplina la raccolta di informazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Le fonti normative, sulla base delle quali sono raccolti e analizzati i dati riconducibili agli elementi indicativi di capacità contributiva, sono altre.
 
Si pensi, ad esempio, alle comunicazioni di banche e operatori finanziari (previste dall’articolo 11 del Dl 201/2011), rispetto alle quali, peraltro, è la stessa norma (al comma 3) che, per garantire e tutelare i diritti e le libertà dei cittadini, dispone la necessità di sentire il Garante della privacy sulle modalità adottate. In base al Dlgs 196/2003, poi, presupposto di legittimità del trattamento dati effettuato da parte di soggetti pubblici è la strumentalità delle operazioni allo svolgimento delle funzioni istituzionali. Senza, peraltro, trascurare che gran parte delle informazioni raccolte dall’Agenzia sono comunicate dallo stesso contribuente, quando presenta la propria dichiarazione dei redditi.
 
In definitiva, come autorevolmente ricordato da Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali (in un’intervista rilasciata il 9 gennaio 2013 e reperibile sul sito del garante della privacy), se, accanto alla priorità costituita dalla lotta all’evasione, si pone la fondamentale esigenza di tutelare e garantire i diritti e le libertà del cittadino da possibili intrusioni nella sfera privata, è pur vero che “tutti quelli che hanno un rapporto leale con il fisco possono confidare che i loro dati restino sul fondo del mare. Chi si deve preoccupare è l'evasore”.
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