2.2. Irrilevanza come legittima causa di disparità di trattamento del principio fiscale della territorialità
Occorre, invece, considerare attentamente l'argomento basato sul rischio di una perdita di competenza o di controllo sul sistema fiscale dello Stato membro, giustificato:
- dall'applicazione del principio fiscale della territorialità
- dalla garanzia di coerenza del sistema fiscale britannico.
In relazione al punto sub 1., il Governo britannico sostiene che il rifiuto di accordare lo sgravio di gruppo con riferimento a società controllate estere non esercenti attività commerciali nel Regno Unito risponde al principio di territorialità - ammesso dalla prassi fiscale internazionale e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia - secondo cui non si può offrire un vantaggio fiscale se non si dispone di potere impositivo. Infatti, se non sussiste il potere di tassare gli utili delle società controllate che non hanno sede nel Regno Unito, non si può tenere conto delle perdite di tali filiali per offrire un vantaggio al gruppo cui esse appartengono.
È vero che nella sentenza Futura Participations e Singer (causa C-250/95, 15 maggio 1997) la Corte ha ammesso che il principio fiscale di territorialità è applicabile in diritto comunitario, ritenendo che non comporti una discriminazione vietata dal Trattato il regime lussemburghese, in base al quale il riporto delle perdite chiesto da un contribuente (residente in un altro Stato membro), che dispone di una società controllata in Lussemburgo, è subordinato all'esistenza di un nesso economico tra le perdite riportate e gli utili realizzati dal medesimo contribuente in Lussemburgo. Tuttavia, non occorre equivocare l'esatto significato che la Corte intende attribuire a tale principio.
Essa riconosce semplicemente la necessità di tenere conto dei vincoli derivanti dalla coesistenza delle sovranità fiscali degli Stati membri. In forza di norme consolidate di diritto internazionale, nessuno Stato membro può assoggettare a imposta i redditi realizzati all'estero da soggetti passivi non residenti, mancando un criterio di collegamento con il territorio dello Stato. Di conseguenza, il Lussemburgo negava a tali contribuenti la possibilità di detrarre le perdite originate all'estero, richiedendo che fosse provata l'esistenza di un nesso economico tra le perdite riportate e gli utili realizzati nello Stato della tassazione. Tale condizione derivava dall'esigenza di coordinare il potere fiscale dello Stato della tassazione (Lussemburgo) con quello dello Stato di stabilimento di un medesimo contribuente.
Il principio fiscale di territorialità previene i conflitti di competenza tributaria tra gli Stati membri. Occorre, perciò, domandarsi se la concessione del vantaggio possa compromettere la coesistenza delle sovranità fiscali degli Stati membri.
Orbene, nella fattispecie nulla osta a che il Regno Unito estenda il beneficio dello sgravio alle società controllanti che dispongono di società controllate non residenti. Infatti, la domanda rientra nel quadro di un regime di gruppo adottato dal Regno Unito. Essa riguarda non l'imposizione su un unico soggetto passivo residente che esercita le proprie attività principali all'estero, bensì un trasferimento di perdite tra società appartenenti allo stesso gruppo. All'interno del gruppo, la domanda viene presentata dalla società controllante stabilita nel Regno Unito, che è soggetta, in quanto tale, a un obbligo fiscale illimitato in tale Paese.
2.3. Rilevanza condizionata come legittima causa di disparità di trattamento del principio della coerenza del sistema fiscale
In realtà, il Regno Unito sembra mirare a far ammettere che l'agevolazione non può essere concessa alla società controllante che ne fa richiesta se non è compensata dalla possibilità di assoggettare a imposta la società controllata cedente. Tale argomento, fondato sul principio di territorialità, si ricollega, perciò, strettamente con il principio della coerenza fiscale riconosciuto dalla Corte nella sentenza Bachmann (causa C-204/90, sentenza del 28 gennaio 1992).
Ebbene, la giurisprudenza della Corte ammette che tale esigenza di garanzia di coerenza del sistema fiscale possa giustificare una normativa atta a limitare le libertà comunitarie, evitando che l'esercizio delle stesse possa determinare perturbazioni ingiustificate alla logica interna dei regimi fiscali nazionali.
Tuttavia, ciò non implica che la suddetta garanzia possa essere utilizzata come argomento per opporsi agli obiettivi perseguiti nell'ambito del mercato interno, favorendo situazioni od operatori nazionali.
Questo delicato equilibrio può tradursi in una regola di "doppia neutralità": da un lato, le norme tributarie nazionali devono essere neutre rispetto all'esercizio delle libertà di circolazione e, dall'atro lato, l'esercizio della libertà di circolazione dev'essere il più possibile neutro rispetto ai meccanismi fiscali adottati dagli Stati membri. Il diritto di stabilimento non può essere utilizzato dagli operatori economici al solo scopo di mettere a rischio l'equilibro e la coerenza dei regimi fiscali nazionali; il che si verificherebbe, se tale diritto venisse esercitato per sottrarsi illecitamente alle legislazioni nazionali o per sfruttarne artificiosamente le divergenze. Di conseguenza, la nozione di coerenza fiscale è volta a garantire che i cittadini non utilizzino le disposizioni comunitarie per trarne vantaggi non connessi alle libertà di circolazione.
Nel caso di specie, i governi che hanno presentato osservazioni sostengono unanimemente che sarebbe coerente concedere sgravi di gruppo solo qualora si potessero tassare i profitti delle società che partecipano allo sgravio. La ricorrente contesta tale argomento, richiamandosi a una giurisprudenza costante della Corte, secondo cui un nesso diretto può esistere solo trattandosi di un unico prelievo fiscale e di un solo contribuente (come nel menzionato Caso Futura Participations e Singer) e, nel caso di specie, l'agevolazione concessa alle società controllanti e il prelievo che può essere imposto alle filiali riguardano contribuenti diversi e rientrano in regimi fiscali distinti.
Se sono effettivamente questi i limiti entro i quali può essere fatto valere l'argomento della coerenza fiscale, è indubbio che tale argomento dev'essere respinto, come si è già fatto supra.
Tuttavia, quest'interpretazione della nozione di coerenza fiscale poggia su criteri troppo rigidi, che non sempre risultano pertinenti rispetto all'obiettivo perseguito dalle normative in causa. Ne deriva che il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri per giustificare i loro regimi fiscali è eccessivamente ridotto.
A tal fine, si propone di valutare la coerenza anzitutto alla luce della finalità e della logica del regime fiscale in discussione.
Orbene, lo scopo del regime britannico dello sgravio di gruppo è neutralizzare, sotto il profilo fiscale, gli effetti della costituzione di un gruppo di società, mediante l'autorizzazione a far circolare le perdite all'interno del gruppo.
Tuttavia, ciò significa anche che non deve derivarne un vantaggio supplementare per il gruppo stesso. Si spiega così il divieto di utilizzare due volte le perdite cedute: le perdite vengono trasferite da una società a vantaggio di un'altra, e in cambio la società cedente perde il diritto di utilizzare nuovamente tali perdite nell'ambito del sistema di imposte sulle società.
Si deve però verificare se tale rischio sussista. Lo Stato membro interessato non può vietare qualsiasi trasferimento di perdite solo perché non può assoggettare a imposta le controllate estere. Se così fosse, la restrizione applicata andrebbe molto al di là di quanto necessario per tutelare la coerenza del regime di gruppo. Invero, tale restrizione perseguirebbe anche obiettivi estranei alla logica del regime, quali proteggere il gettito dello Stato membro interessato o favorire i gruppi che esercitano tutte le loro attività economiche nel territorio di detto Stato. Tali obiettivi sarebbero in ogni caso contrari al diritto comunitario.
In circostanze come quelle del caso di specie, pertanto, occorre che lo Stato membro tenga conto del trattamento applicabile alle perdite delle filiali nel loro Stato di stabilimento. La giustificazione fondata sulla coerenza del regime di sgravio può essere accolta solo se le perdite subite all'estero possono essere assoggettate a un trattamento equivalente nello Stato in cui si sono prodotte.
Perciò, se è coerente che in determinati casi lo sgravio di gruppo possa essere negato, è quanto meno necessario che tale rifiuto si giustifichi e si fondi sulla presa in considerazione delle situazioni in cui si trovano le filiali nel loro Stato di stabilimento.
A tal fine, il Regno dei Paesi Bassi solleva un'obiezione, affermando che l'autorizzazione al trasferimento delle perdite subite all'estero nell'ambito dei regimi di gruppo adottati dagli Stati membri potrebbe determinare uno sconvolgimento generale dei regimi nazionali, dal momento che è facile prevedere che i gruppi di società ricorreranno sistematicamente al trasferimento di perdite e che quest'ultimo sarà diretto esclusivamente verso le società del gruppo stabilite negli Stati membri in cui le aliquote d'imposta sono più elevate, paventando uno sviluppo di un verosimile "traffico delle perdite" a livello comunitario, minacciando l'equilibrio di bilancio degli Stati interessati e minando alle fondamenta i loro sistemi economici e sociali.
Si tratta indubbiamente di un rischio che non va trascurato, ma nemmeno sopravvalutato. La soluzione può essere agevolmente tratta dalla regola secondo cui lo sgravio può essere concesso a condizione che le perdite delle filiali estere non possano essere oggetto di un trattamento fiscale favorevole nel paese in cui esse hanno sede. Quando lo Stato di stabilimento delle filiali estere consente a queste ultime di imputare le perdite a un soggetto diverso o di riportarle ad altri esercizi fiscali, il Regno Unito può legittimamente opporsi alla domanda di trasferimento transfrontaliero di perdite. Ne consegue che le società non sono libere di scegliere il luogo in cui registrare le proprie perdite.
In tali circostanze, le disparità di trattamento che possono derivarne per il gruppo non hanno altra origine se non dalle disparità esistenti tra le normative tributarie nazionali.
Si potrebbe, da ultimo, obiettare che sarebbe troppo difficile per il Regno Unito verificare se esista la possibilità di ottenere uno sgravio in un altro Stato membro. Tuttavia, gli Stati membri dispongono di strumenti di cooperazione rafforzata ai sensi della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, n. 77/799/Cee, la quale "offre possibilità di ottenere informazioni necessarie analoghe a quelle esistenti fra gli uffici tributari sul piano interno".
Inoltre, non è escluso che lo Stato membro interessato possa imporre a una società che presenti una domanda di sgravio di gruppo un obbligo di informazione in merito alla situazione fiscale del gruppo cui essa appartiene e, in particolare, alla possibilità di tenere conto delle perdite delle società controllate nello Stato in cui sono stabilite. In tale caso, tuttavia, si deve accertare che tali richieste non eccedano quanto necessario per conseguire lo scopo informativo perseguito.
In conclusione, solo una soluzione di questo tipo, in mancanza di armonizzazione comunitaria, consente di mantenere un equilibrio tra le competenze fiscali riservate agli Stati membri e le esigenze di libertà derivanti dal mercato interno, non spettando comunque alla Corte definire un regime uniforme per tutti gli Stati membri, ma delimitare gli obblighi imposti allo Stato membro interessato dalla partecipazione alla Comunità.
Osservazioni sulle conclusioni e possibile impatto sull'ordinamento tributario italiano
Tralasciando, in questa sede, la prima questione pregiudiziale (6), la seconda questione è stata risolta nel senso della difformità alle libertà di circolazione e di stabilimento, salvo il temperamento della prova che le medesime perdite non siano dedotte due volte.
A tal fine, mentre appaiono condivisibili le motivazioni che hanno indotto l'Avvocato generale a rigettare gli argomenti che giustificavano la disparità di trattamento
- nella perdita di gettito dello Stato membro che ne deriverebbe e
- nel principio di territorialità, secondo cui se non sono assoggettabili a imposizione i redditi prodotti dalle subsidiaries residenti in altri Stati membri, allo stesso modo non possono essere deducibili le perdite fiscali dalle stesse sopportate (secondo il principio di diritto statuito dalla Corte nella sentenza del 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participation e Singer),
dubbi suscitano, per converso, le motivazioni con cui l'Avvocato generale ha rigettato la tesi secondo cui la disparità di trattamento trovava giustificazione in esigenze di coerenza del sistema fiscale britannico (e, deve ritenersi, dei sistemi fiscali degli altri Stati membri che presentino una disciplina della fiscalità di gruppo, tra cui l'Italia).
In tal caso, infatti, si ritiene che l'Avvocato generale abbia finito per far pendere eccessivamente la bilancia dal lato del pieno esplicarsi del mercato interno comunitario, allorché ha proceduto al delicato giudizio di bilanciamento (balancing test) tra il rispetto delle competenze fiscali nazionali in materia di imposte sui redditi e le esigenze del mercato interno, non prendendo in adeguata considerazione tutte le implicazioni che comporta la cessione di perdite tra società residenti in differenti Stati membri, seppure appartenenti al medesimo gruppo societario.
In particolare, non adeguatamente motivata appare l'argomentazione volta a superare l'obiezione sollevata dal Regno dei Paesi Bassi, secondo cui l'autorizzazione al trasferimento delle perdite subite all'estero nell'ambito dei regimi fiscali di gruppo adottati dagli Stati membri potrebbe determinare uno sconvolgimento generale dei regimi nazionali, dal momento che è facile prevedere che i gruppi di società ricorreranno sistematicamente al trasferimento di perdite e che quest'ultimo sarà diretto esclusivamente verso le società del gruppo stabilite negli Stati membri in cui le aliquote d'imposta sono più elevate, paventando uno sviluppo di un verosimile "traffico delle perdite" a livello comunitario, minacciando l'equilibrio di bilancio degli Stati interessati e minando alle fondamenta i loro sistemi economici e sociali; l'Avvocato generale, pur prendendo atto che tale rischio non va trascurato, ha ritenuto che non vada però nemmeno sopravvalutato.
Ebbene, se si considera che il riporto delle perdite è un istituto che attiene al concetto di reddito e che, di conseguenza, la perdita deriva da costi inerenti riferibili al soggetto che l'ha prodotta, ammettere il commercio delle perdite equivale ad ammettere il commercio di costi.
Tale commercio di perdite appare legittimato solo nell'ambito di un sistema fiscale comunitario armonizzato così come lo è già nell'ambito dei vari sistemi fiscali statali (tra cui quello italiano) che abbiano accolto la tassazione di gruppo.
Viceversa, allorché ci si trovi di fronte a 25 differenti sistemi fiscali, spesso in competizione fiscale tra di loro al fine di attrarre capitali e investimenti sul proprio territorio e con regole di determinazione del reddito d'impresa tutt'altro che armonizzate, la concessione - sostanzialmente incondizionata - della possibilità di commerciare infragruppo costi tra differenti Stati membri equivale alla concessione di un'incondizionata possibilità di commerciare tra le regole di determinazione del reddito d'impresa dei vari Stati membri, con l'elevato rischio di legittimare comportamenti dei contribuenti che, in nome del pieno esplicarsi delle libertà di circolazione e di stabilimento, avrebbero come principale o esclusiva finalità lo sfruttamento delle predette divergenze.
D'altronde lo stesso Avvocato generale, allorché ha fatto riferimento alla regola della "doppia neutralità", ha precisato che, da un lato, le norme tributarie nazionali devono essere neutre rispetto all'esercizio delle libertà di circolazione e, dall'altro lato, l'esercizio delle libertà di circolazione dev'essere il più possibile neutro rispetto ai meccanismi fiscali adottati dagli Stati membri, aggiungendo che il diritto di stabilimento non può essere utilizzato dagli operatori economici al solo scopo di mettere a rischio l'equilibrio e la coerenza dei regimi fiscali nazionali; il che si verificherebbe se tale diritto venisse esercitato per sottrarsi illecitamente alle legislazioni nazionali o per sfruttarne artificiosamente le divergenze.
Ed è proprio questo effetto - come d'altronde riconosciuto dallo stesso Avvocato generale - che vuole evitare la nozione di coerenza fiscale: la garanzia che i cittadini non utilizzino le disposizioni comunitarie per trarne vantaggi non connessi alle libertà di circolazione.
Tuttavia, qualora la Corte dovesse comunque pronunciarsi, considerato anche che la Commissione - nella COM (2003) 726 - ha affermato che la mancanza di una normativa comunitaria sulla compensazione transfrontaliera delle perdite dei gruppi societari nella Comunità costituisce attualmente uno dei maggiori ostacoli al buon funzionamento del mercato interno, si ritiene che vada posta adeguata attenzione sulla circostanza che l'utilizzo transnazionale delle perdite fiscali infragruppo equivale all'utilizzo transnazionale delle differenti regole di determinazione del reddito d'impresa nei 25 Stati membri, prevedendo più incisive condizioni (rispetto a quella proposta dall'Avvocato generale consistente nella prova che le perdite non siano dedotte due volte nei due Stati membri coinvolti), al fine di ritenere prevalente la salvaguardia delle esigenze del pieno esplicarsi del mercato interno rispetto alla coerenza dei sistemi fiscali degli Stati membri.
Si rileva, infine, che, nell'ipotesi in cui la Corte dovesse accogliere le conclusioni dell'Avvocato generale (ampliando o meno le condizioni cui è subordinato l'utilizzo transfrontaliero delle perdite fiscali infragruppo), dovrebbero derivare rilevanti conseguenze sull'impianto normativo italiano in materia di riporto e utilizzo delle perdite fiscali descritto nei precedenti paragrafi.
Una possibile soluzione potrebbe consistere nell'estensione delle disposizioni normative in materia di consolidato nazionale alle società controllate residenti negli altri Stati membri, prevedendo svariate condizioni di accesso e limitando l'ambito di applicazione soggettivo del consolidato mondiale alle sole società non residenti extracomunitarie.
Una seconda possibile soluzione potrebbe consistere nell'abrogazione delle disposizioni normative in materia di consolidato nazionale, di consolidato mondiale e di regime della trasparenza delle società di capitali e nella riformulazione delle disposizioni normative contenute negli articoli 8 e 84 del Tuir e nella contestuale previsione di nuove disposizioni simili a quelle inglesi in materia di "sgravio di gruppo", che legittimano un vero e proprio contratto di compravendita delle perdite fiscali.
2 - fine. La prima parte è stata pubblicata su FISCOoggi di venerdì 6
NOTE:
6) Comunque risolta dall'Avvocato generale nel senso della conformità alle libertà di circolazione e di stabilimento della discriminazione operata dalla legislazione inglese con riferimento al trattamento fiscale delle perdite sofferte da società controllate residenti all'estero (subsidiaries) e dalle stabili organizzazioni ubicate all'estero di società residenti nel Regno Unito (branches).