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Attualità

Romania e Bulgaria, dall’euroforia alla fiscofobia

"Benvenuti in Europa", anzi, "Bentornati" mentre sulle rive del Mar Nero risuonava l’espressione "Finalmente a casa"

Insomma, scandita da toni eccessivamente rassicuranti, come da routine del resto, la luna di miele tra Bruxelles, Sofia e Bucarest sembrava non dovesse avere mai termine. Fino a quando si è voltato pagina e al primo rigo di quella successiva ci si è imbattuti in parole come tasse, imposte e tributi.
Bulgaria e Romania nell’Unione: questione di dubbi

In realtà, il fatto che Bulgaria e Romania esibissero un prodotto interno lordo che a stento raggiungeva la base d’un modesto 30 per cento rispetto a quello medio sfoggiato dall’Unione Europea, aveva già suscitato dubbi profondi che, peraltro, continua ad alimentare. Naturalmente, a queste incertezze si sono anche sommate, in giorni non sospetti, le preoccupazioni indotte dall’estrema magrezza dei valori del Pil pro-capite che per i cittadini bulgari lambisce a stento i 2.670 euro mentre a Bucarest, rivelando un’inaspettata propensione alla crescita, si arresta sulla vetta dei 3.450 euro, comunque ben al di sotto del limite di guardia comunitario dato che nel 2005 il Pil pro-capite dei 25 Paesi membri dell’Unione era proiettato oltre il limes contabile dei 23mila euro. Ma al di là delle ansie originate dalle profonde divergenze macroeconomiche, ecco che la luna di miele tra i nuovi membri dell’Unione e Bruxelles ha iniziato a corrugarsi intorno a un tema piuttosto pratico, antico e affatto teorico: quello del fisco.

Le ragioni dell’ondata di fiscofobia che lambisce il Mar Nero
A questo riguardo, l’esempio bulgaro è quello che meglio rivela le angosce fiscal-finanziarie che paiono rincorrersi attualmente sulle spiagge del Mar Nero, in verità storicamente nient’affatto votate alla tranquillità. Infatti, mentre il Parlamento di Sofia nell’ottobre scorso approvava un taglio netto dell’imposta sui profitti, che scivolava così dal 15 al 10 per cento, raggiungendo la taglia modesta in vigore a Cipro e lasciandosi alle spalle perfino l’aliquota superconcorrenziale del 12,5 per cento che si applica all’interno dei confini d’Irlanda, diversi Paesi membri alzavano i toni in materia di imposte e tasse. Tra questi, in prima fila, non seduti in fondo alla sala, Francia e Germania sono i partner europei che con maggiore decisione hanno alzato i toni sulla moda tanto in voga tra le new entry dell’Est di accanirsi con eccessivo vigore sul capitolo della riduzione delle aliquote sui profitti, tralasciando le questioni legate alla lotta alla corruzione, al potenziamento degli investimenti in infrastrutture decenti e alla tenuta dei conti pubblici. A questo riguardo, sempre in riferimento all’equilibrio precario tra entrate ed uscite che imperversa in certi paesi europei di fresca adesione, per l’erario bulgaro il taglio dell’imposta determinerà una perdita secca di circa 150 milioni di euro che, secondo i responsabili dell’economia di Sofia, dovrebbero però essere riassorbiti grazie all’aumento di ingenti investimenti esteri e all’emergere di una quota significativa del mercato oggi sommerso. Ma la questione che oggi sembra moderare l’entusiasmo dei bulgari per l’ingresso nell’Ue è legata agli accordi con Bruxelles in vista dell’allineamento progressivo di specifiche tasse e tributi con le aliquote minime consentite per i paesi membri dell’Unione. 



  
Il gettito dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche in Bulgaria e in Romania.
(i valori riportati nel grafico sono espressi in miliardi di euro)
Fonte: Eurostat 


Don’t touch my brail
, anzi, don’t touch my Rakia

In particolare, in materia di accise la questione più spinosa riguarda la vendita della bevanda nazionale bulgara, Rakia, in realtà diffusa e apprezzata nell’intera area dei Balcani, con cui a fiumi si è brindato settimane or sono all’ingresso nell’Unione e a causa della quale in molti già guardano con sospetto a norme e regole fiscali comunitarie. Infatti la necessità di estendere le accise, naturalmente non subito, all’intero mercato bulgaro legato alla produzione e alla vendita di alcolici, settore che per decenni, forse per secoli, non aveva mai associato la vendita della Rakia a una tassa, non sembra affatto facile da inserire nell’agenda quotidiana non soltanto dei produttori ma, soprattutto, di milioni di consumatori bulgari. Infatti, la Rakia, o Rakija, un forte liquore simile al brandy e alla vodka ottenuto distillando dei frutti appositamente fermentati, costituisce una sorta di prodotto nazionale che alimenta anche una particolare dorsale economica, in gran parte domestica. È per questo che accettare di versare 1 euro di accise per litro venduto sarà piuttosto difficile da far accettare, anche alla luce del fatto che in Bulgaria i contribuenti che guadagnano oltre 10 mila euro l’anno, ovvero, che dichiarano redditi superiori ai 10 mila euro, sono circa 20 mila. Insomma, non è certo la Bulgaria il luogo ideale dove incontrare i rappresentanti dal tanto mitizzato ceto medio. Quindi non stupisce che l’attuale esecutivo stia già programmando un inserimento il più possibile moderato e diluito nel tempo delle nuove accise che interesseranno il settore degli alcolici.




L’andamento delle entrate fiscali, nel biennio 2004-05, registrato dalle rispettive Amministrazioni fiscali dei due nuovi Paesi membri dell’Unione.
(i valori riportati nel grafico sono espressi in miliardi di euro)
Fonte: Eurostat 

Il petrolio rumeno
Differente è la posizione di Bucarest rispetto alla normativa fiscale europea. Infatti l’aliquota sui profitti delle imprese, ferma al 16 per cento, non ha subìto particolari rovesci o scossoni in prossimità dell’ingresso nell’Unione. Inoltre su altri temi, come quello legato alla lotta alla corruzione e agli investimenti in sviluppo e infrastrutture, la Romania sembra marciare più avanti rispetto alla Bulgaria. In realtà il settore che maggiormente desta la sensibilità rumena è quello del petrolio. Infatti l’apertura del mercato e l’intensificazione degli investimenti sulle riserve energetiche rumene sono considerati un pilastro strategico della Romania contemporanea, un terreno dunque su cui il fisco europeo dovrà planare con accortezza e senza eccessiva rapidità. Tra l’altro, considerando i pessimi rapporti che intercorrono tra Bucarest e Mosca, che funge anche da serbatoio energetico per un quota consistente del consumo europeo, nessuno si augura in Romania di dover un giorno dipendere dalla Russia per garantire i propri approvvigionamenti energetici. Risultato, il profilo fiscal-finanziario dell’oro nero rumeno resterà una questione nazionale difficilmente estendibile ad interventi di Bruxelles, almeno non nelle linee decisive.

La curiosità
Al di là del manifestarsi dei primi punti di distanza tra i due nuovi inquilini del condominio europeo e l’amministratore centralizzato, in pratica la Commissione europea, è giusto rammentare che già nell’anno in corso gli ingenti aiuti europei che transiteranno dalle casse di Bruxelles su quelle di Sofia e di Bucarest ammonteranno rispettivamente a oltre 600 milioni di euro, per quanto riguarda la Bulgaria, e a 1,6 miliardi di euro in relazione alla Romania. Insomma, forse un’accisa più solida e una tassa più muscolare valgon bene l’abbraccio con l’Europa.
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